Dal libro del Levitico si comprende che il termine “lebbra” non indica soltanto la malattia che noi chiamiamo con questo nome, ma pure varie malattie della pelle. L’estensione data a questa malattia dice chiaramente il timore che ispirava. Siccome era considerata una malattia contagiosa, si aveva la massima cura di evitare ciò che potesse favorirne la diffusione. A questo scopo, era necessario isolare gli ammalati; in più, questa malattia veniva considerata un tabù, attribuendo alla lebbra una impurità rituale, perché considerata un castigo del peccato. Dalla lebbra più che essere guariti, bisognava essere purificati.
E’ quindi comprensibile che fosse compito riservato ai sacerdoti scoprire i casi di lebbra, perché in caso di guarigione la malattia esigeva una purificazione per la quale doveva intervenire il sacerdote: egli rilasciava una dichiarazione scritta per la guarigione avvenuta e prescriveva i riti di purificazione che consistevano in un sacrificio per il peccato. Tuttavia, la lebbra era considerata incurabile: da essa solo Dio poteva liberare il lebbroso.
Il racconto di Marco (1, 40-45)
Marco entra in argomento e orienta immediatamente il racconto: il lebbroso supplica Gesù; Gesù è mosso a compassione, ma, appena ha accordato all’infelice la guarigione implorata, sembra pentirsi del favore fatto. Strapazza il poveruomo e lo allontana, dopo avergli proibito di raccontare ciò che è avvenuto. Ma questi si affretta a divulgare la notizia. A prima vista, la seconda reazione di Gesù sembra contraddire la prima. Non è così. Per cogliere la logicità tra queste due reazioni, dobbiamo ricordare che la consegna del segreto è uno dei temi cari a Marco. Da parte di Gesù, permettere che lo si proclami messia prima che la sua morte abbia rivelato la vera natura della sua missione, significa accettare il giuoco del diavolo, che spinge i giudei a confondere il regno di Dio con un regno terreno. Per questo motivo Gesù vuole imporre il silenzio.
E’ anche vero che Gesù non può rimanere insensibile di fronte alla miseria umana. “Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò”: lo stendere la mano e il toccare sono gesti tipici di una guarigione compiuta in autorità. Il toccare non è violazione della prescrizione giudaica circa la purità, ma trasmissione della forza che guarisce. Per lo stesso motivo si dice spesso che i malati toccano Gesù, o almeno il lembo del suo mantello. Tutto cede il passo dinanzi ad una necessità così urgente. La misericordia ha la precedenza sui vantaggi derivanti da un piano d’azione prudentemente stabilito. La mancanza di fede rende Gesù impotente di fronte al peccato e alla sofferenza fisica, ma una fede autentica gli strappa i miracoli.
Anche se la guarigione del lebbroso si compie discretamente, all’insaputa della gente, tuttavia vuole impedire che il lebbroso divulghi la notizia: strapazzandolo, Gesù vuol far capire che ha fatto un’eccezione al piano che aveva stabilito, e subito, vivacemente, obbliga il lebbroso ad allontanarsi, per evitare che sia riconosciuto dal popolo e che la folla faccia ressa attorno a Gesù. Una volta avvenuta la guarigione, il guarito è mandato via subito. Il fatto che Gesù lo ammonisca non è un rimprovero rivolto al guarito, ma è un gesto che sottolinea l’ordine di tacere che segue subito dopo: ”Guarda di non dir niente a nessuno”. Naturalmente neppure il sacerdote deve sapere chi è stato a liberare quell’uomo dalla lebbra, questi però deve assolvere la prescrizione della legge, cioè, riconoscere l’avvenuta guarigione.
Tentativo vano! Il lebbroso non può contenere la propria gioia. Le folle accorrono. Gesù non si lascia però sorprendere: fugge in luoghi solitari. E’ dunque evidente che l’evangelista cerca di attirare la nostra attenzione sulla misericordia di cui Gesù ha dato prova nei confronti di uno sventurato colpito dalla lebbra. Tali atti di misericordia e di bontà non sono l’oggetto essenziale della sua missione: l’annuncio della Buona Novella del Regno di Dio e l’invito a portare la nostra croce. Ma Gesù ha un cuore, e un cuore compassionevole. In questa prospettiva, il gesto della mano con cui tocca il lebbroso è innanzitutto un gesto di bontà.
Questo gesto, inoltre, sottolinea con straordinario vigore il ruolo dell’umanità di Cristo. Il contatto con il suo corpo mette il fedele a contatto con la divinità, e gli comunica la grazia. Ma il potere di Gesù non è condizionato dalla presenza fisica: la semplice parola basta per guarire un malato a distanza. Gesù unisce le due cose perché il segno sia più completo, l’incontro più pienamente umano.
“E subito la lebbra sparì e fu mondato” (v. 42). La guarigione si compie. Gesù impone il silenzio al miracolato: a nessuno dovrà parlare della sua guarigione, eccetto che al sacerdote: “a testimonianza per loro”. Gesù manda il lebbroso dal sacerdote e gli ricorda che deve offrire il sacrificio prescritto, ma il pronome “loro” si riferisce ai sacerdoti, nel senso che la testimonianza supererà l’individuo alla cui presenza sarà resa. Per raggiungere tutta la classe sacerdotale. Gesù affida al lebbroso una missione presso i sacerdoti: la guarigione di un lebbroso è un segno messianico e approfitta della prescrizione del Levitico per tentare di far giungere ai sacerdoti il suo messaggio. Come principali responsabili del popolo di Israele essi devono essere avvertiti, e non avranno alcuna scusa quando, nel loro accecamento, intenteranno un processo a Gesù.
Nonostante la raccomandazione di Gesù, il lebbroso divulga la notizia della sua guarigione. In tal modo il racconto presenta un nuovo contrasto: colui che sino a quel momento era stato escluso dalla società si trasforma in divulgatore della fama del taumaturgo, diventa araldo di Gesù.
Da quel momento, ogni volta che Gesù entra in una città, le folle si precipitano verso di lui, nella speranza che egli porti loro il benessere e forse la restaurazione politica. Ma Gesù non è venuto per questo: egli eviterà quindi le occasioni di assembramento, non entrerà più apertamente nelle città. D’ora in poi starà in luoghi deserti. Però, il suo ascendente sulla folla è così forte che essa lo inseguirà anche nel deserto. Dopo la guarigione del lebbroso, Gesù si ritira nella solitudine non solo per fuggire la folla e la confusione, ma anche per trovarvi il silenzio che favorisce la preghiera.
Bibliografia consultata: Gaide, 1974; Gnilka, 2007.
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