Il chicco di grano che muore e dà frutto
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto
Il brano del vangelo (Gv. 12, 20-33) narra l’episodio che riporta l’arrivo di alcuni greci a Gerusalemme in occasione della festa di Pasqua e che volevano “vedere Gesù” (v. 21).
Il Messia, mediazione e gloria
Questi greci forse sono spinti solo dalla curiosità nel voler incontrare Gesù. Essi non si rivolgono direttamente a lui, ma si avvicinano a Filippo, il quale a sua volta va a comunicarlo ad Andrea e tutti e due assieme lo dicono a Gesù. Questa concezione dell’incontro con il Messia che non avviene direttamente, come anche in altri testi del vangelo di Giovanni, ma attraverso una mediazione, riflette la concezione teologica e nel contempo ecclesiologica della comunità giovannea. Essa è perfettamente consapevole che ormai il Signore risorto non è più presente nella concretezza dei rapporti storici, ma lo si può incontrare soltanto se si accetta la mediazione umana.
L’arrivo dei greci si trasforma in occasione per un ulteriore discorso rivelativo di Gesù, che annuncia il suo futuro destino di glorificazione. Il tema della gloria è determinante nel vangelo di Giovanni per comprendere la missione di Gesù. La gloria è un tema profondamente biblico che attraversa tutto l’Antico Testamento. Mentre Dio non si può vedere, la sua gloria sì. Questa, nella tradizione biblica, corrisponde all’azione di Dio che si rivela nella creazione del mondo, nell’opera di liberazione del popolo d’Israele e in molti altri avvenimenti della sua storia. Per Giovanni l’evento Gesù corrisponde alla manifestazione massima della gloria di Dio. Tutta la sua missione ne è la rivelazione, e il culmine di questa manifestazione gloriosa si ha con la sua passione, morte e risurrezione.
Decentrarsi per portare frutto
Gesù ai greci annuncia proprio l’imminenza di questo evento. Per illustrare la sua vicenda personale ricorre all’immagine del chicco di grano che, caduto in terra, deve morire per produrre frutto. Solo chi relativizza sé stesso e le proprie cose è in grado di forgiare la propria esistenza in modo che diventi l’ambito di una vita piena e generosa. L’oblazione dell’esistenza da parte di Gesù è a fondamento di quella dei discepoli. Non è il risultato di uno sforzo morale, ma dono possibile nell’orizzonte della risurrezione e nei confronti di coloro verso i quali si vive un rapporto d’amore. La vita che produce il chicco che muore sotto terra non è unicamente quella ultraterrena: essa comincia già nella sua dimensione terrena, quando si prende coscienza del suo profilo inestinguibile, poiché costituita da Dio.
La duplice sentenza sul chicco di grano che deve morire per portare frutto e sul perdere la propria vita, ha una valenza anche per il discepolo che è invitato a vivere con il medesimo stile di Gesù anche nelle relazioni storiche. Il decentramento della propria vita porta alla consapevolezza che essa ha senso solo se improntata al servizio, di Dio e del prossimo. Solo nella sequela di Cristo, ovvero nella frequentazione del Vangelo, è possibile discernere l’autenticità e la verità della propria vita di servizio. Questa nuova predisposizione verrà riconosciuta da Dio, che onorerà il proprio servo con una relazione profonda, interiore e generativa.
La preghiera di Gesù
“Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?” (v. 27). Attraverso due interrogativi Gesù si rivolge al Padre facendo riferimento al turbamento causato dalla consapevolezza del suo prossimo destino. Egli manifesta tutta la sua umanità di fronte a un evento che è drammaticamente determinante nella sua vita. Gesù infatti è perfettamente cosciente che deve affrontare l’”ora” della sua crocifissione e della sua morte. L’annuncio del Vangelo dell’amore si conclude con questa situazione estrema, quando egli paleserà definitivamente il suo amore oblativo.
E’ in questo momento di incertezza, scatenato da fattori emozionali, che Gesù riceve una rivelazione divina con la conferma del progetto di rivelazione: “Venne una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora” (v. 28). In altre parole la sua esistenza non sarà segnata soltanto da una morte per esecuzione capitale, ma si concluderà con una risurrezione, evento che rende possibile il suo ritorno alla gloria del Padre.
La missione del Figlio
La teofania (la voce del Padre) è soggetta a molteplice interpretazione. Per la folla non è che un tuono o una rivelazione angelica. Gesù diversamente precisa che questa manifestazione divina, riguardante il suo destino finale, non è rivolta a lui, ma alla folla, che deve venire a conoscenza del progetto di Dio realizzato nella sua missione. Una parola enigmatica di Gesù annuncia che il giudizio non è destinato alle persone, ma al principe di questo mondo. Esso avrà luogo con la morte e la risurrezione di Gesù, quando questa figura misteriosa sarà cacciata. La forza del male, con la morte del Messia, non ha più potere definitivo nei confronti dell’umanità, salvata invece dalla croce.
“E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (v. 32). L’ultima parola riguarda la relazione tra la morte di Gesù e il destino dell’umanità. In questo caso Gesù non menziona solo i suoi discepoli, i credenti, il popolo di Israele, ma tutti indistintamente, destinatari dell’azione di attrazione nel momento del suo innalzamento. Questo movimento che indica l’atto della crocifissione come pure quello dell’ascensione al Padre, va compreso come il duplice movimento di discesa e di ascesa.
Il primo corrisponde all’ingresso del “Verbo” (la Parola) nel mondo, il secondo alla sua morte, risurrezione e al ritorno al Padre. E’ questa duplice azione di discesa e ascesa a garantire l’identità di Gesù. Egli non è un semplice taumaturgo (che compie i miracoli), un profeta, un sapiente, ma è l’inviato divino. Solo la sua provenienza e la sua destinazione sono una garanzia che egli non è semplicemente un uomo speciale della storia umana, ma il Figlio inviato dal Padre.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Grasso, 2021.