L’episodio del Battesimo di Gesù (Mc. 1, 7-11) è determinato dal ministero di Giovanni Battista e suggellato dalla rivelazione divina con il dono dello Spirito Santo e dalla parola del Padre.
L’evangelista Marco dopo aver presentato il ritratto del Battista, nel brano di oggi riporta l’essenza del suo messaggio: egli è il precursore del Messia, precede colui che è “più forte” di lui (v. 7). Egli afferma la sua posizione inferiore rispetto a Gesù ed è consapevole di essere un servitore di ciò che avverrà, come un servo che si sente indegno di sciogliere i legacci dei sandali.
L’immagine stessa è funzionale a ciò che è ormai prossimo a manifestarsi, ma risulta interessante notare come la figura e il ministero del Battista siano presentati nei vangeli come la porta di ingresso principale per la comprensione del mistero di Cristo. Non si può entrare nel mistero di Gesù Cristo senza comprendere il ministero di Giovanni Battista. Egli è fondamentale per cogliere il compimento della salvezza in Gesù, sottolineato nel testo dalla sostanziale differenza del gesto battesimale: “Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo” (v. 8).
Il compimento consiste nella pienezza dello Spirito divino nell’azione di Gesù, per il quale si compie il perdono dei peccati e si realizza la piena comunione con Dio Padre. Si chiarisce così lo stretto legame tra il Battista e Gesù, ma anche la sostanziale differenza e novità in Cristo.
L’evangelista Marco inizia a presentare Gesù proprio attraverso la scena del battesimo. Non parla della vita precedente di Gesù, parla subito del battesimo come dell’avvenimento più importante che introduce la figura, l’azione e la parola di Gesù. Non è precisato il motivo per cui Gesù riceva il battesimo in Giudea. L’evangelista risponde alle domande che riguardano la relazione tra i due personaggi e sulla differenza del loro ministero, passando sotto silenzio il racconto dell’immersione totale di Gesù nelle acque del Giordano e puntando subito l’attenzione su ciò che avviene dall’alto.
“Vide i cieli che si squarciarono” (v. 10): la frase tenta di descrivere l’esperienza di una rivelazione divina, un’apparizione del divino nel mondo umano. Questo fatto è descritto come un’esperienza riservata a Gesù, come se tutto il contesto circostante passasse ormai in secondo piano di fronte alla rivelazione dell’intima e profonda relazione tra Gesù e il Padre.
Il cielo rappresenta il mondo divino, ormai definitivamente aperto in Cristo sulla storia umana: quel cielo creato “per separare” (Gen. 1, 6-8) le realtà celesti e quelle terrene si manifesta come mezzo di comunicazione tra il mondo divino e umano. Così in Gesù ogni distanza e separazione da Dio non ha più motivo di esistere: al momento del compimento della vita terrena con la morte in croce di Gesù anche l’ultimo segno di separazione dalla santità di Dio viene squarciato: “il velo del Tempio si squarciò in due” (15, 38). Nell’uomo Gesù si apre un’era nuova: il dialogo con Dio è ristabilito in modo definitivo.
Dai cieli aperti Gesù vide “lo Spirito Santo discendere verso di lui come una colomba” (v. 10). Il dono dello Spirito apre l’era della nuova ed eterna alleanza, della salvezza definitiva, che porta la definitiva vittoria sul peccato. Il segno della colomba può alludere a quella liberata da Noè al di sopra delle acque del diluvio e che ritorna con un ramo di ulivo, segno della pace ristabilita tra Dio e l’umanità.
E’ anche possibile un riferimento all’inizio della creazione, quando lo Spirito di Dio “aleggiava sulla superficie delle acque” (Gen. 1, 2). Nella tradizione giudaica i profeti, portaparola di Dio, erano paragonati a colombe, così Gesù sarebbe presentato al battesimo come il profeta dei tempi nuovi.
“Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (v. 11). La conclusione della manifestazione divina con la voce dal cielo riprende due passi importanti della Scrittura e decisivi per l’interpretazione della fede cristiana. La voce divina afferma su Gesù: “Tu sei mio Figlio”, riprendendo il salmo di intronizzazione regale (Sal. 2, 7). Gesù è così riconosciuto e presentato come il Messia atteso dalla discendenza del re Davide, un messia che in modo specificamente cristiano è conosciuto come “Figlio di Dio”.
L’appellativo “amato” ricorda la particolare relazione filiale tra Isacco e Abramo, quando Dio ha chiesto ad Abramo: “Su, prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami” (Gen. 22,2), immagine tipologica della relazione tra Dio Padre e il figlio Gesù.
Ancora, la prospettiva messianica cristiana è esplicita nella conclusione delle parole del Padre: “In te mi sono compiaciuto”, espressione che ricorda chiaramente un passaggio del primo canto del Servo di Isaia (42, 1). Si tratta di un mandato profetico: come il Servo, Gesù è inviato del Padre, sostenuto e animato dallo Spirito, per realizzare la missione salvifica presso il suo popolo e per tutta l’umanità.
Nel battesimo Gesù porta a compimento l’opera di purificazione e pacificazione con Dio espressa dal Battista e inaugura il tempo definitivo del Messia e Figlio di Dio, che introduce il credente alla vita nuova secondo lo Spirito dei figli amati da Dio.
O Signore, la tua esperienza di vita nascosta, nel villaggio di Nazaret, è terminata e tu ricevi il “suggello” dello Spirito e la conferma da parte del Padre. Lo Spirito che era all’origine della creazione manifesta la sua presenza. La voce del Padre dichiara la tua identità e la tua missione. Tu sei il Figlio, l’unico, l’amato. Tu sei il Servo che va fino in fondo, pur di compiere la volontà del Padre.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Agnoli, 2024; Laurita, 2024.
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