I primi discepoli del Messia

di Il capocordata

In questa seconda domenica del Tempo ordinario ascolteremo la chiamata dei primi discepoli nel Vangelo di Giovanni (1, 35-42). Come la maggior parte dei brani giovannei, anche questo presenta, intimamente fusi, un fatto storico (vocazione dei primi discepoli di Gesù) e un insegnamento dottrinale e spirituale (ruolo rappresentativo di tali discepoli; l’esempio della loro fede). Il brano è costruito secondo uno schema fondamentale: una testimonianza di fede porta il futuro discepolo all’incontro col Messia; questo incontro, a sua volta, sfocia in una confessione di fede. In tutto il capitolo l’interesse si concentra sulla genesi della fede e sulla comunicazione mediante la testimonianza. Nel nostro brano Giovanni Battista è il testimone qualificato che proclama la sua fede in Gesù messia; Andrea proclama la sua fede davanti al fratello, Pietro; in seguito, Filippo davanti a Natanaele. L’evangelista pensa ai suoi lettori cristiani del primo secolo: anche per essi l’elemento essenziale della condizione di discepolo è la fede intesa come adesione alla persona di Cristo per se stessa. Per mezzo della testimonianza dei primi chiamati, i nuovi credenti possono giungere ad incontrare il Salvatore.

I primi due discepoli (vv. 35-39)

Attorno al precursore si era formato questo raggruppamento di discepoli stabili (“Giovanni si trovava di nuovo là con due discepoli”), come di norma accadeva attorno a un rabbi (maestro) giudeo.  Ora che il Cristo è venuto (“Ecco l’Agnello di Dio”), il precursore diviene il testimone che attesta il compimento delle Scritture. E’ lui che conduce a Cristo i primi discepoli con la sua testimonianza scritturale (Is. 53). Ormai la testimonianza deve condurre alla fede: i primi due discepoli vanno a Cristo sulla testimonianza di Giovanni Battista, Pietro sulla testimonianza di Andrea. “Seguirono Gesù”: Il verbo seguire significa “farsi discepolo”, “unirsi ad un maestro”; essi camminano dietro a Gesù per “abitare con lui”.

“Che cosa cercate?” (v. 38): Gesù interroga per provocare la risposta con cui gli interlocutori saranno indotti a prendere coscienza del vero oggetto della loro ricerca. “Rabbì” (Maestro): i discepoli di Giovanni Battista trasferiscono a Gesù il titolo con cui onoravano il loro maestro. Essi, che sono stati finora discepoli del precursore, cominciano a diventare i discepoli del messia. “Venite e vedrete”: queste parole esprimono l’invito a verificare con gli occhi, con la constatazione fisica, la realtà storica che costituirà il fondamento della fede. Sono invitati a prendere contatto personale con Gesù, di conversare con lui, di conoscerlo più intimamente.

La fede in Gesù si trasmetterà attraverso la testimonianza di coloro che hanno visto, udito, toccato e creduto nel Figlio fatto uomo che ha reso visibile Dio stesso! “Rimasero presso di lui”: il termine esprime l’entrata nell’intimità del maestro. Molto più che il luogo dove abita il maestro, cercano la sua presenza, la sua persona. L’incontro con Gesù inaugura una presenza continuata, una comunione durevole. “Erano circa le quattro del pomeriggio”: si pensa in genere che questa indicazione temporale sia la firma del testimone che racconta l’avvenimento di cui conserva un ricordo incancellabile.

Simon Pietro (vv. 40-42)

Il racconto della vocazione di Pietro è evidentemente molto stilizzato, ridotto ad alcuni tratti del tutto essenziali. Il v. 40 designa suo fratello Andrea come uno dei discepoli venuti dal Battista. L’altro discepolo non viene nominato. Comunemente si suppone che si tratti dell’evangelista stesso, dagli elementi di natura autobiografica (la decima ora e le parole aramaiche). Viene pure ricordata la maniera in cui Giovanni evita di nominarsi espressamente nel suo Vangelo, designandosi solo come “il discepolo prediletto da Gesù”. Se l’ipotesi è esatta, si vede che l’autore del Vangelo, rimasto alla fine quasi il solo superstite dei contemporanei di Gesù, si era unito a lui fin dal primo giorno e l’aveva conosciuto nel modo più intimo durante tutto il suo ministero.

“Abbiamo trovato il messia”: così Giovanni Battista aveva designato Gesù nominandolo “Agnello di Dio”, riconoscendo in Gesù di Nazareth il Salvatore promesso. L’attesa secolare di Israele, la ricerca dei discepoli del precursore trova in Gesù, ora incontrato, il suo compimento. La conservazione di certi termini aramaici (rabbi, messia, Cefa) vuole riprodurre la tonalità primitiva di queste parole che Giovanni stesso udì all’inizio della sua vocazione. All’epoca in cui scrive l’evangelista (verso la fine del I secolo), “Cristo” e “Pietro” sono diventati nomi propri, il cui senso originario è praticamente dimenticato. Nel nostro racconto, schematico al massimo, Pietro non dice niente, contrariamente alla sua fede confessata nella messianicità di Gesù riportata da Matteo (16, 18) con la solenne promessa del primato di Pietro sulla Chiesa.

Data la forza espressiva del nome per gli antichi, imporre un nome ad un essere significava determinarne la natura profonda, o almeno una qualità essenziale. “Cefa” in aramaico significa “roccia”, “pietra”: il termine evoca solidità, stabilità, sicurezza. I lettori del vangelo di Giovanni conoscono abbastanza dalla storia il posto preminente di Pietro fra tutti i discepoli nella chiesa nascente: Simon Pietro è destinato a diventare la roccia su cui Cristo edificherà la sua Chiesa (Mt. 16, 17-19), la sua comunità messianica; la costruzione fondata sulla roccia, di una solidità a tutta prova, potrà sfidare in ogni tempo le potenze ostili. In una maniera misteriosa, che il futuro chiarirà, il Cristo-Messia manifesta la volontà di stabilire Pietro come il capo che assicurerà la coesione e la stabilità della chiesa, comunità dei credenti; a motivo della sua fede e del suo amore verso Cristo, egli sarà il Pastore a cui il Buon Pastore oserà affidare il gregge messianico, nella sua totalità e nelle sua unità, perché lo conduca verso la salvezza portata da Cristo: è questa la vocazione di Pietro fin dall’inizio, secondo l’evangelista Giovanni.

Questi primi discepoli privilegiati aderiscono a Cristo fin dal primo incontro, in un contatto intimo con la persona del Salvatore. Anche noi oggi andiamo verso Cristo scossi in primo luogo dalla testimonianza dei primi credenti. Ma dobbiamo giungere anche noi all’incontro con il Salvatore, dobbiamo trovarlo, entrare nella sua intimità e sotto la sua influenza rimanere infine nella comunione viva con la sua persona, sempre presente a coloro che lo cercano!                                                                                                 

Bibliografia consultata: Jacquemin, 1971.

 

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