Le letture dei testi dell’Antica Alleanza mostrano le radici della novità evangelica, centrata sul perdono di Dio, rivelato e comunicato da Gesù e posto a fondamento delle relazioni comunitarie. In questa cornice, il brano del vangelo di Matteo (18, 21-35) assume tutte le sue risonanze spirituali. Gesù traccia un progetto ideale della sua comunità: essa è formata da fratelli e sorelle perdonati e che perdonano.
Il brano odierno si apre con il dialogo introduttivo tra Pietro e Gesù: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” (v. 21). Il numero indicato da Pietro è una misura eccezionale, che va oltre quella prevista dalla prassi della sinagoga. La risposta di Gesù suona come un principio nuovo che rovescia la logica della vendetta o rappresaglia: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (v. 22). La proposta evangelica è quella di un perdono illimitato.
A conferma segue la parabola del re e del servo spietato. Al re, che intende controllare l’amministrazione del suo regno, si presenta un funzionario, debitore radicalmente insolvente. La somma di diecimila talenti ha un valore evocativo. Un tale debito scoraggia qualsiasi tentativo sia da parte del servo di restituire, sia da parte del re di un qualche indennizzo corrispondente. L’atteggiamento del servo in queste condizioni appare semplicemente irreale, per non dire assurdo: “Abbia pazienza con me e ti restituirò ogni cosa” (v. 26). La soluzione arriva insperata ed è quella del condono totale. Il motivo indicato è la “compassione”: “Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito” (v. 27).
Segue il secondo quadro, dove il servo “condonato” si trova di fronte a un suo collega egli pure debitore, ma stavolta nei suoi confronti e per una somma non comparabile con quella che è stata appena condonata. Cento denari è un debito che può essere estinto, entro un certo tempo, anche da un modesto lavoratore o impiegato. Perciò la richiesta del servo che chiede una dilazione per pagare è ragionevole e comprensibile. Il rifiuto del servo e la sua reazione spietata introduce la terza scena, dove si risolve il piccolo dramma.
Sono di nuovo di fronte il re e il primo servo, che ha fatto esperienza del condono, ma non è stato capace di rimettere un piccolo debito nei suoi confronti. Da qui deriva la reazione del re: “Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini” (v. 34). Le parole del re mettono in evidenza qual è il punto centrale e chiave di tutta la storia simbolica: “Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” (v. 33).
Il principio della corrispondenza è quello che decide della sorte del servo spietato. Ora non c’è più spazio per la compassione, ma si manifesta l’ira che mette in moto il processo di condanna irreparabile. Nel linguaggio biblico l’ira di Dio è connessa con il giudizio che smaschera e condanna il peccato. Gesù chiude questa parabola con una frase che ci offre l’applicazione comunitaria pastorale: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (v. 35).
L’applicazione riprende l’aspetto minaccioso del racconto evangelico per mettere in guardia i lettori di fronte al rischio che incombe su chi non perdona sinceramente al fratello e alla sorella. La salvezza è il perdono ultimo di Dio, commisurato su quello storico vissuto nella comunità fraterna.
L’evangelista Matteo è particolarmente attento all’esperienza del perdono dei peccati e del perdono fraterno. Il perdono dei peccati è un bene essenziale come il pane quotidiano. Esso può solo essere invocato. Infatti dipende unicamente dalla misericordia di Dio che sta all’inizio e alla fine della vita dei credenti. Gesù vuole scuotere la sua Chiesa che rischia di sottovalutare l’impegno a vivere il perdono fraterno.
Il messaggio centrale del Vangelo è la manifestazione della misericordia del Padre, che è diventata vicina e sperimentabile in Gesù. A sua volta la comunità cristiana, che nasce dall’accoglienza del Vangelo, rende visibile con il suo stile di vita il volto del Padre. Nei rapporti comunitari, ispirati alla logica del perdono sincero, si intravede la presenza efficace della misericordia del Padre.
Perdonare non è facile, immediato, spontaneo. Anzi, più il danno arrecato alla nostra vita è stato rilevante, più la sofferenza che ci è stata inflitta è consistente, più è duro riuscire a perdonare. Talvolta si richiede una decisione eroica. Gesù, chiedendo ai suoi discepoli di perdonare, conosce la fatica che si fa a perdonare. Chi non è stato vittima di una calunnia, di un’ingiustizia, di un tradimento e di una infedeltà? In queste situazioni c’è una parte del nostro essere ferito che si rifiuta di cedere all’altra parte, e che la fierezza, l’orgoglio combattono apertamente contro il desiderio di riconciliazione. Allora perché perdonare?
Dimentichiamo che tutti siamo peccatori e Dio continua a perdonarci. Anche Gesù ha perdonato fino in fondo chi lo ha condannato a una morte ingiusta e crudele sulla croce. E poi, il perdono fa bene: a chi lo riceve e a chi lo offre: “Si può vivere una vita d’amore anche dopo un dolore lacerante. Si può credere negli esseri umani anche dopo averne conosciuto la meschinità… Per raccontare l’esperienza più significativa che mi sia capitata nella vita, quella che le ha dato un senso vero e profondo: perdonare” (Gemma Calabresi).
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: SdP, 2023; Laurita, 2023.
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