Nel vangelo di questa domenica (Mc. 1, 40-45) c’è l’incontro pubblico tra un lebbroso e Gesù, senza indicazione di luogo, di tempo e di nomi. Un incontro speciale motivato da una necessità di vita da parte dell’uomo malato, che diventa un modo esemplare di come avvicinarsi e credere a Gesù. L’incontro tra i due è raccontato in maniera sintetica, secondo lo stile di Marco, ed è centrato sull’azione e sulla parola del lebbroso, a cui corrisponde in maniera simmetrica l’azione e la parola di Gesù.
Secondo la Legge (Lev. 13-14) un lebbroso è escluso dalla vita pubblica della comunità. L’inizio della proclamazione della buona notizia fatta da Gesù apre anche a questo malato un orizzonte di speranza. Il suo desiderio di uscire dalla condizione di marginalizzazione e miseria in cui si trova, gli fa vincere il timore di infrangere la Legge, e fa un atto sorprendente agli occhi di tutti. Si avvicina a Gesù supplicandolo in ginocchio: “Se vuoi puoi purificarmi” (v. 40).
L’evangelista dice che l’uomo cade e rimane in ginocchio per tutta la scena, infatti usa un verbo al presente per descrivere come il malato “cade” e resta “in ginocchio”. L’uomo non chiede a Gesù che lo tocchi, né domanda direttamente che lo risani. Il malato è umile e insistente: “lo supplicò” (v. 40). L’uomo manifesta con tali parole la sua fiducia assoluta nel potere di Gesù (“se vuoi, puoi”), equiparandolo così a quello stesso di Dio. Egli desidera che Gesù elimini l’ostacolo che gli impedisce di vivere le relazioni con gli altri e possa prendere parte a quel regno di Dio che viene annunciato dal Messia, come “vangelo di Dio” in cui convertirsi e credere (vv. 14-15).
In quest’incontro speciale tra Gesù e il lebbroso ci sono “due gesti e due parole che si corrispondono: il lebbroso si “inginocchia” e Gesù “stende la mano e lo tocca”; il lebbroso si affida: “se vuoi puoi purificarmi”, Gesù lo vuole: “sii purificato”. Questa preghiera di fiducia del lebbroso riconosce a Gesù una potenza divina. La vista dell’uomo, la sua malattia, generano in Gesù un fremito di compassione (v. 41). Qui con la “compassione” di Gesù corrisponde al termine ebraico (raham) che definisce Dio stesso come misericordioso e compassionevole nel suo rapporto intimo con la creatura e ne rivela la bontà e la tenerezza nei confronti del suo popolo.
Nell’umanità di Gesù è presente e agente la misericordia divina. Non si può mettere tra parentesi l’emotività di Gesù che lo spinge a toccare il lebbroso e a dire una parola nuova. L’emozione per sua natura è “assiologica”, dà valore alle azioni che ne seguono: a che servirebbe muoversi a compassione se non ci si prendesse cura delle persone che abbiamo davanti? Gesù stendendo la mano “lo toccò”: toccare è manifestazione di bontà e di compassione. Trattandosi di un lebbroso è anche dimostrazione di sicurezza nella guarigione, senza tener conto dell’impurità legale che avrebbe contratto.
La parola purificatrice di Gesù spiega il gesto come un’affermazione di potenza: “Lo voglio, sii purificato”. La liberazione avviene immediatamente, secondo la parola di Gesù; la preghiera del lebbroso è stata esaudita (v. 43). “Subito” la lebbra scompare in modo immediato e definitivo e l’uomo viene purificato.
Gesù con tono severo comanda all’uomo il silenzio e il rispetto delle prescrizioni rituali per lodare Dio della purificazione ricevuta. Solo il sacerdote nell’Antico Testamento poteva confermare la guarigione della lebbra, cioè dichiarare ormai puro il guarito. Accade però un fatto singolare: il risanato non obbedisce al comando di tacere ricevuto, ma va e inizia ad “annunciare la parola” (v. 45), nel senso biblico originario di “avvenimento/fatto” vissuto nell’incontro con Gesù. Perciò l’uomo risanato “si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte” (v. 45).
Il comando di tacere impartito da Gesù all’uomo è nella linea del “segreto messianico” che in Marco si presenta come una dinamica fra nascondimento e rivelazione che riguarda l’ingiunzione al silenzio ai guariti di quanto ricevuto, come anche ai discepoli e ai demoni. Questa dinamica del segreto messianico si amplifica attraverso altri due temi: la riservatezza dell’insegnamento in parabole e l’incomprensione dei discepoli.
Il guarito diventa un annunciatore: purificato da Gesù, egli annuncia il Vangelo del regno. Si può essere lebbrosi, nel corpo e nell’anima, ma c’è sempre la possibilità di avvicinarsi a Gesù ed essere riconosciuti, accolti, ascoltati e purificati da lui, per poi andare ai fratelli e sorelle feriti. Cristo prosegue nel combattere il male incontrando, ascoltando e toccando/sanando le ferite e i mali delle persone, accettando di prenderci per mano, accogliendo la miseria e la sofferenza di tutti su di sé. A noi compete di entrare nella stessa dinamica esperienziale dell’uomo lebbroso, per diventare capaci di incontrare e annunciare Gesù.
O Signore, tu sei pronto a condividere le tribolazioni del lebbroso che si butta in ginocchio e invoca la guarigione delle sue membra e con essa la possibilità di essere finalmente reintegrato nella comunità civile e religiosa. La tua compassione si traduce nel tendere la tua mano e nel realizzare un contatto rischioso per la tua incolumità. Ma l’amore che provi per noi non può manifestarsi che così, disarmato e senza reti di protezione.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Mazzeo, 2021; Laurita, 2021.
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