“Voi siete il sale della terra” (v. 13). La prima immagine, quella del sale, non è di immediata comprensione. Il sale ha una sola funzione, dice Gesù, quella di insaporire, e può svolgere la sua funzione solo perché ha un suo “specifico” sapore: il salato. Proprio perché il suo sapore è “specifico”, nell’assurdo caso in cui lo perdesse, con nessun’altra cosa glielo si potrebbe restituire e diverrebbe quindi inutile. Così è il gruppo dei discepoli: questi non possono che avere un “sapore specifico”, che li differenzia da chi discepoli non è, e quindi non ha quel sapore.
Il discepolo è “sale della terra” in quanto è sulla terra che svolge la sua missione ed è rispetto agli uomini e donne della terra che manifesta la sua peculiarità. Questa diversità tra i discepoli e gli altri provoca quello che Gesù preannuncia nell’ultima beatitudine: disprezzo, persecuzione e calunnia a causa del nome di Gesù.
In questo trova la sua motivazione anche il richiamo ai profeti che hanno subito la stessa sorte perché si sono mantenuti fedeli a Dio e alla sua missione che aveva loro affidato ed erano per questo scomodi. Lo specifico del discepolo è ciò che provoca l’avversione degli altri ma allo stesso tempo è ciò che ne giustifica la missione: se, anche a motivo della persecuzione, rinunciasse alla sua missione, sarebbe “inutile”.
La seconda immagine, “Voi siete la luce del mondo” (v. 14), quella della luce, si affianca alla prima e la integra. Precedentemente l’evangelista aveva usato l’immagine della luce per indicare l’azione di Gesù che illumina “il popolo che abitava nelle tenebre” (4, 16). Ora quella stessa immagine viene usata per i discepoli che diventano partecipi della missione del Maestro che li ha chiamati e costituiti come discepoli.
Anche per loro, non solo per Gesù, vale la doppia profezia di Isaia, “Io ti renderò luce delle nazioni”. I discepoli, “come e con” il loro Maestro, sono chiamati a essere luce del mondo, devono essere immediatamente riconoscibili come discepoli di Cristo, come una luce che splende nel buio. La loro missione deve essere “pubblica”, il loro non può essere un discepolato privato, intimistico, così come non ha senso, è inutile, una lampada posta sotto un moggio.
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini” (v. 16). Il richiamo all’aspetto “pubblico” del discepolato è esplicitato fuor di metafora dall’uso dei verbi “risplendere” e “vedere”, mentre la sottolineatura delle “opere buone” (v. 16) richiama lo specifico del discepolato (“voi siete il sale della terra”). Queste opere sono espressione degli atteggiamenti espressi nelle beatitudini, sono le opere che esprimono la fede e la partecipazione alla missione del Maestro.
E’ interessante notare a questo proposito come, in realtà, il testo parla di “opere belle” non tanto e solo di “opere buone”. “L’azione bella” è l’espressione fattiva, pratica, della fede e dell’amore. Questo è lo specifico del discepolo: vivere le beatitudini in pienezza e con amore, non per mostrare sé stessi ma per la gloria di Dio. O il discepolo assume questo programma di vita o semplicemente non può essere considerato tale; la serietà di questo discepolato diverrà evidente nel prosieguo del capitolo, quando il Signore “perfezionerà” la Legge antica (si pensi ad esempio all’amore per i nemici). Il discepolo è chiamato a vivere in pienezza la sua vita sulla terra, di cui è sale, e nel mondo, di cui è luce differenziandosi, per la bellezza delle sue azioni, dagli altri per guidarli a Dio.
Ai discepoli Gesù affida una missione, un compito umile e quotidiano: chiede loro di essere sale e luce. Sale che dà sapore, un gusto nuovo alla vita delle persone. Luce che rischiara e permette di orientarsi nell’oscurità, di intravedere un cammino proprio là dove sembrano regnare le tenebre.
Il sale, per dare sapore ai cibi, deve sciogliersi, scomparire. La luce, invece, deve affrontare le tenebre se vuole offrire un punto di riferimento a chi è smarrito. A nulla vale avere grandi quantità di sale se non lo si distribuisce in piccole dosi per dare sapore alle pietanze. A nulla serve una gran quantità di luce che resta al chiuso e non affronta l’oscurità.
Per il discepolo di Gesù, allora, vivere “disperso”, immerso nelle più diverse situazioni, è una condizione stabile, normale, necessaria. In questo “perdersi” c’è un morire quotidiano, ma anche un’esperienza esaltante. Perché dare sapore a tutto ciò che segna la vita umana, è un compito grande e straordinario, anche se si è chiamati a lavorare con grande fiducia e pazienza.
Il Signore ci invita a scioglierci nella pasta della storia, a disperderci per trasmettere lì dove ci troviamo, lì dove viviamo, il sapore buono del Vangelo. Tu, Gesù, vuoi che ci preoccupiamo solo di far avvertire il senso nuovo che la tua Parola dà a ogni vicenda umana, il gusto di un modo nuovo di leggere la storia, di comportarci, di agire.
Tu sei la luce del mondo: per questo sei venuto in mezzo a noi, per strapparci alle tenebre che raggiungono la profondità della nostra anima. Ecco perché ci domandi di essere il riverbero fedele della tua luce, perché uomini e donne continuino a costruire quel mondo nuovo che un giorno apparirà finalmente in tutta la sua consolante bellezza.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Busia, 2023; Laurita, 2023.
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