Gli invitati alle nozze del Re
di Il capocordata
Gli studiosi hanno rintracciato tre versioni della parabola (Mt. 22,1-14) che ascolteremo domenica prossima durante la liturgia domenicale. Essa, nonostante le notevoli differenze nei dettagli, mostra una identità sostanziale. Si tratta sempre di un invito a un banchetto, rifiutato e sostituito da un altro invito rivolto indistintamente a dei passanti per la strada. Questa parabola primitiva deve risalire nelle sue linee essenziali all’origine della tradizione evangelica, cioè all’insegnamento stesso di Gesù. Una parabola simile a questa dell’ambiente rabbinico (degli scribi) era certamente conosciuta nel contesto giudaico al tempo di Gesù, per cui le sue parole avevano un suono familiare, nonostante che Gesù ne abbia trasformato la sostanza e il significato. La parabola nell’insegnamento di Gesù rappresentava senza dubbio una difesa e una giustificazione del Vangelo.
La gente pia (i farisei), i teologi (gli scribi), i capi religiosi del popolo (i sacerdoti) non accolsero la Buona novella del Regno che Gesù annunciava, benché all’inizio fosse destinata anzitutto a loro. Invece, il popolo e parecchi fra gli emarginati (pubblicani e prostitute) esclusi dai potenti, si mostravano più aperti ai richiami di Gesù e lo seguivano volentieri; la qual cosa suscitava lo scandalo e le critiche degli ambienti cosiddetti benpensanti. La parabola degli invitati alle nozze del figlio del Re corrisponde a questo atteggiamento ipocrita: “voi siete come questi invitati che rifiutano. Vi scandalizzate perché sono circondato da gente disprezzabile ai vostri occhi; ma siete voi che avete rifiutato di venire ed ora vi dimenticate che non sono i giusti, ma i peccatori che hanno bisogno della salvezza.
Il tono della parabola, pronunciata da Gesù, era dunque polemico: si trattava di giustificare la sua condotta di fronte ai peccatori e di condannare lo scandalo farisaico dei potenti. Gesù rivelava l’amore di Dio per i piccoli, e nello stesso tempo denunciava quelli che rifiutavano la chiamata evangelica, escludendosi così dalla festa del Regno che la sua venuta instaurava.
Matteo amplifica questa parabola primitiva, originaria, radicata all’insegnamento di Gesù, orientandola verso un significato allegorico: un Re che prepara un banchetto nuziale per suo figlio, il servitore si moltiplica in parecchie categorie, gli invitati raccolti per le strade sono qualificati in buoni e cattivi. Il suo intento è chiaramente polemico: Gesù rimprovera ai capi religiosi il rifiuto che oppongono alla sua missione; il loro atteggiamento verso i servi attira su di loro il castigo: allusione chiarissima alla distruzione di Gerusalemme. Matteo, infine, aggiunge l’episodio dell’invitato privo della veste nuziale, facendo affiorare la preoccupazione della santità nella comunità cristiana. Ad ogni invitato si impone da parte sua un impegno: deve indossare l’abito della giustizia, della santità divina. Questa preoccupazione è sempre presente anche nell’insegnamento di Gesù: le parabole della zizzania e della rete gettata in mare, mostrano che Gesù stesso dava una risposta e affermava delle esigenze di fronte a coloro che non erano degni di appartenere al gruppo dei suoi discepoli.
Commento
Un re prepara un banchetto di nozze per suo figlio. Matteo paragona Dio a un Re che inaugura l’era messianica, espressa dall’immagine delle nozze. Così, ciò che Gesù proclama è la gioia e la festa. Due inviti sono trasmessi per mezzo di numerosi servitori a quelli che sono stati già avvisati. Il primo rifiuto degli invitati è risoluto: si tratta di una decisione del tutto volontaria. Lungi dall’esserne sconcertato, il re rinnova il suo invito con insistenza: “Venite alle nozze” (v. 4). Anche a questo secondo invito corrisponde un diniego. Gli invitati non tengono in alcun conto l’invito: hanno delle cose più importanti da fare (v. 5). Altri reagiscono più brutalmente: prendono i messaggeri, li maltrattano e li uccidono. In questi servitori si intravvedono i messaggeri di tutti i tempi inviati da Dio al suo popolo: il loro messaggio non è accolto; in più, li si perseguita e li si rifiuta. Coloro che li rifiutano sono, secondo la prospettiva di Gesù e dell’evangelista, i capi ebrei verso i quali Gesù indirizza questa e altre parabole. La reazione del re non tarda: si infuria, manda le sue truppe, fa uccidere gli omicidi e dà alle fiamme la loro città. Per Matteo c'è qui una minaccia sospesa sul popolo che si è realizzata storicamente con la rovina di Gerusalemme nell’anno 70 d.C.
Il banchetto aspetta sempre, perciò il re, per riempire la sala del banchetto, ordina ai suoi servi di andare nei crocicchi delle strade, di invitare e di radunare quelli che si trovano lì, “buoni e cattivi”. Quest’ultima espressione esprime la scelta gratuita e misericordiosa di Dio che ama tutti gli uomini; descrive, inoltre, la condizione reale della comunità cristiana ai tempi di Matteo dove non tutti erano santi. Il re, durante il banchetto, viene a salutare gli invitati passando in mezzo a loro. Nella folla c’è qualcuno che non porta la veste che si addice alla festa. (v. 11). Il re chiama l’intruso “amico”, un termine che in Matteo comporta un rimprovero nei confronti di un colpevole. L’invitato senza veste nuziale rimane in silenzio per la confusione. Il re, allora, dà ordini ai suoi servi di legare mani e piedi del colpevole e di gettarlo fuori dalla sala illuminata, nelle tenebre della notte. L’invitato è escluso dalla festa perché ha creduto di poter entrare nel Regno facilmente senza indossare la veste nuziale: cioè, la giustizia, la santità richiesta a coloro che vogliono appartenere alla comunità dei salvati; la veste splendente consiste nelle opere giuste dei santi.
Significato generale della parabola
Il testo racchiude due insegnamenti: da una parte descrive il comportamento di Dio e Gesù, e dall’altra descrive ciò che riguarda la comunità dei discepoli di Gesù. Il popolo ebreo è invitato, nella persona dei suoi rappresentanti ufficiali, alla festa della salvezza: essi rifiutano tale invito. Allora il re invita tutti i passanti che non erano preparati per tale privilegio. Essi sono i “piccoli” del popolo ebraico, ma soprattutto i pagani: in tal modo Dio si dimostra generoso e giusto, perché dona a tutti gratuitamente la gioia della sua salvezza. Il secondo insegnamento mette in guardia i discepoli di Gesù contro l’idea che basta essere chiamati per avere la garanzia della salvezza. Non basta far parte della sua comunità: bisogna anche indossare la veste nuziale, compiere cioè le opere richieste dalla nuova e superiore giustizia proclamata da Gesù nel suo discorso inaugurale sul Monte. Altrimenti, anche se già ammessi, si rischia di essere gettati fuori, esclusi per sempre dal suo Regno.
Bibliografia consultata: Matura, 1976.