Con questo brano delle “beatitudini” (Mt. 5, 1-12) iniziamo la lettura del cosiddetto “Discorso della Montagna”, un insegnamento di Gesù provocato dall’approssimarsi delle folle e dalla presenza dei suoi discepoli (v. 1). Il discorso della montagna è un monologo di Gesù che nasce dall’incontro con delle persone a cui decide di donare il suo insegnamento. Non è difficile vedere, nella menzione del “monte” su cui Gesù sale, un richiamo a Mosè che sale sul Sinai e, di conseguenza, una sottolineatura dell’autorità di Gesù che può parlare della Legge e interpretarla fino al compimento.
A differenza di Mosè, però, che sale sul monte da solo e per ordine del Signore, Gesù vi sale di sua iniziativa e insieme ai suoi discepoli e alle folle numerose, le quali suscitavano tanta “compassione” e bisognose del suo insegnamento.
L’evangelista Matteo, a differenza di Luca, nel suo vangelo ci presenta nove beatitudini con una struttura comune: “beati…perché…”. Rispetto alla versione dell’evangelista Luca (6, 20-26) che contrappone a quattro beatitudini quattro ”guai” (ammonimenti), la versione di Matteo è molto difficile da accostare a un discorso morale, perché in gran parte non parte da “azioni” da fare, ma da “situazioni” come la povertà, il pianto, la persecuzione.
Gesù promette il rovesciamento della situazione di partenza o una ricompensa per coloro che si trovano in determinate situazioni, ma non esprime né il quando né il come. Alcune beatitudini, la prima, l’ottava e la nona, contengono tutte il richiamo al Regno dei cieli che è vicino, in mezzo a noi; inoltre, è evidente l’uso del verbo passivo “divino” che mostra come sarà Dio stesso a realizzare quanto promesso.
“Beati i poveri in spirito…” (v. 3). La prima beatitudine necessita di qualche spiegazione. L’evangelista sottolinea che si parla di una povertà “in spirito”, cioè i poveri che si riconoscono bisognosi davanti a Dio, coloro che confidano e sperano solo in Dio. Questa prima beatitudine introduce nel senso più pieno tutte le successive, in quanto questa povertà, questo stato di affidamento a Dio è condizione per vivere le altre successive beatitudini.
“Beati quelli che sono nel pianto…” (v. 4). Il pianto non è facilmente accostabile all’idea della felicità. Coloro che piangono sono coloro che attendono da Dio il motivo per gioire, la loro consolazione.
“Beati i miti, perché avranno in eredità la terra” (v. 5). Gesù stesso si “autodefinisce” mite e umile di cuore e nel suo ingresso a Gerusalemme ci permette di capire la promessa della terra: Gesù entra a Gerusalemme come suo “re”, ma un re che non prende possesso della sua terra con forza e violenza, come i potenti che muovevano guerra, ma come un “re mite”, così come “i miti” saranno coloro a cui verrà affidata la terra.
“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia…” (v. 6). L’espressione “aver fame e sete” assume il valore di “desiderare”; il tema della giustizia, nel senso di fare la volontà di Dio, verrà trattato poco più avanti dall’evangelista.
“Beati i misericordiosi…” (v. 7). La misericordia di Gesù sarà motivo di scandalo per i farisei, e di fronte a questo loro scandalo Gesù dirà: misericordia io voglio e non sacrifici, per poi ammonirli severamente. La corrispondenza tra la misericordia offerta ai fratelli e sorelle, e quella ricevuta da Dio, presente nella beatitudine, emergerà con forza nella preghiera del “Padre nostro”.
“Beati i puri di cuore…” (v. 8), la sesta beatitudine riprende un’associazione tra purezza di cuore e possibilità di stare alla presenza di Dio. “Beati gli operatori di pace…” (v. 9): gli operatori di pace sono coloro che si adoperano per la pace in prima persona. L’esplicitazione di questa beatitudine la troviamo nell’affermazione di Gesù sull’amore per i nemici dove l’amore è collegato all’essere “figli di Dio”, come recita la beatitudine.
L’ultima beatitudine (v. 11) è quella che collega più esplicitamente la vita e il destino del discepolo con quella del Maestro. E’ immediato per il lettore riconoscere nel Gesù della passione il primo insultato, perseguitato e accusato ingiustamente.
Quel giorno, sulla montagna, Gesù ha decisamente imboccato un percorso controcorrente, senza alcuna paura di inoltrarsi per una strada inconsueta: la felicità è per i poveri e non per i ricchi; per coloro che soffrono per le cause più diverse e non per chi se la spassa; la gioia è per i miti e non per i violenti; per i sognatori di “giustizia”, per i misericordiosi e non per chi trama la sua vendetta; per chi ha uno sguardo limpido e trasparente perché incrocia la bellezza del volto di Dio; per gli operatori di pace perché figli di Dio e non per chi odia; per i perdenti perché vincenti con la forza di Dio.
“Sei tu il povero che non intende esibire la sua forza, le sue competenze, ma vuole contare unicamente su Dio, disposto a svolgere la missione che il Padre ti ha affidato, nella fragilità della condizione umana. Sei tu il mite, il puro di cuore, colui che ha uno sguardo limpido e riesce a cogliere il bene in ogni persona. Sei tu il misericordioso, colui che non si lascia sedurre dalla superbia e dall’arroganza, ma prova compassione per quelli che soffrono e si china sulle loro ferite. Sei tu che costruisci la pace, accettando di pagarne il prezzo con il sacrificio della tua vita perché arrivi finalmente il giorno in cui gli uomini e le donne di questo mondo vivranno da fratelli e sorelle!”.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Busia, 2023; Laurita, 2023.
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