IL ROCK È ROBA DA GRANDI. I Nirvana che non ti aspetti: “Unplugged”, 1994
Una rivelazione sorprendente, nel loro caso. Una conferma in assoluto: l’elettricità non è obbligatoria. Nemmeno nel rock
Il 18 novembre 1993, l’ultimo appuntamento di quell’anno con i concerti acustici di MTV: i Nirvana che non ti aspetti. In versione unplugged e apparentemente rilassati, quando invece il loro repertorio era elettrico, abrasivo, per nulla “user friendly”.
Musiche piene di tensione e di urgenza, come se dietro le note ci fosse un rombo lontano che non svaniva mai del tutto. Confessioni in chiave di monologo, seduti sul bordo di un marciapiedi o su un divano sfondato. Non confidenze garbate al calduccio rassicurante di un camino o su una spiaggia californiana dove ogni cosa sembra perfetta.
Non era tipo da celebrazioni, Kurt Cobain. E men che meno da celebrazioni commerciali in stile showbiz: fingono di adorarti come artista, ma solo se sei seduto su una montagna di dollari. Ti acclamano per i soldi che fai, non per le cose che crei. Durerai a lungo? Meglio per te e meglio per loro. Svanirai in fretta? Peggio per te.
“Unplugged”, okay. Ma alle mie condizioni
Chiaro: non era stata una trattativa facile, quella con MTV. Loro chiedevano/sollecitavano/esigevano che ci fossero i brani più noti e di maggiore impatto, “Smells Like Teen Spirit” in testa.
Kurt aveva replicato che non se ne parlava neanche. Mica voleva fare un tipico show dei Nirvana con l’unica differenza di non usare l’amplificazione. Che cavolo. Che stronzata. Se volevano davvero che partecipasse avrebbe fatto a modo suo: alcuni pezzi della band che gli parevano adatti a quel tipo di situazione e alcune cover. No, niente hit ultrafamose. Non lo era nemmeno “The Man Who Sold the World” di David Bowie. Quanto al resto, diverse cose dei Meat Puppets (a proposito: due di loro saranno sul palco a suonare con noi) e un vecchio traditional in chiave blues, visto che il primo a inciderlo è stato Lead Belly. Avete presente, no? Nero, texano, morto nel 1949. Un maestro della 12 corde.
Alla fine gli avevano detto di sì. Okay, fa’ quel diavolo che ti pare.
Alla fine, tanto, gli conveniva comunque.
E così, perché a volte l’ostinazione diventa una virtù e perché a volte le cose vanno magnificamente bene per chissà quale combinazione di fattori, di stelle, di gnomi dispettosi che diventano laboriosi, di circostanze favorevoli che non sapresti elencarle, di ferite che per una sera, stasera, non fanno più tanto male… Così ne venne fuori un concerto speciale e bellissimo. Inatteso e accattivante.
I Nirvana che non ti aspetti. E la conferma di una lezione certamente non inedita, ma troppo spesso dimenticata: l’elettricità non è obbligatoria. Nemmeno nel rock, che pure ne ha fatto uno dei suoi tratti distintivi. Sino a far scordare che invece, in moltissimi casi, si tratta pur sempre di canzoni. Che discendono, in quanto tali, dell’antica e immortale linea di sangue del folk.
Lo sapete, ragazzi: si fa con quel che c’è. E metteteci il cuore, che chi è venuto a sentirvi ne ha bisogno.
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