La domenica che cade tra Natale e il primo dell’anno, festa della Maternità divina di Maria, la Chiesa ci propone l’esempio della santa famiglia di Nazareth. La presentazione di Gesù al Tempio (Lc. 2, 22-40), avvenuta quaranta giorni dopo il Natale, da parte dei genitori, è occasione di un annuncio profetico della sua missione di Salvatore, e ci indica il ruolo che Giuseppe e Maria vi hanno svolto nella fase iniziale. L’evangelista Luca utilizza largamente l’ A.T. nella redazione dell’episodio, che mira innanzi tutto a mostrare la rivelazione del mistero di Gesù.
L’obbedienza alla Legge (vv. 22-24)
Gesù è nato da quaranta giorni e Giuseppe e Maria adempiono su di lui le formalità della Legge: la purificazione di Maria e la presentazione di Gesù. Ogni madre che ha dato alla luce un bimbo deve presentarsi al santuario il quarantesimo giorno dopo la nascita per compiere il rito della purificazione: essa deve offrire, perché povera, due colombi o due tortorelle. I genitori, in più alla Legge, presentano il bimbo al Tempio: Giuseppe e Maria riconoscono l’appartenenza del bambino al Signore.
Simeone (vv. 25-27)
“C’era un uomo a Gerusalemme di nome Simeone…” (v. 25). Simeone è presentato come un fedele osservante della legge, tutto teso all’aspettazione della salvezza messianica. E’ soprattutto un profeta, poiché lo Spirito Santo è sopra di lui come sopra i grandi profeti dell’A. T.: più fortunato dei profeti che l’hanno preceduto, perché ha ricevuto dallo Spirito l’assicurazione di vedere il messia prima di morire. La promessa si compie nel giorno in cui i genitori di Gesù presentano il bambino al Tempio.
“O Signore, ora lascia pure andare in pace il tuo servo” (v. 29). Simeone prende il bambino tra le braccia e benedice il Signore, gli rende grazie. Simeone comincia nel constatare che il Signore ha mantenuto la sua parola; ora può morire in pace perché ha visto la salvezza, che qui coincide con lo stesso nome di Gesù. Simeone abbraccia con un solo sguardo tutta l’opera di Dio: fin qui Dio ha preparato la salvezza nel suo popolo santo, ora anche i pagani stanno per partecipare a questa salvezza. Gesù è il servo del Signore, luce per le genti. Ma il richiamo dei pagani non cancella l’elezione del popolo giudaico: Israele e i pagani formeranno l’unico popolo di Dio che beneficerà della grazia del Signore. Di fronte all’oracolo di Simeone, Luca sottolinea la meraviglia del padre e della madre del bimbo: egli mette in risalto la luce nuova che il profeta apporta loro sulla missione di Gesù, che non è solo il messia di Israele, ora apprendono che egli è la salvezza dei pagani.
Secondo oracolo di Simeone: il segno contraddetto (vv. 34-35)
“Egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele” (v. 34). Il nuovo oracolo è destinato a Maria perché annuncia la divisione di Israele di fronte a Gesù e perché Giuseppe sarà scomparso al tempo della missione del Salvatore.
L’oracolo comincia col descrivere i due effetti contrari che otterrà in Israele la missione di Gesù: per gli uni la caduta, per gli altri la risurrezione. Se la salvezza è offerta in Gesù a tutto il popolo, ciascuno, di fronte a lui, deve decidersi; si può rifiutarlo e trovare in ciò la rovina, o accoglierlo ed entrare nella costruzione del nuovo popolo di Dio: la salvezza in Gesù è una salvezza mediante la fede. Gesù sarà un segno “contraddetto”, un segno che si può respingere. Dio non vuole obbligare il suo polo all’assenso; accetta che il suo segno possa venire rifiutato, non vuole essere servito da schiavi. Bruscamente Simeone passa dal bambino alla madre: le annuncia che sarà trafitta da una spada. Si tratta dell’annuncio di una prova personale di Maria, il suo dolore di madre e di credente sotto la croce di Gesù e anche la partecipazione alla sofferenza del Figlio davanti al popolo diviso. La spada che strazia il popolo di Dio, colpisce personalmente anche la madre di Gesù. Maria è straziata dal dolore, perché è unita al Figlio nell’amarezza di vedere rifiutata la salvezza e il popolo diviso tra la fede e l’incredulità.
La profezia di Anna (vv. 36-38)
Anna è una profetessa, tutta dedita al culto del Tempio. Essa celebra la lode del Signore perché constata in Gesù l’avvento della salvezza, designandolo come la redenzione di Gerusalemme.
Il ritorno a Nazareth (vv. 39-40)
La finale dell’episodio ritorna ancora una volta sulla osservanza della legge da parte dei genitori di Gesù, e collega il racconto alle scene precedenti sottolineando il ritorno di Giuseppe e Maria a Nazareth da dove erano partiti. Gesù si fortifica ripieno di sapienza ed è oggetto della grazia divina: egli cresce a Nazareth a contatto con i suoi compatrioti, come lo sarà tutta la sua vita.
Come tutti gli episodi del vangelo dell’infanzia di Gesù, anche questo della presentazione al tempio mira innanzitutto a presentare il mistero di Gesù. Come il servo del Signore, egli è la salvezza, la luce delle genti, la gloria di Israele, la liberazione di Gerusalemme. Ma la salvezza che egli porta non si impone con la forza: si potrà rifiutare Gesù, e Israele si dividerà di fronte a lui, gli uni trovando in lui la loro rovina, gli altri la loro integrazione nell’edificio messianico. Il disegno di Dio si compie con la collaborazione degli uomini: Giuseppe e Maria prendono umilmente parte al preludio di questa missione. Essi manifestano la fedeltà di Gesù all’A. T., sottomettendolo alla Legge. Maria appare in primo piano: la sua fede progredisce e si approfondisce per tappe, nella fedeltà e nella riflessione. L’incredulità di coloro che lo rifiuteranno la colpirà in pieno cuore, perché essa è per sempre intimamente unita alla missione di Gesù, come serva umile e fedele.
Bibliografia consultata: George, 1971.
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