Il fenomeno degli atti di violenza commessi in occasione di manifestazioni sportive, oggi spesso alla ribalta delle cronache, non è certo proprio soltanto dei nostri giorni.
Quanto all’antica Roma, in particolare, grazie agli Annales di Tacito, sappiamo dei violenti scontri verificatisi nel 59 d.C. tra Pompeiani e Nucerini che duemila anni fa assistevano a uno spettacolo di gladiatori nell’anfiteatro della città di Pompei, evento organizzato dall’imprenditore-senatore, tal Livineio Regolo.
“Come capita spesso nelle piccole città, gli spettatori si derisero a vicenda scagliandosi insulti e volgarità; poi passarono alle pietre e infine alle armi. I tifosi di Pompei, più numerosi dato che lo spettacolo si teneva in casa loro, ebbero la meglio. Molti tifosi di Nocera furono riportati a casa pieni di ferite e molti piansero la morte di un figlio o genitore”. Così riferisce Tacito, immortalando per sempre nella carta la più antica testimonianza di rissa da stadio della storia.
Non c’era giustizia sportiva e tanto meno il VAR, ma Nerone non ci andò leggero con le sanzioni.
Affidò l’indagine delle cause al Senato che a sua volta la rinviò ai consoli. Riferita la relazione ai senatori, furono vietate ufficialmente queste riunioni per dieci anni, bandite le tifoserie illegalmente costituite in associazioni e l’anfiteatro squalificato.
Infine l’organizzatore, Livineio, ritenuto il principale responsabile insieme ad altri personaggi, venne spedito in esilio.
La domanda è: si trattò davvero di una comune rissa tra semplici spettatori o sotto vi erano questioni più profonde esacerbatesi nel tempo fino a una sorta di resa dei conti?
C’è chi sostiene che il vero motivo della lite sia probabilmente da attribuirsi al fatto che Nuceria Alfaterna era diventata nel 57 d.C. colonia romana e ciò aveva permesso ai nocerini di accaparrarsi territori precedentemente appartenuti ai pompeiani.
Altri parlano di infiltrati riconducibili ad associazioni pericolose per l’imperatore e per lo Stato.
Altri ancora pensano che i disordini furono orchestrati da importanti personalità dell’aristocrazia locale del calibro di Livineio Regolo, l’ex senatore menzionato da Tacito, che temendo un’espansione della politica coloniale di Nerone in danno delle loro proprietà, avrebbero potuto dare corpo alla sommossa.
In ogni caso, la chiusura decennale dell’arena pompeiana e la proibizione di pubbliche riunioni e di associazioni riconosciute non legali, non durò a lungo. Essa fu interrotta, infatti, più tardi nel 62 d.C., in seguito a un terremoto che ebbe conseguenze disastrose per molti edifici, compreso l’anfiteatro che però fu l’unico ad essere completamente e rapidamente riparato.
D’altra parte, nel 62 d.C., Nerone sposò Poppea, matrona di insigne famiglia, probabilmente originaria di Pompei e, in ogni caso, certamente legata all’ambiente pompeiano. Sicché, o per intercessione di costei o per merito di Satrio Valente, (gran promotore di spettacoli e sacerdote a vita di Nerone), l’imposizione senatoria non ebbe seguito.
Da Pompei provengono diverse testimonianze archeologiche relative all’avvenimento. La più famosa riguarda l’affresco scoperto nella Casa della Rissa nell’Anfiteatro. E ancora, piuttosto indicativa delle opposte fazioni che esistevano nella Pompei del I sec. d.C., l’iscrizione “Puteolanis feliciter omnibus Nucherinis felicia et uncum Pompeianis Petecusanis” (Viva i Puteolani, a tutti i Nucerini auguri e l’arpione ai Pompeiani e ai Pitecusani).
L’uncus era un grosso uncino o gancio da macellaio che veniva applicato e utilizzato dal boia che lo conficcava nel collo dei condannati a morte per trascinarli nel Tevere, ma veniva impiegato anche per allontanare dall’arena i corpi senza vita delle vittime degli spettacoli circensi. “Uncus” è, dunque, una metafora di grande efficacia per augurare di morire uncinati.
E se è vero che tutto il mondo è paese, è anche vero che tutti gli stadi sono uguali, che siano anfiteatri per spettacoli ludici di millenni fa o templi del calcio dei giorni nostri.
Luoghi senza tempo dove la violenza cieca insita nell’animo di molti rappresentanti della nostra specie trova il modo di esternarsi e farci vergognare di essere catalogati sotto il falso nome di “homo sapiens”.
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