Nel giorno successivo al voto presidenziale americano, in una competizione che non ha registrato alcuna esclusione di colpi, o meglio di Tweet, dall’altra parte dell’Oceano, a Roma, un gruppo di giovani si prepara a presentare giovedì alla Camera dei Deputati un progetto sulla trasparenza e il rispetto. Contro qualcosa che in questi mesi è riuscito a diffondersi globalmente molto più velocemente del virus: l’odio.
Stiamo parlando dei ragazzi di HIT Project, il progetto europeo che fornisce ai giovani le conoscenze e i mezzi necessari ad affrontare e arginare i discorsi d’odio online. Promosso dalla DG Justice dell’Unione Europea, il progetto è attivo in 9 Paesi tra cui l’Italia e attraverso la creazione di veri e propri gruppi di giovani ‘interruttori’ dell’odio, non solo agisce come meccanismo di educazione digitale all’uso delle parole, ma rappresenta l’occasione per milioni di ragazzi di invertire la rotta del web nel nome della creatività, della libertà e del rispetto della dignità, contro ogni forma di discriminazione.
Attraverso workshop e seminari rivolti ai giovani dai 14 ai 19 anni e grazie alla collaborazione con diversi professionisti del settore dell’educazione e dell’accoglienza, la creazione degli Hate Interrupter Teams interviene a baluardo di una corretta informazione e del rispetto digitale, in un momento in cui una vera e propria valanga d’odio sembra in procinto di abbattersi su tutte le piattaforme social, già invase da un’esplosione di commenti hate durante i mesi del primo lockdown.
I bersagli più diffusi: donne, membri della comunità LGBT, ma anche contenuti a matrice xenofoba, razzista e religiosa. Secondo i dati riportati da L1GHT, infatti, dall’inizio della pandemia da Covid19, nel mondo, il traffico verso siti che incitano all’odio e alla discriminazione è aumentato del 200%. Solo su chat tra bambini e adolescenti, gli hate speech sono cresciuti di oltre il 70%, mentre quasi il 17% dei discorsi online in Italia è, ormai, diventato un discorso d’odio. Basti pensare che dal 25 Aprile al 17 giugno scorso, i contenuti hate condivisi solo su Twitter in Italia sono stati 679mila, mentre Facebook che da gennaio a marzo ha rimosso quasi 10 milioni di contenuti, nel trimestre successivo ha dovuto più che duplicare lo sforzo.
Una deriva che sembra inarrestabile e che se affiancata ai dati sulle opinioni degli italiani, mette a dir poco i brividi. Secondo quanto riportato dalla Commissione della Camera contro le discriminazioni, intitolata a Jo Cox – la deputata laburista aggredita con un coltello e un’arma da nel nord dell’Inghilterra da un nazionalista il 16 giugno 2016 – Il 40% degli italiani ritiene che le pratiche religiose “degli altri” possano essere un pericolo e andrebbero contenute, specie nel caso della religione musulmana, mentre sono in aumento i pregiudizi antisemiti, condivisi da un italiano su cinque, e si moltiplicano i siti web antisemiti. Al contempo, solo nel 2019, i reati con matrice discriminatoria solo saliti quasi a 1000.
Dati che impongono una riflessione e che, anche a livello europeo, stanno smuovendo qualcosa, tanto che l’UE, da sempre di approccio garantista , ha deciso di intervenire e attualmente sta lavorando al Digital Service Act (DSA), il pacchetto di misure con cui, insieme al gemello Digital Market Act, punta a regolare il complicato e mutevole mondo del web. D’altro canto, come sottolinea anche il report della Commissione Diritti Civili (LIBE) del Parlamento Europeo, la proliferazione dei contenuti che incitano alla violenza si alimenta del gusto del pubblico per il sensazionalismo.
“Questa dinamica fa parte della psicologia umana. L’uomo che morde il cane fa sempre più notizia del cane che morde l’uomo: spesso preferiamo un video polemico che grida allo scandalo, piuttosto che quello di un vero esperto che ci spiega il tema”, ha spiegato la deputata dei Verdi tedeschi, Alexandra Geese, ai microfoni dell’Inkiesta. Eppure proprio in questi mesi, non sono mancati agli onori della cronaca, episodi di violenza che hanno scosso l’opinione pubblica in tutto il mondo, compresa l’Italia.
L’abbiamo sentito tutti, in fondo, il fiato corto per il ginocchio di Derek Chauvin sul collo di George Floyd, così come abbiamo sentito le urla del giovane Willy Monteiro riecheggiare per giorni. Per il coordinatore di HIT in Italia Enzo Pellegrini la parola d’ordine deve restare la diffusione del rispetto contro l’odio, con creatività: “Cerchiamo di creare un momento di condivisione che genera nuova conoscenza, tra pari, senza giudizi, né gerarchie, contro l’odio e la discriminazione.” Ha dichiarato. Ma può il rispetto diventare più virale della violenza in Italia? I ragazzi di HIT credono di sì, e non si può non fare il tifo per loro.
Diana Zogno
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