Parliamo del dramma accaduto qualche giorno fa, il 20 marzo scorso sul G.R.A. Era intorno all'una di notte, una Ford Fiesta guidata da Giuseppe Petraroli, 35 anni, originario di San Vito dei Normanni ma romano di adozione si schiantava contro un'altra autovettura, una Ford C Max guidata da un automobilista di cui non si conosce l'identità. Fin qui sembrerebbe un normale, seppur tragico, incidente, se non fosse che la Ford C Max viaggiava sul G.R.A. contromano, dopo essere entrata dallo svincolo della Centrale del latte e che il conducente, fosse un carabiniere di 59 anni, di stanza al Comando generale, risultato positivo al test dell'alcool, con un valore di 2,15 (il limite è 0,5). Un fatto drammatico che ha lasciato tutti sbigottiti: un carabiniere, un tutore dell'ordine pubblico, che dovrebbe proteggerci da crimini e criminali, diventa egli stesso autore di una debolezza imperdonabile, bere in maniera smodata e mettersi alla guida in uno stato evidente di ebbrezza tanto da prendere contromano il raccordo anulare. Chi è questo carabiniere? Chiaramente il suo nome, ricoverato in gravi condizioni, è noto alle forze dell'ordine e al magistrato che ha ordinato il suo arresto per omicidio colposo ma quasi nulla si conosce della sua identità, le iniziali puntate, a volte la dicitura generica di "militare" e una risonanza mediatica molto tiepida e durata uno spazio di tempo brevissimo.
Siamo abituati a ben altro clamore quando crimini del genere vengono compiuti da persone comuni. Giuseppe Petraroli, la vittima, era un ragazzo molto stimato nell'ambiente lavorativo, era responsabile di alcuni comparti del gruppo Decathlon, un lavoro che lo portava spesso in giro per l'Italia e ricopriva il suo ruolo con grande umanità: "Tratto i dipendenti come fossero amici", si vantava, e i dipendenti riconoscevano la sua leadership e lo ricambiavano con una dedizione totale. Diverse passioni accompagnavano questo ragazzo arrivato dalla Puglia e giunto prima a Parma per completare la laurea in Economia e Finanza e poi in giro per l'Italia fino a Roma, dove l'amore per la Lazio lo tramutava in super tifoso, sempre presente all'Olimpico e in trasferta in Italia e in Europa,una passione condivisa con la sua Giordana, che amorevolmente era al suo fianco da ormai 5 anni. Aveva già preso il biglietto per Salisburgo per seguire la squadra e ci aveva combinato anche una bella vacanza di una settimana in bassa Sassonia, perché un'altra sua grande passione era viaggiare. Come amava spesso confidare agli amici: "Un week end passato a casa è un week end buttato". E Giuseppe non si fermava mai, appassionato di cultura fisica e di sana alimentazione. Un giovane che era un inno alla vita ha visto infranti in un momento tutti i suoi sogni e i sogni delle persone che lo amavano e tutto a causa di un incosciente che alza il gomito e poi si mette al volante di un'autovettura. Un carabiniere quell'incosciente.
Gli anziani genitori arrivati dalla Puglia dopo essere stati avvisati la mattina della tragedia erano distrutti, difficile da accettare un dramma così grande. L' unica soddisfazione per questa umile e sfortunata coppia di genitori è stata vedere al funerale del loro figliolo la partecipazione di una folla smisurata che non si aspettavano e che ha reso loro l'idea di quanto fosse amato il loro ragazzo, amato e stimato da amici, abitanti del quartiere, colleghi di lavoro e tifosi della sua squadra di calcio, un vero fiume di affetto. Per la sua giovane fidanzata si prospetta un futuro diverso, distrutti i suoi sogni e i progetti con Giuseppe, infranti con la Ford Fiesta sul G.R.A. Ora per Giordana l'unica cosa che conta veramente è avere giustizia, ma attenzione, non vendetta o pene esemplari ma solo giustizia, affinché Giuseppe non sia morto due volte, come spesso succede ad alcune vittime, quando i responsabili non sono proprio cittadini comuni.
Nel corso degli ultimi anni abbiamo avuto occasione di vedere, più di una volta, nei casi in cui un fatto drammatico di cronaca ha coinvolto persone che vestono una divisa, quanto sia difficile venire a capo della verità e fare giustizia, come nel caso di Gabriele Sandri, di Stefano Cucchi e, recentemente, nel caso del carabiniere che, a Cisterna di Latina, ha sparato alla moglie e ucciso le due figlie, ma che veniva trattato quasi con comprensione dai colleghi, (ricordate le immagini in tv?), i quali dialogavano con lui dal balcone accanto, senza preoccuparsi troppo di renderlo inoffensivo, con un garantismo disarmante.
Niente altro trapela riguardo al carabiniere che ha causato l'incidente mortale, tranne il fatto che sia stato arrestato (è piantonato in ospedale) e la sua sospensione dall'arma. C'è una richiesta di scarcerazione presentata dall'avvocato di parte, e che se concessa, turberebbe chi è rimasto colpito e offeso dalla tragedia avvenuta. E' facile ripetere che non si vogliono fare accuse preventive a nessuno e che c'è tutta la speranza che la giustizia faccia il suo normale decorso e addebiti a chi è colpevole la giusta pena, non si cercano vendette o capri espiatori o pene esemplari, ma semplicemente non si può più accettare che nel 2018 ci sia uno schieramento corporativo che debba ad ogni costo difendere persone colte in piena e inequivocabile responsabilità di reato. Non vorremmo più vedere preti pedofili e la Chiesa che urla la loro innocenza parlando di complotto, salvo poi farli sparire trasferendoli mille miglia lontano, così come non vorremmo più vedere, in caso di colpe evidenti, esponenti delle forze dell'ordine graziati con fumose e fantasiose motivazioni e, se condannati, a pene irrisorie e spesso agevolati da attenuanti immotivate. Fino a prova contraria, un reato di chi veste una divisa non è un reato meno grave. Speriamo che in questa Italia che vuole cambiare arrivino nuovi segnali anche da questo punto di vista, che non prevedano cittadini di serie A e di serie B e che siano tutti uguali davanti alla legge.
Giuseppe era un ragazzo innamorato della vita, che lascia un vuoto incolmabile nei suoi cari. Un vuoto che solo una giustizia giusta potrà lenire, parzialmente.
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* Foto dal profilo Facebook di Giuseppe Petraroli
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