Governo e coronavirus nel mirino del virologo Andrea Crisanti. E, se l’accanimento contro il microrganismo è del tutto normale, meno scontato era l’affondo contro la politica. Al cui operato, presente e passato, il luminare non ha risparmiato critiche anche molto severe.
«Sono sorpreso dalla risposta del Governo». Il Direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova era in collegamento con Piazzapulita, su La7, quando la sua perplessità è letteralmente esondata.
Il motivo era una nota di Palazzo Chigi declamata in diretta da Corrado Formigli. «Abbiamo mandato alle Regioni 2,7 milioni di tamponi, ne hanno usati 2 milioni. Ne manderemo nei prossimi due mesi altri 5 milioni» si vantava la Presidenza del Consiglio.
«Ma che vuol dire?» ha replicato caustico Crisanti. Sono solo «due bastoncini con la garza assorbente per prendere il materiale dalla mucosa o» anche «i reagenti che li accompagnano?»
Un quesito a cui Formigli non aveva gli elementi per rispondere, eppure il presentatore ha voluto comunque azzardare che s’intendesse «la capacità di» fare i tamponi. Tutto compreso, cioè, non solo i cotton fioc.
«Questo non è possibile» lo ha gelato l’esperto. «Non ci stanno in Italia 2 milioni di dosi di reagenti perché c’è una carenza pazzesca», tanto è vero che «tutte le Regioni si lamentano».
Il conduttore ha allora obiettato che i reagenti erano disponibili in Veneto. Un rilievo piuttosto fazioso, considerando che nella Regione guidata da Luca Zaia la lotta al Covid-19 è stata condotta e praticamente vinta dallo stesso Crisanti.
«Non è che li abbiamo trovati, ce li siamo fatti da soli», la stoccata del medico romano. «Il 20 gennaio, quando abbiamo avuto notizia che c’era quest’epidemia in Cina, ci siamo attrezzati sviluppando un test fatto in casa. Poi ci siamo approvvigionati per mezzo milione di reagenti e abbiamo comprato una strumentazione» per lavorarli.
Sulla possibilità che il Commissario straordinario Domenico Arcuri avesse fatto lo stesso, lo scienziato era invece piuttosto scettico. In effetti, i precedenti non depongono a favore dell’esecutivo rosso-giallo.
Vale la pena contestualizzare gli eventi. Nella data indicata da Crisanti, in Italia non c’era stato ancora nessun caso di coronavirus. Il primo, importato, avrebbe riguardato la coppia di turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma il 30 gennaio.
Il giorno successivo, il bi-Premier Giuseppe Conte deliberava lo stato di emergenza che gli attribuiva poteri speciali per contrastare l’eventuale crisi. A metà febbraio, poi, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio regalava agli amici cinesi due tonnellate di dispositivi di protezione individuale.
Un tempismo eccezionale, visto che neanche una settimana dopo sarebbe stato ricoverato il paziente 1 di Codogno. Mentre il 21 febbraio l’annuncio della positività dei primi 16 pazienti in Lombardia e Veneto apriva ufficialmente il versante italiano dell’epidemia.
Giggino ha quindi provato a rimediare alla figuraccia, ma la toppa è stata decisamente peggiore del buco. Ha infatti spacciato per regalo di Pechino una partita da 180 milioni di mascherine che in realtà aveva (ri)comprato – oltretutto a un prezzo raddoppiato.
Il tutto mentre, nelle Regioni più colpite dalla pandemia, la penuria di materiale sanitario non faceva sconti. E costringeva alcuni medici a indossare, come unica protezione, sacchi dell’immondizia al posto dei camici.
Il Conte-bis, insomma, faceva la parte della proverbiale cicala laddove il Veneto si comportava da formica. Al punto che Crisanti ha potuto affermare che, oggi, la sua Regione dispone di 2,5 milioni di tamponi. A livello centrale, invece, si naviga ancora a vista dopo un bimestre di lockdown, benché le due istituzioni fossero partite quasi in contemporanea.
Forse sarebbe stato opportuno avere meno task force e popolarle con un maggior numero di esperti. Ma, evidentemente, c’è Governo, e c’è Governatore. C’è scienza, e c’è Speranza.
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