In questa domenica l’evangelista Marco lascia il posto al vangelo di Giovanni, perché il quarto evangelista approfondisce maggiormente il significato del sacramento dell’eucarestia. Il brano è tratto da Gv. 6, 1-15, un capitolo la cui lettura proseguirà per cinque domeniche. In esso è presentato il quarto “segno” (miracolo), la moltiplicazione dei pani, dopo il segno del vino a Cana, la guarigione del figlio del funzionario regio e quella del paralitico. E’ indiscutibile il significato sacramentale del racconto della moltiplicazione dei pani: non si tratta di accogliere la rivelazione di Dio, ma si deve assimilare la sua persona.
Gesù si rivela il Signore sfamando la folla con la moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Nel vangelo di Giovanni, il miracolo della moltiplicazione dei pani diventa il punto di partenza per la catechesi sul pane di vita, una parabola fatta azione, che spiega il motivo della stessa incarnazione di Gesù. Se gli altri evangelisti, Matteo, Marco e Luca, insistono sulla compassione umana di Gesù, il vangelo di Giovanni vuole coinvolgere il lettore, interpellandolo sul “come” risolvere la fame della folla, che rinvia al “dove” originario da cui proviene Gesù, ossia al seno del Padre. Il significato del miracolo del pane va colto in questa fondamentale direzione cristologica. I “segni” sono tutti rivelatori della “gloria” di Gesù, cioè della unione col Padre e del significato salvifico della sua persona e della vicenda che vive. Moltissima gente segue Gesù, attirata dai segni che egli compie sugli infermi e dal suo insegnamento “nuovo” e “autorevole”. Ma per lo più si tratta di una falsa “sequela”, più interessata ad ottenere qualche beneficio sui propri malati e alla figura di Gesù come “taumaturgo”. La nota cronologica della vicinanza della “Pasqua, festa dei giudei”, non è superflua, perché, fa capire al lettore che non si parla di cibo materiale e che la folla non ha bisogno solo di questo cibo. Giovanni rinvia alla vera e unica Pasqua, quando Gesù morirà come l’unico “Agnello che toglie il peccato del mondo”.
Gesù alza gli occhi al cielo, tipico atteggiamento orante, a sottolineare la sua dipendenza totale dal Padre.
Il quarto vangelo non presenta mai Gesù e il Padre in concorrenza. Stupendo è il capitolo quinto di Giovanni, dove Gesù viene descritto come apprendista nella bottega del Padre, artigiano d’amore. La domanda rivolta a Filippo è di una profonda pedagogia divina: Gesù si preoccupa di ricordare l’eterna fame dell’uomo e suggerisce di saziarla. C’è necessità non solo del pane materiale, pur ineludibile, ma della ricerca della parola di Dio. Il pane materiale non va sopravvalutato, ma neppure dimenticato, soprattutto in una società, quale la nostra, sazia e sprecona, spesso indifferente nei confronti di tante fami e povertà disperate. Ma qui Gesù vuole sondare il cuore di Filippo, che insieme ad Andrea, nel quarto vangelo ha un ruolo più importante rispetto agli altri tre evangelisti: entrambi sono l’esempio del discepolo pragmatico, più preoccupato di strategie e risorse umane che di una adesione totale alla persona di Gesù. Alla domanda “dove comprare pane?”, Filippo risponde in termini prettamente umani di soldi, evidenziando una soluzione impossibile. Analoga impossibilità di soluzione è quella di Andrea, che con il suo buon senso fa presente il poco pane e pesce di un ragazzino, risorse veramente irrisorie. Nel contempo, però, Andrea comincia a prospettare una logica di condivisione, che la potenza di Gesù trasformerà in cibo sovrabbondante. Il ragazzo diventa simbolo di ogni cristiano, anche più umile, esempio di ogni condivisione.
Saltano agli occhi alcuni dettagli, con cui il narratore induce ogni lettore ad una interpretazione più profonda di Gesù come il Pane che è vita. Questo pane donato e condiviso è il suo corpo offerto per noi. Appare chiaro che l’interesse del narratore non si focalizza sul miracolo in sé, bensì sul suo significato, sul rimando ad un altro pane, che deve saziare la fame di ogni persona. La moltiplicazione dei pani diventa per il lettore una vera e propria garanzia che Cristo darà il vero cibo celeste così come ha dato quello materiale. Di fatto, non viene descritto come un pane distribuito prodigiosamente, ma come un pranzo che è prefigurazione del banchetto eucaristico. Rivelatoria, nel v. 11, è la sequenza dei verbi: “prese i pani…rese grazie…li distribuì”, con l’aggiunta dei “pezzi avanzati” che, nel vocabolario del cristianesimo delle origini, designava la frazione del pane eucaristico, vero mistero da cui nasce la chiesa.
La pienezza della grazia e della verità di Dio condivisa con l’umanità può affiorare anche da una simbologia numerica, che il quarto vangelo non disdegna. Il numero sette rinvia alla pienezza della grazia e della verità di Dio nella chiesa e nel mondo; il numero dei cinquemila (mille moltiplicato cinque) indica la moltitudine e i cinque libri della Legge (Pentateuco): Gesù subentra come “grazia su grazia”. I dodici canestri riempiti dei pani avanzati simboleggiano i dodici apostoli, che dovranno far partecipi di questa grazia il popolo di Dio nel corso del tempo. La vita che Cristo offre è divina: divina non solo perché dono di Dio, ma perché è comunione con la stessa vita di Dio. Inoltre, Giovanni ci ricorda che solo Dio può sfamare tanta gente: sempre il quarto vangelo mette in risalto la radicale impotenza dell’uomo e la gratuità e novità del dono di Dio in Gesù. Dio supera la nostra impotenza e i nostri bisogni, e la salvezza sta dunque nell’uscire da noi.
L’entusiasmo della gente che vuole proclamare Gesù come il Messia profetato dall’Antico Testamento e la reazione di Gesù che si caratterizza per il suo ritirarsi da solo, servono ad avvertire che il potere di Gesù non deve essere male interpretato. La gente pensa di aver finalmente trovato l’uomo della provvidenza che risolverà i suoi problemi. Il suo sottrarsi equivale a negare di essere re secondo i criteri meramente politici. Gesù non è un leader politico carismatico, proveniente dalla turbolenta Galilea, che si mette in competizione con Cesare. Il fatto è che Gesù vuole una ricerca sincera: i galilei cercavano se stessi, non Cristo; seguivano il loro sogno messianico, non erano in attesa del dono di Dio; cercavano il loro pane non il suo. Il gesto di Gesù che si ritira e fugge ci pone di fronte a un Dio che salva a modo suo: è attento ai bisogni degli uomini, parte dai loro disagi e dalla loro fame, ma per aprirli a una realtà che supera infinitamente le attese. Ecco l’insegnamento: la ricerca di sé impedisce di leggere il segno come rivelazione del Cristo e di aprirsi alla fede.
Bibliografia consultata: Nepi, 2015; Maggioni, 1972.
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