Un Vinitaly sempre più entusiasmante, il mese scorso, ha chiuso i battenti della 56esima edizione, svoltasi come sempre nei padiglioni della fiera di Verona dal 14 al 17 aprile, con un incremento significativo di persone, quasi il 20% in più rispetto alla precedente edizione.
Consolidate circa 100mila presenze, con operatori esteri del settore provenienti da più di 150 paesi e un aumento costante di Buyer statunitensi e asiatici, spagnoli, tedeschi, francesi e polacchi, attratti dalle proposte vitivinicole delle aziende espositrici italiane.
Moltissime le novità presenti, dall’Organic Hall, salone dedicato al vino biologico, alla sezione espositiva denominata Mixology, con le varie miscelazioni di vini, liquori e distillati, ai vini Alcol Free, di cui ne è vietata attualmente la produzione in Italia, sebbene possano essere commercializzati, oltre a una grandissima novità, I Vini degli Abissi, Under Water Wine.
Vini questi ultimi, nati per caso, quando nel 1940 una nave che trasportava bottiglie di Champagne Veuve Clicquot affondò a sud dell’Arcipelago delle Isole Åland, tra Svezia e Finlandia, e in seguito al ritrovamento delle bottiglie nel 2010 iniziarono i vari esperimenti tra molteplici cantine, francesi e italiane, con l’aiuto di enologi esperti e consulenti vitivinicoli, con l’obiettivo di scoprire di più sulle opportunità fornite dalla natura marina.
Vini che ho voluto assaggiare in compagnia del responsabile Italia Coral Wine, Ivan Mudronia, unitamente al Sommelier Ais, Zeno Fisogni, ai quali ho chiesto come è nata l’idea di effettuare l’affinamento dei vini sott’acqua, e come variano sui vini, le diverse profondità marine.
Sia Ivan che Zeno ritengono, dopo aver sperimentato per anni questa nuova tipologia di affinamento, che i vini immersi a grandi profondità marine siano utili a simulare l’operazione di remuage, mentre altre, mantenendosi ad una profondità minore, tendono ad operare sulle temperature per un ottimale processo di affinamento.
Il loro progetto sottomarino, trasformato nell’azienda Coral Wine, nasce nel 2013 nei pressi delle coste croate, con una cantina subacquea professionale più grande e unica al mondo, dove, la ricerca e le verifiche costanti, unite ad ottimi vini hanno portato attualmente l’impresa subacquea ad avere una produzione stimata di circa 30.000 bottiglie annue.
La cantina subacquea si trova in una valle nascosta dell’isola di Pag, in Croazia, e la base di operazioni è a Ljubač, un piccolo villaggio vicino a Zara. Prima del lancio del progetto Coral Wine, la società si concentrava principalmente sulla produzione di cozze, ostriche e altri prodotti ittici, mentre ora continua a produrre cibo, ma con una attenzione particolare rivolta al vino.
La produzione di vino e cibo nello stesso luogo ha comportato, negli anni, un rigoroso controllo scientifico dell’ambiente dove le bottiglie affinano. In particolare, l’Istituto oceanografico preleva settimanalmente campioni di mare per rilevare eventuali impurità, mentre l’Istituto veterinario esegue test di laboratorio per garantire la qualità e la sicurezza della carne dei molluschi allevati.
L’infrastruttura sottomarina è stata progettata per lavorare in armonia con la natura in modo sostenibile. Le ceste che ospitano le bottiglie sono state create per garantire il passaggio delle correnti marine, consentendo così agli organismi marini e alle alghe di vivere e crescere intorno e sopra ad esse.
Un lavoro questo improntato alla biosostenibilità, capace di contribuire anche al ripristino della flora e della fauna selvatica nella valle, basti pensare che le alghe e gli altri organismi marini crescono sulle bottiglie producendo un design naturale, unico e sicuramente di notevole impatto visivo, valorizzando l’identità del produttore e del territorio da cui proviene il vino.
L’ambiente di affinamento è allo stesso tempo perfetto e imperfetto, da un lato, le bottiglie affinano in assenza di luce, silenzio completo e temperatura costante e dall’altro, sono esposte alla pressione costante del mare e all’energia delle correnti marine e, grazie ad opportune ceste, le bottiglie galleggiano in mare con il minimo contatto con la stessa. In questo modo, il mare può scorrere liberamente tra le bottiglie, garantendo la massima esposizione a tutte le condizioni e le ceste sono leggermente rialzate rispetto al fondo del mare per evitare che le bottiglie assorbano odori sgradevoli.
Ogni cesta contiene solo 150 bottiglie e dopo l’immersione gli operatori le monitorano costantemente, attraverso regolari immersioni di controllo. Segue estrazione di alcune bottiglie a campione, al fine di analizzare le mutazioni nelle sensazioni organolettiche del vino, confrontandole con le bottiglie originali, per una ulteriore ricerca e sviluppo.
La degustazione dei vini sommersi, unite alle varie emozioni raccontate da Ivan e Zeno mi hanno permesso di spiegare questa nuova ed eccezionale idea attraverso un semplice esempio, ossia, esponendo due lotti di bottiglie identiche e della stessa annata a condizioni di conservazione diverse, il primo collocato in cantina e il secondo immerso nel Mar Adriatico per circa un anno, si potranno percepire, andandoli ad assaggiare, gli aromi primari nel vino appartenente al primo lotto mentre, nel secondo caso si percepiranno tutti i vari profumi sia al naso che al palato, primari, secondari e terziari, aventi una acidità più bassa con tannini sicuramente più levigati, rotondi e vellutati.
L’evoluzione vitivinicola continua e grazie al Vinitaly 2024 abbiamo abbiamo avuto modo di apprezzare vini che stando in immersione un anno, ma a volte anche meno, nel caso di vini bianchi, sono capaci di sprigionare le medesime caratteristiche a livello di profumi ed evoluzioni organolettiche, mantenendo un eccezionale freschezza gustativa, senza dovere attendere almeno sei o sette anni di affinamento in cantina, abbattendo in questo modo i costi di immobilizzazione dei vari vini.
La domanda a questo punto sorge spontanea, che vini berremo in un futuro prossimo e fino a dove si spingerà la ricerca e lo sviluppo scientifico vitivinicolo?
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