I Casamonica: la vita e le gesta di un clan criminale
Chi sono, come parlano e come agiscono i componenti della famiglia che rappresenta da anni il malaffare a Roma e nel Lazio
Forse da qualche parte c’è già qualcuno che sta pensando di scrivere una serie televisiva, del genere “THE SOPRANOS”, ispirata al clan dei Casamonica. In tal caso credo dovrebbe essere una serie comica, dove il kitsch abbia il sopravvento sul dramma e la cafonaggine dei personaggi, così da stemperare l’efferatezza delle loro gesta criminali. Una scena della futura ipotetica serie tv l’abbiamo vista giorni fa in tv, quando circa 600 uomini della Polizia di Roma Capitale, con la sindaca Raggi presente, hanno sorpreso all’alba i componenti del Clan nel sonno, nelle loro 8 villette abusive in via del Quadraro 110, accanto all’Acquedotto Felice, alla Romanina, per sfrattarli e iniziare l’operazione di ripristino della legalità, dopo anni di colpevole tolleranza. Spettinati, isterici, aggressivi, stipati nei loro Suv e nelle berline Mercedes, con masserie e bambini, con i pigiami e i Rolex d’oro al polso, passavano tra due ali di fotografi e cameramen gridando e inveendo contro la sindaca e contro Salvini, perché nessuno li aveva avvisati! Tra le strilla delle donne, in uno strano accento, a metà tra l’abruzzese e il ciociaro, si compiva un atto pubblico di giustizia, con un ritardo delle Istituzioni di quasi trent’anni. Loro sono dei Sinti (Zingari – etnia Rom) da decenni sono presenti nel sud del Lazio. Le donne erano quelle che urlavano di più, con voci sguaiate e squillanti. Una signora ha tirato la bibita gassata di una lattina in faccia all’operatore che la stava riprendendo: “E chiude sta’ telecammera!” ha urlato, bagnandolo tutto. “Aiudade agli stranieri e a noi italiani no?”, ha gridato una delle “ex nomadi”, portando via pacchi e valigie dalla villetta. E Nando Casamonica minaccioso: “Buddano giù le nostre case? Va bé, ma allora deveno demolì tutta Ischia!”.
Chi siano i Casamonica lo saprete già, anche se non siete di Roma, avrete seguito le cronache della criminalità organizzata: i loro business sono lo spaccio di droghe e l’usura, le estorsioni e le rapine nelle zone di Roma, Ostia e Latina. Si tratta di un nucleo enorme di diverse famiglie: i Casamonica, i Di Silvio, i Di Gugliemo, Di Rocco, Spada e Spinelli. Infine i Ciarelli e gli Abruzzese, che però operano più nel Molise e in Calabria. Il tratto matriarcale del clan risulta dal fatto che sono le donne a tenere i conti e a confezionare la droga, che poi viene spacciata sempre in un numero maggiore di zone, dall’Adriatico al sud del Lazio e i quartieri popolari di Roma. Le famiglie sono legate da rapporti matrimoniali voluti e imposti dai capi clan. In tutto vengono stimate in almeno 1.000 persone che prima occupano le baraccopoli, poi negli anni, si trasferiscono nelle case popolari della Tuscolana e della Romanina.
Le ville, sorte come in una cittadella familiare, che lasciavano alle loro spalle, mentre venivano sfrattati, erano state costruite abusivamente negli anni ’90 su “un terreno sottoposto a vincolo archeologico, paesaggistico e ferroviario”. Nel ’97 iniziarono le prime contestazioni per abusivismo ma da allora a oggi non si era mai intervenuti per ripristinare la legalità. Perché?
Da trent’anni giocano a guardia e ladri con la Polizia
In tutti questi anni non è che i Casamonica abbiano dormito sonni tranquilli. Iniziarono a essere identificati come i “Rom di Roma” fin da quando si trasferirono da Pescara nella Capitale. Ma già durante il fascismo dei componenti della famiglia Rom erano stati deportati a Roma. Secondo la Dia “vivono in case di lusso e hanno auto di grossa cilindrata” ma le loro dichiarazioni dei redditi danno un’immagine di miseria che sfiora la soglia di povertà. In sostanza le loro attività non giustificano il livello di vita. È così che la Dia mette i sigilli a beni per 85 milioni di euro, confisca terreni edificabili, ville con palme e piscine, stabili sul Golfo degli Aranci in Sardegna, 33 cavalli da corsa, 200 conti correnti e 75 vetture di lusso tra cui Ferrari, Rolls Royce, Bentley, Mercedes, Bmw. Infine una villa in costruzione di 1500 metri quadrati. Con una serie di ricorsi ben organizzati dai loro legali però, i Casamonica, tornano sempre in possesso di questi beni, in una battaglia senza fine tra la polizia e loro. Evidentemente hanno goduto di appoggi e aiuti.
Il loro metodo è la minaccia e l’azione violenta. Chi non paga gli interessi viene prima minacciato, poi percosso e nel caso eliminato per “educare” gli altri debitori. Coi Casamonica non si può scherzare. Un imprenditore romano, che in pochi mesi, per un prestito di 40.000 euro, era finito ad avere un debito di 200.000 euro, li denunciò. Grazie a questa denuncia la polizia poté intervenire. Iniziarono con il commercio dei cavalli, taglieggiarono professionisti, sequestrarono la moglie di un ingegnere elettronico di Marino. I milioni diventarono miliardi. Un allevatore vendette loro due cavalli e venne pagato con assegni a vuoto, ma ritirò la denuncia dopo un’aggressione a pugni e calci molto convincente. Un altro che vendette loro una Corvette non ha visto un soldo. Gli dissero che era rotta, che era lui in caso che avrebbe dovuto pagare loro per il tempo perso. Nessuna denuncia. Una signora vendette un camper da 150 mila euro ma in cambio ricevette carta straccia. Le minacce la convinsero a rinunciare a sporgere denuncia. Romolo Casamonica, ex pugile, campione superwelter, comprò dei cuccioli di chihuahua e li pagò con assegni “cabriolet”. Chi fa i lavori a casa loro, fa la fine dell’ebreo falegname del Marchese del Grillo. “Ricordate? “Io so’ incazzato e nun te pago. Te va bbé?” Nel caso dei Casamonica il marmista viene pagato a schiaffoni. Sicuramente la ricchezza non li ha infiacchiti, non hanno approfittato del benessere economico per studiare, emanciparsi, imparare le regole dell’alta finanza. Loro sono il braccio esecutivo della struttura organizzativa criminale e così vogliono restare.
Nel gioco “a guardia e ladri” i Casamonica perdono piccole battaglie ma vincono la guerra con le istituzioni, resistendo e incrementando il proprio business. Picchiano dei vigili che volevano far abbattere alcune loro ville abusive nel rione Osteria del Curato. Poi l’Interpol rintraccia Raffaele Pupo (detto “Il mafia”) che fa da collettore tra loro e il narcotraffico. Guerino Casamonica viene colto in flagranza di reato quando chiede il pizzo per uno spettacolo. Raffaele Casamonica viene arrestato a Praga, come latitante per reato d’usura, dove è scappato coi tre figli sottratti alla moglie dalla quale si sta separando.
Nel 2004 la Dia, con la Procura Distrettuale Antimafia, aveva operato alcuni arresti tra i componenti della famiglia per traffico internazionale di droga e riciclaggio di denaro ricavato da usura. I tassi dei loro prestiti arrivavano anche al 300%. I soldi che ricavavano da queste professioni li investivano nell’edilizia e quello che avanzava andava nei conti correnti del Principato di Monaco. Stiamo parlando di milioni di euro.
Nel 2012 vennero arrestati 39 esponenti del clan e sequestrati beni per milioni di euro a seguito di una inchiesta sul commercio di droghe, soprattutto hashish e cocaina e usura. Anche il conduttore radiofonico Marco Baldini, amico di Rosario Fiorello, era finito in questa spirale e nel 2015 confessò, ai microfoni della Zanzara di avere anche tentato il suicidio per sfuggire ai suoi creditori/usurai.
Nel 2017 vengono sequestrati oltre 2 milioni di euro, sempre come “Patrimonio ingente non giustificato da alcuna attività lavorativa”, ad alcuni membri della famiglia: Marcello, Robertino, Giulia Di Guglielmi detta Pamela e il suo compagno Roberto Cerello. Tutti figli del boss noto come Claudio Casamonica, per il quale però non vengono ravvisati gli estremi per una misura cautelare.
Quest’anno Antonio, Alfredo, Vincenzo Casamonica ed Enrico Di Silvio, tutti del clan, si erano già fatti notare per il pestaggio di due giovani, una disabile, in un bar della Romanina perché non volevano rispettare la fila per prendere il caffè. Il metodo mafioso di controllo e occupazione del territorio si realizza attraverso le intimidazioni e l’uso della violenza, come era già successo a Ostia quando Roberto Spada, del clan affiliato al loro, aveva preso a testate il giornalista free lance di Nemo, Daniele Piervincenzi che lo intervistava. Ha preso 6 anni di carcere.
Il 17 luglio di quest’anno, infine, un altro blitz, questa volta dei Carabinieri, colpì all’alba il clan, con un dispiegamento di forze degno di un’operazione anti camorra: elicotteri, “gazzelle” e 250 uomini super equipaggiati, era l’Operazione Gramigna, come l’erba infestante, cattiva, che danneggia quella buona. Vennero arrestati alcuni componenti della famiglia. Spaccio, estorsione e usura rappresentano le attività “professionali” principali del gruppo criminale, con un ruolo di promotore attribuito a Giuseppe Casamonica, uscito dal carcere dopo circa 10 anni di detenzione. Quell’operazione avvenne in seguito alla collaborazione di Debora Cerreoni, un membro della famiglia ribellatasi e uscita dal clan. Debora è figlia di un membro della Banda della Magliana e vicina al boss Giuseppe, detto Bitalo ma soprattutto è ex moglie di Massimiliano Casamonica dal quale ha avuto tre figli, a seguito di un matrimonio in rito sinti. “Posso tradurvi tutto quello che volete o insegnarvi la loro lingua, potrò testimoniare contro di loro anche se il mio rischio di vita si alzerà” così ha detto ai Carabinieri la fuoriuscita dalla famiglia Casamonica, riportato sul sito web Roma Today il 19 luglio 2018.
Oggi le telecamere non perdonano. Ogni violenza registrata va in rete e la rete, agisce come e peggio dell’aula di un tribunale, dove tuttavia non vige il codice penale ma la legge del taglione.
La “gaggia” si ribella e svela i loro segreti
Debora Cerreoni si ribella alla famiglia, dopo la sua fuoriuscita dal clan, e lo fa a suo dire, per i tre figli avuti da Massimiliano Casamonica, uno dei capi clan. Lei che non è una sinti veniva chiamata “gaggia”, ovvero straniera, una diversa e per 10 anni ha dovuto sopportare le angherie delle donne del clan, che la vedevano come un pericolo. Di fatto ha vissuto sempre segregata. Controllata a vista. In passato ha tentato più volte di ribellarsi ma proprio in seguito a questa sua natura ribelle venne “sequestrata” da Antonietta (detta Dindella) e da Liliana (detta Stefania) Casamonica. La seconda viene considerata la “reggente” del clan di Porta Furba, specialmente quando uno dei boss, Giuseppe, era in prigione, era lei a dirigere il clan. Su Roma Today del 18 luglio 2018, Lorenzo Nicolini scrive: “Vicolo di Porta Furba: una strada chiusa di circa 250 metri. Si entra, forse, solo se “autorizzati”. Già perché in quella strada comandano loro. I Casamonica. Una famiglia criminale su cui la Dda ha acceso i fari dell’aggravante mafiosa. Per la Procura non ci sono dubbi. Anche perché quello della famiglia sinti è un gruppo unito anche grazie a legami di sangue ma anche con solidi legami con le famiglie più influenti della ‘Ndrangheta calabrese, come quella degli Strangio di San Luca. Gli affari nelle periferie a sud di Roma come l’Appio Tuscolano, la Romanina, Tor Vergata ma anche Frascati e Ostia grazie al loro legame, anche di parentela in alcuni casi, con gli Spada”.
Contro la sua volontà, confessa Debora, viene reclusa in casa dalle due sorelle per ben cinque mesi. Senza cellulare, senza contatti con l’esterno, sola coi suoi figli, ai quali venne impedito perfino di recarsi a scuola per evitare rischi. “Quando abitavo in vicolo di Porta Furba – ha raccontato agli inquirenti – vivevo in una situazione di totale soggezione, ero obbligata a rispettare tutte le disposizioni dei Casamonica, non solo di Massimiliano ma anche dei fratelli. Dovevo vestirmi come dicevano loro e non potevo fiatare. Le poche volte che ho tentato di fare di testa mia sono stata minacciata, picchiata e addirittura sequestrata. Lo stato di soggezione in cui mi trovavo diventava poi insopportabile quando Massimiliano (Casamonica, ndr) era detenuto, perché io per i Casamonica ero una ‘gaggia’ e per questo avevo, ai loro occhi, meno diritti di una donna di etnia rom”.
Ogni comunità criminale ha le sue regole, le proprie gerarchie, l’organizzazione piramidale e spesso si somigliano. Debora ha iniziato a collaborare coi magistrati nel 2015, tracciando la mappa delle gerarchie dei Casamonica e raccontando i retroscena della vita del clan, aiutando la polizia anche a interpretare il linguaggio sinti che usano i malavitosi per non farsi capire al di fuori. “Posso tradurvi tutto quello che volete o insegnarvi la loro lingua, potrò testimoniare contro di loro anche se il mio rischio di vita si alzerà. Ripeto che queste cose le farò ugualmente anche perché avendo vissuto e convissuto con loro tutto questo tempo non solo ho perso la dignità di essere mamma ma anche di essere donna e di essere una persona onesta, come in realtà mi sento“, scrive ai Pm Debora Cerreoni. Così emerge che ogni nucleo familiare ha un suo capo, in genere il più anziano o chi lo segue, se il boss è in carcere, ma non esiste un capo di tutti. Un po’ come nell’islam, ci sono tanti imam ma non c’è il Papa. Così l’organizzazione può perdere dei pezzi ma non può essere decapitata. Tuttavia è comune il sentimento di appartenenza alla stessa famiglia, un vincolo che lega tutti i componenti a doversi impegnare per difendere e accogliere qualsiasi altro loro parente in caso di difficoltà. Tutti per uno!
Qualcuno ha pensato che Vittorio Casamonica, quello il cui funerale ebbe tanto scalpore, fosse il capo del clan ma non è così. Era di certo il personaggio più carismatico. Il saggio da ascoltare. La sua alta considerazione veniva dalle gesta passate e dai successi nelle relazioni intercorse con la Banda della Magliana. Pare fosse lui ad avere rapporti con Enrico Nicoletti, il tesoriere della Banda. Nicoletti dette ai Casamonica il compito di riscuotere i debiti insoluti, con una commissione cospicua.
Connection con mafie e politica
L’influenza del clan, negli anni, si è allargata anche fuori dei confini regionali e nazionali, specie per il traffico di stupefacenti, arrivando in Germania, Spagna e Olanda. Già nel 2010 sono emersi rapporti dei Casamonica con la ‘ndrangheta dei Piromalli – Molé e Alvaro, per il riciclaggio dei proventi illeciti e la costituzione di 15 società per la partecipazione in appalti pubblici. Così come, grazie a Nicoletti e alla ‘ndrangheta, la famiglia si era allargata ai rapporti col sistema politico locale. È rimasta famosa la foto che riprende il candidato Umberto Marroni (PD) e il sindaco uscente Gianni Alemanno (ex AN, PdL, Fratelli d’Italia) a cena con Luciano Casamonica, cugino incensurato omonimo di uno dei boss del clan. L’alleanza doveva portare i Casamonica a svolgere un ruolo di sicurezza nei confronti dei centri di accoglienza per migranti, gestiti dalla Cooperativa 29 giugno, che poi finirà nell’inchiesta di Mafia Capitale e per la quale sono stati condannati Salvatore Buzzi, presente alla cena, e Massimo Carminati, rispettivamente a 19 e 20 anni di carcere. Alla cena c’era anche il futuro Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, risultato poi estraneo agli interessi dei malavitosi. La sua presenza dava però al Buzzi lustro e credibilità. Alemanno smentì la frequentazione ma dopo l’archiviazione dell’accusa principale di associazione mafiosa, risulta ancora indagato per corruzione e finanziamento illecito. L’ex sindaco si fece delle foto con Luciano Casamonica, che indossava una felpa azzurra con la scritta gigante ITALIA. La foto fece il giro dei quotidiani ma Alemanno si difese dicendo che pensava fosse un ex detenuto che lavorava per la cooperativa.
Il 20 agosto del 2015, anche quelli che non li conoscevano, restarono stupefatti dello spettacolo sfarzoso al quale ci fecero assistere, per il funerale di Vittorio Casamonica. Le polemiche che suscitò quel funerale erano dovute a uno stile eccessivamente pomposo ma soprattutto “cafone” che la famiglia aveva messo in atto. La carrozza funebre nera, trainata da quattro cavalli neri, arrivava da Napoli in affitto. La seguivano almeno 250 automobili, pareva la Fiera dell’Auto di Ginevra, con gli ultimi modelli delle più prestigiose marche. Il corteo si snodava tra la Romanina e il quartiere Tuscolano, per giungere alla Chiesa Don Bosco, dove si teneva l’orazione funebre. Centinaia e centinaia di invitati aspettavano il corteo del boss, mentre enormi manifesti alle facciate dei palazzi lo ritraevano sorridente come fosse un candidato alle elezioni del Parlamento. “Vittorio re di Roma” e “Hai conquistato Roma ora conquisterai il Paradiso” erano gli slogan stampati sotto le fotografie. Quel funerale era una dimostrazione di forza, una chiara sfida allo Stato da parte di una famiglia di ricercati. Neanche un Presidente della Repubblica poteva aspirare a quel genere di sfarzo. Il funerale non viene ostacolato dalla forza pubblica e si svolge in città, creando un tale ingorgo che i vigili debbono intervenire si ma per agevolare il traffico. La banda musicale di Frascati intona l’aria de “Il Padrino” di Nino Rota. Quando gli ospiti escono dalla chiesa, al termine della funzione, un elicottero volteggia sul cielo di Roma, lanciando petali di rosa sulla folla in estasi, da un altitudine di 330 metri, vietata, mentre la banda intona il tema di “2001 Odissea nello spazio”. La bara esce, portata a spalla, come in una coreografia ben studiata, in uno spettacolo televisivo (la scena è già pronta per la serie tv) per essere adagiata nella Rolls Royce scura di famiglia.
Per mesi si è parlato di questo affronto alle istituzioni e alla città e come fosse possibile che avessero dato il permesso a questa banda di criminali, di impossessarsi di due quartieri della Capitale, per fare il loro spettacolo osceno. Pare che tutto fosse nel rispetto delle norme, meno il volo dell’elicottero, che non venne autorizzato, per il blocco aereo che vige sulla città, tanto che venne sospesa dall’ENAC la licenza di volo al pilota, per 33 mesi. Don Giancarlo Manieri, il prete officiante, intervistato in merito, si difese dicendo che dire la messa per un defunto “fa parte del suo mestiere”, buttandola così sul professionale, senza coinvolgere l’eventuale giudizio divino sulle malefatte del defunto. Noi restiamo perplessi di fronte a una Chiesa che accetta di fare i funerali di un disonesto strozzino e che lascia venga seppellito in Sant’Apollinare, il capo della Banda della Magliana, Enrico de Pedis, accanto a papi e supposti benefattori, mentre nella stessa chiesa non si volle concedere analogo diritto a chi ha scelto l’eutanasia (Piergiorgio Welby) per interrompere un accanimento terapeutico, che non porterà nessun cambiamento a una vita di sofferenze. Le vide del Signore, come si dice, sono infinite. Ma noi sappiamo dove portano.
Una famiglia che ama lo sfarzo ma non certo l’eleganza
Tutti i membri della famiglia sono abbastanza massicci e tondi, le donne non sfuggono alla regola. Oggi le chiamerebbero “curvy” ma più che le curve, nella struttura fisica, è l’assenza di forme quello che si nota. Sono donne tutte d’un pezzo anche fisicamente- I capelli sono corti o lunghi, tendenti spesso al rossiccio, grazie alla tintura all’henné. Le espressioni dure, nascoste dagli occhiali neri spessi, labbra carnose, colli forti e un fisico tarchiato, coperto fino alle caviglie da gonne ampie scure. Quando si vestono “bene” indossano gioielli d’oro massiccio, bracciali con catene, ciondoli, collane che stridono sulla carnagione bianca, con uno sbrlluccichio che fa pensare più alle luminarie dell’albero di Natale. Gli anelli potrebbero essere comodamente infilati in due dita contemporaneamente, per quanto sono grandi e luminosi. Gli uomini indossano maglie o maglioni di colore indefinito, con disegni strani, scritte, colori sgargianti, che fanno pensare più al mercatini di Porta Portese che alle boutique del centro. Nell’immagine in tv si sbracciano fuori dal finestrino del Suv, per protestare contro quest’azione disumana. “Ma le ville sono abusive!” gli urla in faccia un giornalista. “Si, ma sono 50 anni che mio nonno ha comprato questi terreni! 50 anni… E non ci hanno mai detto nulla…” E’ un lupo ferito, nervoso, agitato… non può reagire come vorrebbe, sa di essere in torto e vuole passare per vittima ma sappiamo bene che in un’altra occasione avrebbe dato sfoggio di una arroganza tracotante. Avrebbe assalito il giornalista a male parole, gli avrebbe spaccato la telecamera e forse anche la faccia.
Una volta dileguati restano le ville, vuote. Templi moderni del kitsch criminale. Una sorta di “Gomorra” con colonne e capitelli, fontane e scalinate, incredibilmente aperte al nostro sguardo. Tutto è pacchiano, esagerato, disgustoso. Stili che si rincorrono e si annientano. Malachite oppure prezioso marmo di Carrara, placcature dorate, tende stile impero, maniglie d’oro, televisori Samsung da 75 pollici 4k, che sembrano schermi cinematografici, diavolerie tecnologiche ultimo grido, playstation, tablets, computer, cellulari I phone, aria condizionata, caminetti con il fuoco sempre acceso per smaltire la droga in caso di arrivo della polizia. Nei bagni Jacuzzi per due o più persone, bidè dorati, tazze intarsiate. Nei corridoi e nelle sale angeli e madonne, lampadari che farebbero sfigurare quelli del Grand Hotel, ordinati magari su misura a Murano. Nelle “stalle” i purosangue, nei garage le moto Kawasaki e Honda, le Ferrari, le Corvette, le Jaguar. Una volta abbattute le ville, questi beni, i mobili, le auto, le suppellettili, torneranno a loro disposizione. Potranno andare a prendersele per portarle in altre case, in altre ville, in altri appartamenti, che nel frattempo avranno acquistato, affittato, recuperato tra le proprietà della famiglia sempre che non vengano assegnati loro appartamenti del Comune, di un Ente pubblico o privato e tutto ricomincerà daccapo.
Staremo a vedere.