Il Caso Weinstein dimostra che il mondo del lavoro non è per le donne
Il caso Weinstein ha dimostrato ancora una volta che il mondo del cinema e, più in generale, il mondo del lavoro, non è favorevole alle donne
Il caso Weinstein ha dimostrato ancora una volta che il mondo del cinema e, più in generale, il mondo del lavoro, non è favorevole alle donne. I ruoli di potere sono sempre più spesso appannaggio degli uomini: direttori di autorevoli testate giornalistiche, capi di azienda, capi di governi, produttori, registi, premi Nobel, premi Strega, ministri. Nonostante il femminismo, l’emancipazione e l’autonomia femminile, le battaglie per i diritti civili e le pari opportunità, ci si ritrova ancora davanti a soprusi che divengono molestie, ricatti, abusi sessuali fino addirittura agli stupri.
Nella sua autobiografia, ‘’Child Star’’, Shirley Temple racconta di quando andò con sua madre, Gertrude Temple, dai produttori della Metro Goldwyn Mayer dopo aver lasciato la Fox. ‘’Riccioli d’oro’’ fu portata da sola nell’ufficio di Arthur Freed, produttore associato per il film ‘’Il Mago di Oz’’, nel quale la Temple era candidata a ruolo di protagonista. L’attrice racconta che Freed si alzò bruscamente dalla sedia e tirò fuori il pene davanti all’allora undicenne che non ne aveva mai visto uno. Come reazione nervosa lei rise schernendo il produttore che si imbestialì e la cacciò fuori dal suo ufficio. L’episodio avvalora che le cose non siano cambiate da quel lontano 1939. Tuttavia, il fatto che la storia di Hollywood sia piena di aneddoti di questo genere non rende Harvey Weinstein giustificabile e neppure il caso sollevato meno rilevante, ce lo offre soltanto più alla luce del sole rispetto al passato e questo è un bene.
Analizzare lo squilibrio di potere fra le parti, molestatore e vittima, è fondamentale per comprendere il caso Weinstein ed ecco che il caso diviene paradigmatico. Un uomo che da decenni è fra i più potenti di Hollywood, una delle industrie che traina l’economia statunitense e dispone di come vuole delle vite, delle carriere e dei corpi delle giovani e speranzose attrici. Ventun’ anni aveva Asia Argento quando subì il presunto stupro da Weinstein e venti anni sono fatti per sognare. Parafrasando Francis Scott Fitzgerald sono gli anni più vulnerabili della giovinezza, quelli in cui si crede di poter cambiare il mondo o di poter scalare persino Hollywood grazie al proprio talento.
Ma le accuse rivolte al potente produttore della Miramax non si sono fermate a Hollywood, hanno prodotto un’escalation di rivelazioni da parte di tante donne nel mondo. Donne comuni che si sono riviste nella storia di Asia Argento e sono state esortate dalla stessa attrice e regista italiana con l’hashtag #quellavoltache a raccontare di molestie e abusi sessuali mai confessati. Ciò dimostra quanto le aggressioni sessuali siano diffuse e traversali, attraversino cioè settori e ambienti lavorativi tra i più disparati. Se tutte le donne stanno scrivendo ‘’anch’io’’ dovremmo analizzare l’ampiezza del problema. Sono state assalite non da mega produttori, non da registi famosi, da Premi Oscar, ma da uomini ordinari nella loro vita ordinaria, però sempre con più potere rispetto alle donne delle quali abusano. Se ne conviene che allora questo è il modo in cui va il mondo. Un modo sbagliato ma sedimentato nella società coeva.
Ci può essere un legame tra questo orribile e diffuso fenomeno e il modo in cui le donne sono rappresentate? Nel cinema e nella televisione c’è indubbiamente uno squilibrio tra quello che nel linguaggio cinematografico viene definito ‘’filmico’’ e ‘’profilmico’’. Ciò che vediamo entrare nell’inquadratura e ciò che non vediamo al di fuori di essa, la strategia, la prospettiva. Per troppi decenni la donna è stata assurta a mera bella presenza e l’uomo a ‘’pigmalione’’ che la rende edotta e che ne rivela le qualità, ce lo ha insegnato George Bernard Shaw. In tal senso il ruolo della giovane donna nasce già squilibrato e subalterno all’uomo senza il quale la giovane non arriverebbe alla piena conoscenza di se stessa e delle sue capacità. Un esempio di questa storia è l’attrice Gwyneth Paltrow che disse di no a Weinstein, ma come se fosse preda di sudditanza psicologica e professionale lo ringraziò per l’Oscar del film Shakespeare in Love (del quale Weinstein era produttore e la Paltrow attrice protagonista) e lo fece salire sul palco con lei.
Un’altra analisi che si potrebbe fare è il modo in cui vengono percepite le star, le celebrità e , più in generale, chi detiene potere. L’autorevole rivista americana The Atlantic scrive che negli Stati Uniti fino ad ora è perdurata una ‘’religione laica della celebrità’’ o, meglio ancora, ‘’la celebrità funge da religione secolare’’. Un Paese in cui oggi più che mai echeggia la frase del Presidente statunitense Donald Trump a microfoni spenti al conduttore Billy Bush nel 2005 mentre andavano a registrare il suo programma Access Hollywood: “Se sei una star, le donne si lasciano fare quello che vuoi’’ e che sintetizza il pensiero maschilista alla base del modo di relazionarsi degli uomini di potere nei confronti delle donne negli States e per quanto ne sappiamo non solo lì.
Secondo la percezione della ‘’religione laica della celebrità’’ le star sono immuni da vizi beceri e terrestri, o meglio li possiedono ma sono solo un contorno un po’ ‘’naif’’, non una colpa, né una responsabilità, non un reato e ciò le mette al di sopra delle leggi morali umane e al riparo da esse. Se uomini ordinari compiessero le medesime orribili azioni sarebbero processati, le star no e si potrebbe citare il caso Polanski, un regista geniale che con la sua arte ha apportato molto al linguaggio del cinema, ma che non ha scontato i suoi crimini, anzi è stato difeso da tanti illustri colleghi attraverso una petizione che porta anche la firma di Harvey Weinstein. Questo accade perché nell’allucinazione collettiva le star sono uomini comuni divenuti ‘’celebrità’’, quasi degli dei, si sono appunto innalzati a ‘’super uomini’’ che insegnano l’arte attraverso il loro talento e i loro capolavori. Come se l’arte o il successo professionale rendessero meno gravi i reati. In questa religione laica, alla quale tutti noi terrestri assistiamo come dei devoti spettatori, anche se le stelle cadono, come Bill Cosby, la star dei Robinson e Roman Polanski accusato di stupro negli anni Settanta da una minorenne, tutto riporta alla frase di Trump e alla sua terribile veridicità.
La nota giornalista britannica Suzanne Moore ha parlato di ‘’onnipresenza delle molestie sessuali’’ e ha scritto: ‘’A system that can only be challenged by collective rage, not individual shame’’. Per mutare il sistema malato non basta la vergogna di un uomo ‘’mostro’’ o, ancora peggio, il problema non dovrebbe ridursi alla vergogna della vittima, tutt’altro, ma alla reazione della collettività e alla conseguente rabbia collettiva.
* Foto dal profilo Facebook di Asia Argento