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Gli operai dell’undicesima ora

La parabola (Mt. 20, 1-16) racconta una storia, certo un po’ singolare, ma che sembra estremamente semplice. Un proprietario ha ingaggiato a lavorare nella sua vigna alcuni operai in ore diverse della giornata; giunta la sera, dà a tutti il medesimo salario. Quelli che hanno lavorato dodici ore si ritengono lesi per non essere stati pagati meglio di coloro che hanno lavorato soltanto un’ora. Il padrone spiega dunque la sua condotta ed è chiaro che, attraverso la situazione immaginata dal racconto, la spiegazione ha di mira una difficoltà creata dal ministero di Gesù: si è portati a pensare allo scandalo provocato nei “giusti” dalla sua abitudine di frequentare i “peccatori”. Tuttavia, due sono le interpretazioni che gli studiosi hanno dato alla parabola: una, fa sua il punto di vista degli operai della prima ora e giudica la condotta del padrone nella prospettiva della giustizia; l’altra, è orientata sull’atteggiamento degli operai scontenti, che si rivela grazie al gesto di bontà del padrone e diventa poi oggetto di una precisazione.

Contesto evangelico

Il contesto immediato in cui l’evangelista Matteo colloca la sua parabola è la frase che conclude il capitolo 19 che precede subito la parabola degli operai dell’undicesima ora: “Molti da primi saranno ultimi, e da ultimi primi” (19, 30). E la nostra parabola, infatti, chiude dicendo: “Così gli ultimi saranno primi, e i primi gli ultimi” (20, 16). La parabola diventa dunque l’illustrazione di una promessa fatta ai discepoli che, considerati come ultimi, saranno primi in occasione della retribuzione. Inoltre, l’evangelista ci spinge ad approfondire il senso di questa storia in funzione dei suoi legami con il ministero di Gesù.

Il comportamento del padrone

Secondo alcuni, il comportamento del padrone è insostenibile proprio perché ha deciso arbitrariamente di trattare alcuni secondo il loro diritto e gli altri secondo la propria generosità. Se vuol essere generoso con gli uni lo sia per tutti; se desidera attenersi alla legge per gli uni, vi si attenga per tutti. Così duramente contestato, il padrone deve difendere la propria condotta. La sua spiegazione si articola in tre punti, ma solo i primi due rispondono all’obiezione sollevata. Egli osserva innanzitutto che i primi operai non sono stati lesi, poiché hanno ricevuto il salario convenuto. Per quanto riguarda gli ultimi arrivati, egli osserva che nulla gli vieta di fare del proprio denaro quello che gli piace, e quindi di mostrarsi generoso verso gli ultimi. La difficoltà nasce dal rapporto che si stabilisce necessariamente tra i due trattamenti diversi. Il terzo punto assume l’interrogativo del padrone: “Tu sei invidioso perché io sono buono?” (v. 15), e colloca la discussione su un altro piano.

L’atteggiamento dei primi operai

Con l’interrogativo del padrone i primi operai sono invitati a considerare le proprie motivazioni. E’ veramente il desiderio di giustizia ad ispirare le loro recriminazioni? Attraverso gli operai della parabola, questo interrogativo è rivolto agli uditori di Gesù e a cui dovranno rispondere personalmente, proprio come aveva fatto con la parabola del figliuol prodigo con l’invito del Padre al figlio maggiore.

Si è generalmente concordi a ritenere che la nostra parabola e quella del figliuol prodigo siano state narrate per coloro che si scandalizzavano dei rapporti familiari intrattenuti da Gesù con i “peccatori”. Gli scribi e i farisei giudicavano la compagnia dei peccatori non solo indegna di un uomo che si proclamava inviato di Dio, ma in essa vedevano un affronto personale, un oltraggio ai loro diritti fondati su una condotta esemplare. Essi si riconoscono negli operai della prima ora e soprattutto condividono le loro recriminazioni contro il padrone della vigna. Per essi il padrone rivolge l’interrogativo: “Tu sei invidioso perché io sono buono?”

Ciò che irrita i primi operai è il fatto di vedere che questi ultimi hanno ricevuto quanto loro: a loro interessa di più  vedere  gli altri trattati meno bene di loro. Chi ha lavorato di meno non ha lo stesso diritto di chi ha lavorato di più! E ciò viene detto da loro con un tono di superiorità rispetto ai compagni dell’ultima ora. Gli operai della prima ora rivendicano il loro privilegio unicamente cessando di essere solidali con i loro compagni. Gli operai malcontenti dovrebbero incominciare a riconoscere gli operai dell’undicesima ora come loro compagni, come uomini da cui sono legati da una solidarietà profonda, e gioire con loro che hanno ricevuto un inaspettato guadagno.

Poiché in realtà si tratta dell’atteggiamento dei farisei verso i peccatori, la parabola vuol dire loro in sostanza che, per poter comprendere la condotta di Dio manifestata nel comportamento di Gesù, dovrebbero incominciare a riconoscere questi diseredati come loro fratelli. Essi non riescono a comprendere ciò che avviene sotto i loro occhi, perché sono privi di bontà, cioè di capacità d’amare. L’interpretazione storica vede nei farisei  i destinatari della parabola: essi si scandalizzano di fronte alla bontà di Gesù che lo spinge alla comunione di mensa con i pubblicani e i peccatori. Invece, la parabola mira a ottenere simpatia per le premure di Dio verso i poveri, i diseredati, la gente comune. Essa mira a suscitare sentimenti di misericordia in chi non sa che cosa sia la misericordia, nei privilegiati, che si ritengono migliori e disprezzano gli altri. La ricompensa di Dio non è mai meritata, è un dono. Dio si riserva la libertà della scelta per grazia, che abbatte la presunzione umana. Tale libertà non è arbitrio, ma amore, e come tale va inteso.

La parabola di Gesù è indirizzata a persone che, trincerate dietro la coscienza della loro aristocratica superiorità spirituale, giudicano come un affronto ai propri privilegi la sollecitudine dimostrata da Gesù verso i peccatori che essi coprono del loro disprezzo e ai quali non li lega alcuna solidarietà. Questa sollecitudine di Gesù verso i peccatori esprime e realizza quella di Dio stesso. La conoscenza del Dio di Gesù Cristo passa necessariamente attraverso il riconoscimento degli altri uomini come nostri fratelli: “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”!                 

Bibliografia consultata: Dupont, 1975; Gnilka, 1990.

Redazione

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