I primi destinatari dell’amore: dire o fare?

Gesù infatti annuncia il regno di Dio che è misericordia e perdono. I peccatori ne sono dunque i primi destinatari

Il Capocordata in montagna

Il Capocordata

Il brano del Vangelo odierno (Mt. 21, 28-32) riporta una parabola particolare del vangelo di Matteo inserita nel confronto polemico di Gesù con i capi dei Giudei a Gerusalemme nell’area sacra del tempio.

I primi destinatari dell’amore

Lo stile dialogico del testo riflette questo contesto vitale. Gesù invita i suoi interlocutori giudei a dare una risposta o a prendere posizione di fronte a due forme contrapposte di “obbedienza”. Il caso evocato dal piccolo quadro parabolico è quello della reazione di due figli di fronte all’invito rivolto loro dal padre: “Figlio, oggi và a lavorare nella vigna” (v. 28). Il primo figlio in un primo momento non accoglie l’invito del padre di andare a lavorare nella vigna, ma “poi si pentì e vi andò” (v. 29). Il secondo invece a parole aderisce all’ordine del padre, ma con i fatti smentisce la sua obbedienza formale, perché non va a lavorare nella vigna.

La domanda finale che Gesù rivolge ai suoi ascoltatori focalizza il punto nevralgico della breve storia parabolica: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” (v. 31). La risposta ovvia degli interlocutori prepara l’applicazione che ne fa Gesù: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (v. 31). Questa sentenza, che riflette lo stile e il modo di sentire tipico di Gesù, viene sviluppata in una seconda frase più elaborata che risente del linguaggio dell’evangelista.

Nella prima affermazione Gesù promette il regno di Dio ai peccatori, rappresentati da due categorie tipiche: “i pubblicani e le prostitute”. Nel confronto polemico con i capi giudei egli dichiara che i peccatori prendono il posto di quelli che si considerano i primi e unici candidati del regno di Dio. I peccatori di fatto hanno attuato la volontà del Padre che Gesù ha rivelato con i suoi gesti e parole.

Gesù infatti annuncia il regno di Dio che è misericordia e perdono. I peccatori ne sono dunque i primi destinatari. Non a caso a Gesù si rinfaccia di essere un “amico di pubblicani e di peccatori” (Mt. 11, 19). A questa accusa Gesù risponde appellandosi allo stile paradossale di Dio: “Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie”.

La conversione al pentimento

La seconda applicazione della parabola del padre e dei due figli fa leva sul “pentimento” del figlio ribelle, che rappresenta i peccatori. Questa lettura allegorica della parabola consente di farne una applicazione in rapporto al contesto polemico in cui essa è collocata dall’evangelista Matteo. L’annuncio del regno di Dio fatto da Gesù come offerta della misericordia e del perdono di Dio per i peccatori è preparato dalla predicazione profetica di Giovanni Battista che “venne a voi sulla via della giustizia” (v. 32).

La missione del profeta del deserto nel vangelo di Matteo è introdotta con una frase programmatica ricalcata su quella simile relativa a Gesù: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (3, 2; 4, 17). Ai farisei e sadducei che vengono a farsi battezzare il Battista si rivolge con parole che suonano come un urgente e serio invito al “pentimento”: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?” (3, 7). Nell’imminenza del giudizio di Dio che il profeta del deserto annuncia con lo stile degli apocalittici (rivelano la fine della storia), l’appello alla conversione non consente rimandi o alibi.

L’unica giustizia di Dio

E’ ancora troppo diffusa l’idea di una “giustizia” di Dio essenzialmente retributiva, cioè “da meritare con le buone opere”. Questo pregiudizio impedisce di cogliere la novità del messaggio biblico in tutta la sua ampiezza. Non è solo il vangelo che parla della “giustizia” di Dio in termini di fedeltà” e “misericordia”, ma tutta la rivelazione storica di Dio. Certamente nelle parole, gesti e soprattutto nella morte di Gesù Cristo si ha l’esplosione della “fedeltà” di Dio, divenuta visibile e fattasi dono irreversibile nell’obbedienza del Figlio di Dio. Ma la fedeltà di Gesù non è altro che la conferma definitiva e piena della fedeltà di Dio annunciata da tutta la Scrittura.

Le conseguenze di questa prospettiva sul piano pastorale e spirituale sono enormi. Si deve passare da una religiosità formalistica (di facciata), sterile e frustrante, a una esperienza profonda e gioiosa del rapporto con Dio. Il rischio e il limite del peccato rimangono sempre. Essi, però, possono essere superati dal ritrovato rapporto con Dio reso possibile dalla sua fedeltà.

Preceduti dai pubblicani e dalle prostitute

La frase di Gesù, lanciata ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, deve aver avuto l’effetto di uno schiaffo in piena faccia: tanto più violento quanto inatteso! I primi non vanno tanto per il sottile pur di far soldi, le seconde hanno accettato di vendere il loro corpo per denaro. A fronte di queste due categorie stano coloro che praticamente “vivono” nel Tempio assicurando il governo religioso di Israele.

Gesù però vede al di là delle apparenze! Riconosce gli sbagli dei primi, ma anche la conversione sincera che in certi casi ha letteralmente trasformato la loro vita. La loro generosità stride ora fortemente con la saccenteria di quelli che credono la loro salvezza garantita, assicurata. Per Gesù non esistono rendite di posizione, situazioni di privilegio che permettono di vantare dei diritti. Ciò che conta è la risposta del cuore, i fatti, i comportamenti, le scelte. Ed è meglio “essere cristiani senza dichiararlo, che dichiararlo senza esserlo”. 

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.