Giovani imprenditori agricoli di Colleferro costretti a lasciare
La storia che vogliamo raccontare oggi fa parte della storia del nostro territorio, con particolare riferimento all’agricoltura
Il territorio fa scappare i giovani? La storia che vogliamo raccontare oggi fa parte della storia del nostro territorio, con particolare riferimento all’agricoltura. Gerardo Nobili, 33 anni, nato e cresciuto a Colleferro in località IV KM da tre generazioni di agricoltori, ha sempre portato avanti con passione e devozione l’azienda di famiglia. Da qualche anno quell’azienda ha il suo stesso nome e all’interno ci hanno lavorato, dagli anni’60 i suoi nonni prima e suo padre poi. La mission dell’azienda è sempre stata quella dell’allevamento delle mucche da latte, degli ovini, con produzione di carne, latte e formaggi. Negli anni è stato realizzato anche una macelleria e un caseificio annessi all’azienda.
La situazione degli allevatori nella Valle del Sacco non è più rosea da decenni a questa parte, come è noto ai più. “Dalla prossima primavera mi trasferirò a Campagnatico in provincia di Grosseto – ci racconta Gerardo Nobili – sono stato costretto a investire altrove per continuare il mio sogno, quello di una grande azienda agricola con annesso uliveto e vigneto. A malincuore lascio la mia terra, la casa in cui sono nato e cresciuto, ma qui non avevo più la possibilità di lavorare”. Un trasferimento dovuto all’amore che questo giovane mette nel suo lavoro.
“Non vorrei fare nessun altro lavoro che quello dell’allevatore – prosegue, raccontandoci la sua avventura – ma da quando si è lasciato fare alle industrie il bello e il cattivo tempo, non c’è più spazio per l’agricoltura e siccome sono ancora giovane e ho i figli piccoli ho deciso di andare in luoghi dove le mie competenze e la mia passione per la terra e per gli animali sono un vanto e non una vergogna”. Il terreno dell’azienda di Gerardo Nobili si trova in via San Benedetto, in località IV km, al confine con i terreni Secosvim, sui quali insistono la Simmel Difesa, l’Avio e la Termica Colleferro. “Dal 2005 in poi, per via dei veleni riscontrati nelle acque del fiume Sacco – ci racconta il giovane – ai mercati contadini, ai quali partecipavo, nessuno acquistava i miei prodotti sapendo che arrivano da Colleferro. Eppure i miei terreni si trovano nella zona nord di Colleferro, non sulle rive del fiume, dopo 500 metri inizia il territorio di Artena. In quel periodo i controlli erano ancora più stringenti per tutti noi allevatori e i prodotti risultavano sicuri, ma questo non bastava a far cambiare idea all’opinione pubblica, ho visto così ordini negati da parte dei supermercati, addirittura mi è stato chiesto di cambiare sede legale per fare in modo che il nome di Colleferro non apparisse sui prodotti – il racconto accorato di Gerardo – le conseguenze sono state disastrose per noi allevatori che non eravamo coinvolti in questa vicenda, mentre chi è stato interessato dalla molecola di betaesaclorocicloesano è stato risarcito ed è potuto ripartire, e io? Io non coinvolto con il mio terreno e i miei animali, ho pagato solo le conseguenze. Non solo. Ultimamente è successa la stessa cosa, dopo il servizio andato in onda alle Iene, lo scorso dicembre, sempre sui veleni della Valle del Sacco, ho avuto decine di disdette per gli agnelli ordinati per Natale”.
Una storia che sembra lontana e ormai superata, ma pare che la situazione da allora in poi non è mai migliorata, anzi. “La Secosvim, nostra confinante e proprietaria per circa 1300 ettari di terreno – prosegue il giovano imprenditore agricolo – ha costruito a ridosso dei confini della mia proprietà un insediamento industriale (Simmel ndr) nel settore degli esplosivi, apportando un danno patrimoniale enorme, con svalutazione dell’azienda e decenni di sacrifici della mia famiglia buttati al vento, di fronte all’indifferenza di chi potava intervenire e non l’ha fatto. Se solo la Secosvim avesse messo a nostra disposizione i terreni per la pulizia avrebbe dato sicuramente a tutti noi un supporto, anziché distruggere foraggi che potevamo mettere a disposizione per la sopravvivenza dei nostri animali. Ora che me ne vado e devo vendere l’azienda, nessuno la vuole, per tutti i motivi che ho spiegato. Le responsabilità? Secondo me di una politica industriale che ha messo da parte il lavoro della terra, svalutando capitali di chi è venuto a investire nei primi anni del ‘900 su questo territorio. L’agricoltura ha ancora peso? Queste istanze le ho sempre sollevate sia alle amministrazioni comunali che si sono succedute, sia alle associazioni di categoria, ma la risposta è stata nulla e per questo vado via, non senza dispiacere, di lasciare qui le mie radici ”.