Un partito che fa delle divisioni la propria ratio essendi (il Pd), e un movimento formato da talmente tante anime da non essere nemmeno liquido, ma proprio gassoso (il M5S). Aggiungiamo il fatto che in politica 2+2 non fa mai 4, et voilà. La ricetta per la fusione fredda è pronta.
Una pietanza, stando ai sondaggi, preventivamente indigesta alla grande maggioranza degli Italiani. Ma, soprattutto, un piatto male assortito, che pretende di mescolare ingredienti agli antipodi ignorandone la reciproca refrattarietà.
Fuor di metafora, è probabilmente questa l’intima ragione della sconcertante (per i dem) presa di posizione del leader grillino Luigi Di Maio: «La fiducia si dimostra!» ha tuonato il capo politico del MoVimento dal Blog delle Stelle. «E la prima prova di questo Governo è il taglio dei parlamentari».
Giggino, in realtà, parlava a nuora (gli iscritti a Rousseau) perché suocera (Alessandro Di Battista) intendesse. Il fendente ai soci del BisConte, infatti, spuntava come dal nulla in un post in cui si esortavano gli utenti della piattaforma privata di Casaleggino a esprimersi sul “patto civico” per l’Umbria; e in cui si annunciava, contestualmente, che i pentastellati hanno scelto come candidata Governatrice l’attuale primo cittadino di Assisi Stefania Proietti.
Il Ministro degli Esteri non ha mai nominato il suo “gemello diverso”, ma casualmente la sua precisazione faceva seguito al monito dell’ex deputato a non fidarsi del Partito Democratico – neppure se derenzizzato: un avvertimento accolto con forte irritazione dal presidente dei senatori Pd Andrea Marcucci, che aveva consigliato «al Premier Giuseppe Conte e al Ministro Luigi Di Maio di tenere a bada i deliri di Di Battista».
L’aspetto paradossale è che, nel caso specifico, nei vaneggiamenti complottardi di Dibba ci potrebbe essere un fondo di verità, stante il numero di fedelissimi renziani che non hanno aderito a Italia Viva – e che potrebbero essere gli occhi e le orecchie del Rottamatore. Non a caso, c’è chi considera un avviso al navigante fiorentino da parte della magistratura l’indagine a carico di Alberto Bianchi, ex presidente della fondazione che finanziava la Leopolda, la convention annuale dello stesso Matteo Renzi. Curiosamente, Bianchi è stato accusato di traffico di influenze, che sarebbe l’identica ipotesi di reato contestata a Tiziano Renzi, il padre dell’ex premier. Corsi e ricorsi storici, direbbe qualcuno.
Come il nervosismo lasciato trasparire dal Nazareno in merito all’ennesima accelerazione dimaiesca, quella sul nome del sindaco della città di San Francesco: i dem infatti, per Palazzo Donini, puntano su Andrea Fora, presidente dimissionario di Confcooperative Umbria. «Da giorni, in accordo con il partito nazionale, attendiamo una risposta seria» ha puntualizzato in una nota stizzita il locale commissario Walter Verini, che non ha risparmiato una stoccata agli alleati-rivali: «Noi lavoriamo per unire e non per dividere un campo largo che può essere vincente».
Insomma, non siamo ancora al tutti contro tutti, ma è quantomeno singolare questo deficit di fiducia tra membri di una maggioranza che la fiducia l’ha appena votata, in Parlamento, al Conte-bis. E così resta – soprattutto ai cittadini – la sgradevole sensazione che l’esecutivo rosso-giallo non sia altro che un’operazione di Palazzo, una manovra salva-casta tesa solamente a garantire la sopravvivenza di due forze politiche che gli elettori hanno sistematicamente punito, nell’ultimo anno e mezzo, a ogni appuntamento con le urne; e a tentare, inutilmente, di mascherare il desolante vuoto che irresistibilmente si nasconde oltre le poltrone.
Foto dal sito del Governo.
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