Guarigione di un cieco nato
Gesù, luce del mondo
Il brano evangelico (Gv. 9, 1-41) della quarta domenica di quaresima è assai esteso e lungo, come i discorsi che l’evangelista Giovanni riporta nel suo vangelo. Per rendere più gradita e accessibile la sua comprensione cercheremo di analizzarlo globalmente e spontaneamente, come faremmo a parole, e a diversi livelli di interpretazione.
L’interrogatorio del mendicante cieco (vv. 8-23)
I primi testimoni oculari della guarigione del cieco nato conoscono il “prima” (era un mendicante cieco) e il “dopo” (come ti furono aperti gli occhi), un po’ come il maestro di tavola nelle nozze di Cana (il vino meno buono e il vino buono). Quegli spettatori andranno a riferire ai farisei, non prima di aver passato per le tre forme di dubbio che ritroveremo come una trama nel corso dell’intero racconto. Questi testimoni sono così stupefatti che dubitano del fatto della guarigione. Il cieco guarito si accontenta di dir loro: “Sono io” (v. 9). Alla domanda “come” sia successo, il cieco risponde in maniera molto sobria: l’uomo chiamato Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi, mi ha detto di lavarmi a Siloe e, avendolo fatto, ho riacquistato la vista. Il cieco nato, guarito, ha riconosciuto realmente soltanto l’uomo chiamato Gesù, nei riguardi del quale non sa nulla di straordinario, tranne i gesti e le parole che hanno operato la sua guarigione o ne sono stati l’occasione. Questa prima sequenza di interrogazioni caratterizza bene la verità dell’incontro tra Gesù nel suo ministero “significativo” (pieno di “segni”) e la folla di coloro che lo vedono agire: chi è quest’uomo che compie tali prodigi? Inoltre, il cieco guarito prende sul serio l’autorità di Gesù: si tratta di un comportamento del quale non bisogna esagerare la fede, ma neppure l’incredulità. Egli si pone in un piano assai sobrio: quello dell’uomo chiamato Gesù!
I farisei invece appaiono divisi di fronte alla guarigione del cieco nato. Essi dapprima sono interessati alla questione del sabato. L’inosservanza del sabato non riguarda tanto la guarigione in se stessa, quanto invece nel gesto di Gesù che impasta il fango. L’impastare infatti è una delle 39 opere vietate durante il sabato, come pure ungere gli occhi in questo giorno. Con la questione del sabato viene messa in discussione la legittimità giudaica dell’operare di Gesù. Il tema del sabato serve come criterio per discernere l’autentica origine della potenza di Gesù. Tuttavia non tutti i farisei condividono questa opinione: “e c’era dissenso tra di loro” (v. 16). Dinanzi ai pregiudizi aggressivi dei maggiorenti giudaici e dei farisei, le esitazioni del popolo sono intaccate dai segni e dalla parola di Gesù: “Come può un peccatore compiere tali prodigi” (v. 16). Per cui anche il cieco guarito afferma: “E’ un profeta” (v. 17).
Il cieco guarito e la sinagoga (vv. 24-34)
La controversia è manifesta: il tono è molto polemico e più del solito, rispetto ai modelli precedenti dei dialoghi giovannei (cfr. colloquio con Nicodemo). “Noi siamo…Noi sappiamo…” (vv. 28.31): quasi tutti i commentatori vedono nelle battute e nelle repliche del dialogo lo schema delle controversie appassionate che contrapponevano giudei e giudei-cristiani verso la fine del primo secolo. Gli uni si appellano alla tradizione di Mosè, gli altri interpretano i miracoli di Gesù come altrettanti segni provenienti da Dio. Tuttavia è in riferimento a Mosè che i giudei sono chiamati a discernere in che cosa consistano l’autorità del Figlio e la natura del suo insegnamento. La posizione dei giudei si rivela preconcetta: “Non sappiamo di dove sia” (v. 29). Il cieco guarito può solo affermare: “Se non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla” (v. 33), e il giudaismo chiude in fretta l’istruttoria: “Lo cacciarono fuori” (v. 34).
Gesù, Figlio dell’Uomo (vv. 35-41)
Con questi versetti termina il racconto della guarigione del cieco. Come le altre volte nel vangelo di Giovanni, l’interlocutore viene condotto alla domanda essenziale su Gesù, nel nostro caso: chi è il Figlio dell’Uomo?, sempre attraverso un atto “significativo”, la guarigione ottenuta da parte del cieco nato. Di fronte alla rivelazione di Gesù (“L’hai già veduto; chi parla con te, è proprio lui” v. 37) l’interlocutore crede (“Io credo, Signore.” v. 38). Attraverso le peripezie degli interrogatori e dei dialoghi si trattava per tutti (i vicini, i suoi genitori, i capi dei farisei, il cieco stesso) di giudicare il significato da dare alla venuta del Figlio dell’Uomo in questo mondo: “Io sono venuto …perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (v. 39). Bisogna interpretare questa affermazione di Gesù come segue: coloro che credono di vedere diventano ciechi; coloro che dicono, “noi sappiamo…”, sono nel peccato che il giudaismo vedeva attraverso l’infermità del cieco. Così tal gente si trova giudicata nelle sue reazioni all’atto risanatore e alle parole di Gesù che è venuto per essere luce del mondo. Alcuni interpretano la frase di Gesù sottolineando da una parte l’indurimento dei giudei e dall’altra l’inizio della fede del cieco nato. Altri interpretano con le allusioni del testo al Battesimo: l’invio alla piscina di Siloe e l’abitudine cristiana di considerare il battesimo come una “illuminazione” a motivo della nostra cecità spirituale. L’intenzione di Giovanni è un’altra: egli dà più importanza alla persona di colui che ha guarito, come si comprende anche dalla curiosa interpretazione del termine “Siloe” e cioè “Inviato”: si tratta di riferire la guarigione al suo vero autore, l’Inviato, piuttosto che ai mezzi riferiti dalla tradizione.
Io sono la luce del mondo (v. 5)
La luce del mondo non deve essere intesa come un principio di illuminazione statica da contemplarsi passivamente, né come una cosa molto bella che attrae a sé ogni uomo che si incontra con essa: gli stoici e gli gnostici parlano volentieri della luce che attrae l’uomo, alla maniera della lampada che attrae le farfalle. Gesù è luce del mondo perché si è manifestato nella storia del cieco nato. Qui è possibile vedere l’opera di Dio e come venga accolta: oggetto di terribili malintesi, accecamento di coloro che credono di intendere quel che accade, senza riuscire a discernere attraverso questo miracolo chi è il Figlio dell’Uomo, venuto ad operare e a parlare in nome del Padre suo. Egli ha il potere di dare la vista a coloro che non vedono per essere capaci di dire al mondo: noi l’abbiamo visto! Essere pianeti che riflettono la luce del Sole Invincibile che è Gesù, luce del mondo.
Bibliografia consultata: Smyth-Florentin, 1970.