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I pagani e il Cristo glorificato

La parabola del seme che muore (Gv. 12, 20-23) è collocata dall’evangelista nel contesto cronologico e teologico dell’ultima settimana del ministero pubblico di Gesù: si tratta della settimana di Pasqua, che il sacrificio di Cristo, nuovo agnello pasquale, trasformerà nella nuova e definitiva Pasqua di liberazione universale.

L’arrivo dei pagani nell’”ora” di Gesù

“…c’erano anche alcuni greci” (v. 20). Non si tratta di giudei della “diaspora”, emigrati dalla Palestina e disseminati tra i popoli pagani. Sono pagani incirconcisi, timorati di Dio, i quali credevano nel Dio unico e osservavano la giustizia. Si rivolgono a Filippo chiedendogli di voler vedere Gesù.  In realtà essi desiderano parlare con Gesù, intrattenersi con lui: si tratta di un vero “inizio di fede”. Anche la ricerca di un intermediario sembra significativa sul piano simbolico. Il mondo pagano non ha conosciuto Gesù in persona, ma soltanto attraverso la predicazione degli apostoli: i “pagani” hanno visto Gesù per mezzo del Vangelo che è stato loro predicato. Ma il desiderio di vedere Gesù non è possibile prima della sua “ora”, cioè prima della passione-morte-risurrezione di Gesù. Giovanni non dice più nulla di questi pagani; non dice neppure se abbiano parlato con Gesù.

L’apparizione dei pagani e la loro significativa richiesta ha fatto capire a Gesù che l’ora tanto attesa è giunta davvero: “E’ giunta l’ora in cui sarà glorificato il Figlio dell’uomo” (v. 23). La gloria è l’irraggiamento stesso della “presenza di Dio”, lo splendore terribile e insieme affascinante dell’essere divino; essa dimora nel Verbo incarnato, ma l’umiltà dell’incarnazione ne temperava lo splendore nonostante i “segni” che Gesù operava. La passione, paradossalmente, la rivela in pienezza: non appena l’involucro umano si infrange, la presenza divina si sprigiona investendo la stessa umanità del Verbo attraverso la risurrezione e l’ascensione. Non solo, la risurrezione aprirà la strada alla salvezza anche dei pagani, i quali credendo nel Cristo glorificato faranno anch’essi parte del suo trionfo. Attraverso la sua passione, Cristo, in quanto immolato, diverrà accessibile anche ai pagani.

La parabola del seme che muore (vv. 24-26)

“…se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto” (v. 24). Il seme è Gesù stesso che, soltanto attraverso la morte, sarà capace di portare frutto abbondante, di donare la vita a tutti gli uomini. Perdere la vita o conservarla: come per il Cristo la strada verso la glorificazione passa attraverso la morte, così la stessa legge viene estesa e resa valida anche per i discepoli. L’invito a seguire Gesù è anche un invito a imitarlo nella sofferenza e nella morte. I pagani chiedevano l’accesso al Cristo storico (vedere Gesù), e viene loro indicata la strada al Risorto (l’innalzato). La strada che conduce al Cristo Risorto è quella del servizio, che ha come conseguenza l’accettazione della morte. La decisione presa da Cristo nella sua “ora” (bere il calice della passione fino all’ultima stilla di sangue), rende possibile un’analoga decisione dell’uomo, mediante la fede.

Il Gethsemani del quarto Vangelo

“Ora l’anima mia è turbata, e che dirò? Padre salvami da quest’ora!” (v. 27). E’ certo che Giovanni in queste parole si ispira alla scena dell’orto degli Ulivi, come viene narrata dagli altri evangelisti. L’anima di Gesù è fortemente e tristemente impressionata dinanzi alla morte che deve colpirla. Questo turbamento dell’anima è la paura di Gesù di fronte alla sua morte, fino a sudar sangue, come ci dice Luca. Tuttavia, il Cristo di Giovanni è sempre “attivo” nella sua Passione: assoluto dominatore, da vero protagonista egli porterà a compimento in piena sovranità il progetto per il quale è stato inviato dal Padre: quello di donare la sua vita e di offrire la sua carne per la salvezza di tutto il mondo. Il Figlio prende su di sé, in tutta la sua profondità e la sua drammaticità, l’esistenza terrena fino alla morte, come un’esistenza vissuta non per sé ma per gli altri. E subito riceve la conferma da parte del Padre che la sua preghiera è esaudita: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò” (v. 28). Il passato fa riferimento ai “segni”, ai miracoli compiuti da Gesù; il futuro fa riferimento agli avvenimenti della passione-morte-risurrezione.

La croce, polo di attrazione salvifica universale

“Ora avviene il giudizio di questo mondo…” (v. 31). L’ora di Gesù è l’ora del giudizio, della separazione: coloro che lo rifiutano in questa sua ora, si mettono dalla parte del principe di questo mondo, il grande avversario di Gesù, e ne condividono la condanna. “Ed io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (v. 32). Alla rovina di satana si oppone l’esaltazione del Cristo: il Cristo guadagna ciò che perde il demonio. Satana era il principe del mondo pagano, ma questo mondo sta per essere sottratto al suo dominio e trasferito al dominio salvifico di Cristo. Ogni tipo di barriere e di discriminazione è infranto dall’ora di Gesù, che segna l’inizio di un nuovo popolo di Dio, caratterizzato unicamente dai vincoli di una fede autentica. Cristo ha vinto la morte e quindi rende partecipi i credenti della sua gloria; però, l’essere innalzato allude alla croce di Gesù, cioè all’odio e alla persecuzione che anche i credenti dovranno subire nel mondo a causa della loro fede.

La presenza profetica di un gruppo di pagani nell’ora di Gesù significa che l’intera umanità viene in quel momento e verrà sempre a trovarsi dinanzi a Cristo sul piede di parità: quasi un’ora zero per ogni uomo, indipendentemente dalla sua preistoria, anche religiosa. D’ora in poi l’opzione della fede in Cristo glorificato determinerà da sola l’ingresso nella chiesa e delimiterà i confini del nuovo popolo di Dio.

Bibliografia consultata: Mannucci, 1971.

Redazione

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