Nella prima domenica di Quaresima, la liturgia domenicale ci fa leggere il brano delle tentazioni di Gesù nella versione di Matteo (4, 1-11). Noi possediamo tre racconti evangelici della tentazione di Gesù. In una visione di insieme dei tre testi siamo subito colpiti dalla estrema sobrietà del racconto di Marco e dall’ampiezza parallela di Matteo e Luca. Risalta subito agli occhi il fatto che il racconto della tentazione di Gesù segue immediatamente a quello del Battesimo e della voce celeste che designa Gesù come Figlio di Dio; ad esso, poi, segue immediatamente il ritorno di Gesù in Galilea e l’inizio del ministero pubblico. Delle tre famose prove, Matteo e Luca presentano un racconto lungo che sembra privilegiare e illustrare il primo tema di Marco, e cioè che Gesù viene tentato da Satana. La narrazione di queste tre prove dipende ovviamente da una fonte comune ed è caratterizzata dal suo riferimento all’Antico Testamento che la struttura fortemente. Tre sono dunque le tentazioni: il pane (l’idolo del piacere ), sul pinnacolo del tempio (l’idolo del potere su Dio) e i regni di questo mondo (l’idolo dell’avere e del potere). Esse vengono presentate in un ordine che non sempre è il medesimo e con un numero di citazioni implicite o esplicite dell’Antico Testamento, messe in bocca a Gesù e perfino in bocca a Satana.
La prima tentazione: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (cfr. Dt. 8, 3). Gesù, dopo avere digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ha fame. La fame è l’appiglio, abilmente scelto, per la prima richiesta tentatrice del diavolo, che solo qui è chiamato il tentatore, probabilmente per indicare la sua natura pericolosa e minacciosa. Satana mette in dubbio la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, fatta dalla voce celeste durante la “teofania” del Battesimo sul fiume Giordano. L’evangelista, con questa annotazione, allude chiaramente al soggiorno di Israele nel deserto, dove tutto il popolo cercava il cibo necessario alla sua sussistenza. Nella risposta che dà a Satana, Gesù si presenta come l’uomo che vive della Parola di Dio. Il Figlio è innanzi tutto un povero in spirito sottomesso alla Parola che diventa suo alimento. Ciò significa che ancora più importante del pane è per l’uomo la parola di Dio e l’obbedienza a lui. La parola di Dio è infatti vera vita. Ecco la prima lezione appresa da Gesù nei quaranta giorni e quaranta notti di permanenza nel deserto, simile a quella di Israele durante l’esodo e di Mosè sul monte Sinai.
La seconda tentazione: “Non tentare il Signore Dio tuo” (Dt. 6, 16). Luogo dell’azione è la città santa, Gerusalemme, e in essa il sacro luogo del tempio e nel suo punto più alto. L’insinuazione del diavolo è che Gesù, nella sua qualità di Figlio di Dio, può accampare il diritto alla straordinaria protezione divina, come recita il Salmo 91, 11. Ancora una volta l’intervento di Satana mette in dubbio il fatto che Gesù sia Figlio di Dio. E’ l’unica tentazione dove il Maligno utilizza la Scrittura, e questo fatto, piuttosto curioso, si spiega se si tiene in considerazione la prima risposta di Gesù che si fa interprete della Parola di Dio, quasi sostituendosi a Dio Padre. E Gesù risponde che non si deve mettere alla prova il Signore Dio. All’interpretazione “fondamentalista” e letterale del diavolo, Gesù oppone l’interpretazione equilibrata che si fonda su una conoscenza generale della tradizione scritturistica. L’evangelista situa così il Figlio sul pinnacolo del Tempio, presentandolo non come il prodigioso taumaturgo atteso, ma come il vero maestro interprete della Parola. Il distacco da Dio, a cui il diavolo cerca di allettare Gesù, consiste nella sprezzante provocazione della bontà di Dio. L’uomo che tratta Dio come una merce di scambio, non sarebbe più uno che riconosce docilmente il suo volere. La tentazione degli uomini di mettere alla prova Dio equivale in sostanza a metterlo in dubbio.
La terza tentazione: “Adora il Signore Dio tuo, e a lui solo rendi culto” (cfr. Dt. 6, 13). Terzo trasporto di Gesù, questa volta “sopra un monte altissimo” (v. 8), come ben si addice ad un rabbino nelle sue funzioni di maestro che abbia dato prova della propria autorità. A differenza dell’alto monte su cui avviene la trasfigurazione di Gesù e del monte della scena finale del vangelo, questo monte deve essere lasciato all’immaginazione, anche per il panorama che offre (cfr. La Monna, per i montanari doc !). Il diavolo fa vedere a Gesù tutti i regni del mondo e il loro splendore. La tentazione non consiste in una falsa immagine del Messia, ma nel fatto che il prezzo è l’adorazione del diavolo. Affiora l’idolatramento del mondo e della sua gloria, l’essere schiavi di un mondo svincolato da Dio.
Gesù ha un unico Signore, e ciò autorizza il suo modo di utilizzare la Scrittura e gli permette di smascherare il diavolo chiamato per nome, “satana”, e quindi ridotto all’impotenza. Ancora una volta i termini utilizzati dal Figlio di Dio sono quelli noti a qualsiasi giudeo fedele, attinti dalla legge fondamentale di Israele, assunta ora in tutta la pienezza, in occasione di un combattimento decisivo e definitivo. La vera adorazione filiale è la conclusione di uno scontro iniziato con una contestazione di identità e una discussione esegetica.
Il felice esito della tentazione viene presentato in un duplice modo. Da un lato il diavolo abbandona Gesù, dall’altro a Gesù si accostano gli angeli e lo servono. Il tentatore non è ancora definitivamente battuto. Egli si ritira solo per effetto dell’ordine imperioso “vattene satana”.
Le tentazioni di Gesù sono anche le nostre tentazioni: Satana tenta anche noi oggi nel convincerci che i bisogni fisiologici sono lo scopo della nostra vita; che non possiamo non soddisfare l’istinto della fame, come pure le pulsioni vitali e l’istinto di conservazione della specie. Ma questi bisogni vitali se assolutizzati diventano i nostri padroni, per usare la felice espressione di Freud che affermava: “l’io non è padrone in casa propria!”, proprio perché “non di solo pane vive l’uomo. E che dire dell’idolo dell’avere e del potere: oggi siamo tutti convinti che chi ha tanti soldi comanda su tutto e su tutti. Siamo diventati schiavi della ricchezza (“Mammona”) e della carriera (Potere), spadroneggiando su tutti. Circa la genuinità della nostra fede, stiamo attenti a non mettere alla prova il Signore: siccome io dono tante cose al Signore, allora Lui è obbligato ad ascoltarmi e a fare la mia volontà!
Bibliografia consultata: Smyth-Florentin, 1973; Gnilka, 1990.
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