La giornata internazionale delle donne o festa della donna, è solitamente associata a un episodio luttuoso che forse non tutte conosciamo: l’incendio della fabbrica Triangle.
Avvenuto il 25 marzo 1911, fu il più grave incidente industriale della storia di New York. Causò la morte di 146 persone (123 donne e 23 uomini), per la maggior parte giovani immigrati italiani ed ebrei.
L’evento ebbe una forte eco sociale e politica, a seguito della quale vennero varate nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro e crebbero notevolmente le adesioni alla International Ladies’ Garment Workers’ Union, oggi uno dei più importanti sindacati degli Stati Uniti.
Morirono in fabbrica, quelle donne. Morirono, e per questo l’8 marzo non è la festa della donna. Questa ricorrenza è la giornata internazionale delle donne.
Un giorno di lotta. Lotta perché quel diritto a essere rispettate sia alla base di ogni rapporto umano. Donne, non oggetti o poco meno.
Come donne possiamo e dobbiamo farlo. Abbiamo il diritto di accettare fiori solo da chi ci vuole bene tutto l’anno. Il diritto di dare un valore a chi ci rispetta, a chi sostiene le nostre battaglie. Abbiamo bisogno di solidarietà tra donne; continuiamo a volerci bene e non scordiamo mai che l’8 marzo dovrebbe essere tutto l’anno.
È l’8 marzo ogni giorno in cui il rispetto e l’amore per la donna sono una piacevole abitudine di cui, al limite, chiacchierare. Sarà davvero l’otto marzo quando ricorderemo la lotta per una pace già conquistata.
Ricordo Antonietta Gargiulo che sopravvive ancora oggi al dolore più profondo che una madre possa vivere: la morte delle figlie, ammazzate dal padre. Penso alle sue parole dell’8 dicembre; penso a lei, a quando ha detto: “Le donne siano ascoltate, mai più violenze sui bimbi”. Le donne siano ascoltate.
Era l’alba del 28 febbraio del 2018 quando Luigi Capasso, il marito di Antonietta Gargiulo la raggiunge in garage e le spara. La figlia Martina, 7 anni, venne uccisa subito dopo, quando ancora dormiva nel suo letto. Alessia, 13 anni, era già sveglia, forse assonnata ma in piedi, quando suo padre le ha sparato a sangue freddo. Dopo gli omicidi l’uomo, un carabiniere, si barrica in casa.
Passano nove ore di trattative con i negoziatori e l’ex appuntato scelto dei carabinieri si toglie la vita sparandosi alla testa con la pistola d’ordinanza.
Antonietta è sopravvista a quella che tutti ricordano come la strage di Cisterna ma è condannata all’ergastolo del dolore.
Un dolore terribile per una strage che poteva essere evitata. Antonietta si stava separando da quell’uomo pericoloso e instabile. E lo sapevano tutti, anche i colleghi dell’arma.
Capasso, infatti, era già stato sospeso per due mesi dal servizio per una truffa alle assicurazioni e poi era stato reintegrato.
Antonietta Gargiulo aveva già parlato con il comandante dell’arma dei Carabinieri di Velletri raccontando la gravità della situazione e anche con gli assistenti sociali, per tutelare le figlie che non volevano più vedere il padre: le avevano consigliato di tenerle lontane da lui.
Nel settembre del 2017 la donna aveva infine presentato un esposto alla questura di Latina, dopo aver subito un’aggressione da parte del marito sul posto di lavoro e poi di nuovo a casa, davanti alle figlie: un esposto che non aveva avuto alcun seguito.
Vale la pena allora oggi, e fino a quando non lo saremo davvero continuare a gridare con tutta la nostra voce che No. Non staremo ferme a farci ammazzare, continueremo a sostenerci ed essere consapevoli del nostro valore di donne. Perché le parole e la storia di Antonietta non siano solo l’ennesimo fatto di cronaca nera:
“Le donne siano ascoltate, mai più violenze sui bimbi”. Le donne siano ascoltate.
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