Gianni Mura, la storia del giornalismo sportivo
Ieri l’incontro con gli studenti di Roma Tre
Ieri si è tenuto l’incontro con Gianni Mura – considerato il più grande giornalista sportivo italiano – presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tre.
La conferenza, che ha concluso la serie di incontri organizzata dall’Ufficio Iniziative Sportive dell’Ateneo romano, ha avuto come protagonista l’ultima fatica di Gianni Mura, ‘Non gioco più, me ne vado’.
Si tratta di un libro di sport, di calcio e di ciclismo.
480 pagine che raccontano non solo i momenti delle competizioni sportive, il prima-durante-dopo, ma anche come noi ci rivediamo in quei momenti.
In questo libro, Gianni Mura, già autore de ‘Giallo su Giallo’, edito da Feltrinelli nel 2007, ha ripercorso quasi 50 anni di sport in Italia, creando un’atmosfera unica e sensazionale, soprattutto per i ragazzi che, non avendo avuto esperienza diretta degli ultimi 50 anni dello sport in Italia, hanno avuto la possibilità di entrare nel vivo delle competizioni sportive, grazie alle parole e ai racconti del giornalista sportivo.
Sembrava di vederli, Gimondi e Pantani. Sembrava di essere lì, ai lati del Tour de France, sembrava di toccarla la fatica e il sudore dei ciclisti, di partecipare alla gloria e alla gioia della vittoria.
Sembrava di essere sugli spalti dello stadio che ha ospitato le finali più importanti di calcio.
Poi, la tristezza nel momento del racconto della morte di Marco Pantani, quel 14 febbraio 2004, quando il ciclista campione è stato ritrovato morto in una stanza del residence “Le Rose”, a Rimini.
Del lato brutto dello sport, si era già parlato con Damiano Tommasi, che aveva magistralmente raccontato, lo scorso 14 maggio, il mondo degli Ultras.
Ieri, Diego Mariottini, responsabile della comunicazione sportiva a Roma Tre, Mattia Chiusano, giornalista de La Repubblica, e Gianni Mura, non hanno raccontato solo la storia dello sport italiano, ma hanno anche affrontato temi che in Italia ancora oggi sono dei tabù.
Come il doping, e il doping nel ciclismo.
Quel doping che ancora oggi rovina le carriere di giovani atleti.
Perché ciò che manca è la cultura dell’amore per se stessi, sacrificata, troppo spesso, per favorire la cultura del primo a tutti i costi, annientando lo spirito della persona umana.