Categorie: Cronaca

Il calvario del soldato Vincenzo

Questa è la storia di Vincenzo Riccio. Una di quelle vicende che si pensa capitino solo agli altri, ma che ha distrutto la vita di un giovane e della sua famiglia. Se volete andare avanti, fatelo, ma è una storia molto dura. Vincenzo si batte per vivere e per far sapere cosa succede a lui e a chi gli sta intorno, nell’Italia affogata tra automobili e cemento, oltre il tramezzo che, a stento, ci separa dalle vite altrui. Quando ho sentito parlare di Vincenzo ho capito che non potevo non offrire ai lettori de l’Unità l’opportunità di essere informati.

Vincenzo ha 42 anni, era un maresciallo della Aeronautica, un militare di carriera con 23 anni di servizio. Lavorava a Pratica di Mare, vicino Roma. Nel 2004 fu inviato in Iraq, un’altra spedizione nel 2006, Vincenzo nel 2010 si è ammalato di cancro neuroendocrino ileale con metastasi al fegato.

«Mi sono sempre sottoposto alle visite semestrali e già dal 2008 non mi sentivo più bene, non si riusciva ad individuare la causa del miei malori, fino a che, un giorno, sono finito lungo per terra ed è esploso tutto. I primi anni di carriera li ho passati sotto un radar acceso che emetteva fino 22mila megahertz, in Friuli. Andavamo a fare esercitazioni a Salto di Quirra, in Sardegna, tristemente noto per i danni sulla fase embriogenetica di feti animali. Noi ci muovevamo in mezzo all’armamentario a disposizione sotto le antenne radar in t-shirt. Poi a Pratica di Mare, prima di partire, senza firmare un consenso informato, in pochi mesi, mi sono state inoculate 26 dosi di vaccino, relativi richiami compresi».

«In Iraq ero a Tallil, vicino Nassirya, in aeroporto. Facevo il manutentore, non avevamo nessun dispositivo di protezione e lì credo di aver avuto contatto con l’uranio impoverito. L’area che frequentavamo era tutto un bombardamento ad uranio impoverito, tra macerie, vecchi hangar e carri armati. Eravamo totalmente incoscienti dei rischi che correvamo, riguardo alle contaminazioni. Zone con livelli di radiazioni moltissime volte superiori al normale. Magliette verdi e braghe corte. Abbiamo utilizzato hangar bombardati e preesistenti, dormivo in tenda, lavoravo nella polvere. Gli americani, gli spazi per lavorare, se li costruirono da capo, nuovi di zecca. Ora capisco bene perché».

«Da ammalato, sono stato congedato con 23 anni servizio, una modesta pensione, devo spendere quello che non ho per curarmi. Con poche parole, mi hanno negato la causa di servizio e ora sto ricorrendo al Tar. Quello che è peggio e che la mia storia non è l’unica, ci sono tanti soldati nella mia situazione. Cosa mi resta da fare?»

Cosa gli resta da fare? Avere coraggio. E noi? E noi?

*Per gentile concessione dell'autore che ha già pubblicato l'articolo su l'Unità.

Redazione

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