Il tempio è il luogo dove Gesù s’intrattiene più di frequente da quando è giunto a Gerusalemme; ha idealmente occupato ogni giorno lo spazio sacro provvedendo a istruire il popolo che pende dalle sue labbra. E’ all’interno del tempio quando un gruppo di persone lo invita a contemplare la bellezza dei decori che ornano l’edificio: è l’inizio dell’ultimo lungo discorso di Gesù circa “il fine della storia”, il suo ritorno finale (parusia) (Lc. 21, 5-19).
In presenza di persone che ammirano stupite la bellezza delle pietre che decorano il tempio e la ricchezza dei doni votivi, Gesù profetizza la distruzione dell’edificio sacro, di cui “non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (v. 6). E’ un evento che si realizzerà nel futuro che solo Dio conosce. La sua dichiarazione desta curiosità tra coloro che l’hanno sentito parlare, e intendono sapere quando tutto ciò avverrà e quale sarà il segno che permetterà di capire che tutto ciò sta per compiersi (v. 7).
Gesù pone in guardia i suoi interlocutori: “non lasciatevi sviare” (v. 8). Dalle sue parole s’intuisce che la distruzione del tempio avverrà quando non sarà più vivo, e molti si presenteranno con la pretesa di identificarsi con lui o millanteranno di profetizzare nel suo nome (v. 8). Esiste un modo per smascherare la loro presunzione: essi attestano di conoscere il tempo in cui tali eventi stanno per compiersi. Mentono, perché è una conoscenza che possiede solo Dio. Nessuno dovrà terrorizzarsi quando saranno annunciate guerre e rivolte, perché è stabilito nel disegno divino che tali eventi debbano precedere il compimento finale (v. 9).
Le guerre e le rivolte, per quanto possano essere interpretate come segni della punizione divina, non rappresentano il “telos”: il termine greco può essere inteso come “compimento” (il fine) o come “fine” (la fine): l’ambiguità non è semplice da risolvere. Gesù prosegue il suo discorso prefigurando terribili scenari che anticiperanno il “compimento”: lo scontro tra le nazioni e le guerre tra i regni ampliano l’orizzonte degli accadimenti ben oltre i confini della Giudea.
Gli eventi terrificanti che faranno da preludio al compimento finale saranno preceduti dalle persecuzioni che la comunità dei discepoli dovrà affrontare a motivo del nome di Cristo (v. 12). La descrizione delle vessazioni che i discepoli dovranno subire presenta interessanti analogie con la passione del Maestro: come il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle “mani” degli uomini, così anche i suoi discepoli; anche il motivo del “tradimento” accomuna Gesù e i suoi discepoli; Gesù viene condotto al cospetto del Sinedrio, così pure i suoi seguaci saranno introdotti in presenza dei re e dei capi a causa del suo nome (v. 12). Il parallelismo tra il Maestro e i suoi discepoli non comprende la morte: difatti, Gesù non accenna alla possibilità che i discepoli possano essere uccisi, ma evidenzia la finalità “testimoniale” delle loro persecuzioni.
Gesù chiede ai suoi discepoli di “porre nel proprio cuore” (v. 14) quanto sta per dire: essi non devono preparare in anticipo la linea difensiva da sostenere davanti ai loro accusatori. I discepoli non hanno bisogno di preparare in anticipo la loro difesa, perché sarà il Signore a concedere loro una bocca sapiente: “io vi darò parola e sapienza” (v. 15). I pericoli che incombono sui membri della comunità non provengono solo dall’esterno; il tradimento da parte dei genitori, dei fratelli, dei parenti e degli amici non è paventato come un’ipotesi remota, ma come una situazione con la quale essi avranno a che fare.
Il tradimento (consegna) è il preludio della morte (v. 16): ciò che è valso per Gesù si realizzerà anche per i suoi discepoli, alcuni dei quali saranno uccisi. L’appartenenza a Cristo attirerà sui discepoli l’odio da parte di tutti (v. 17); nel discorso “delle beatitudini”, rivolgendosi alle folle che lo seguivano, Gesù ha dichiarato che essi sono da ritenersi beati quando saranno odiati dagli uomini a causa sua, perché grande sarà la ricompensa che li attende in cielo.
In questo senso si comprende la successiva promessa di Gesù: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto” (v. 17). I discepoli non devono avere paura degli uomini, che possono infliggere la morte del corpo, ma non sono nella condizione di decidere la loro destinazione ultraterrena. Pertanto, occorrerà temere (amare) Dio, il cui potere si estende sulla creatura anche dopo la vita terrena. Se i discepoli saranno perseveranti nell’adesione al Vangelo e nella testimonianza della fede, non perderanno, ma guadagneranno la vita, quella eterna (v. 19).
Fa un certo effetto sentire Gesù che parla ai suoi discepoli di persecuzione; a guardare la nostra condizione attuale di cristiani diremmo che facciamo addirittura fatica a immaginare lo scenario di una persecuzione a motivo della nostra fede in Gesù. Eppure “combattiamo un nemico insidioso: non ferisce la schiena, ma carezza il ventre; non confisca i beni per darci la vita, ma arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà gettandoci in prigione, ma verso la schiavitù onorandoci nel suo palazzo; non colpisce i fianchi, ma prende possesso del cuore; non taglia la testa con la spada, ma uccide l’anima con l’oro e il denaro” (Ilario, vescovo di Poitiers).
Parole pronunciate molti secoli ma attualissime: perché il “laccio” e il “tranello” è quello di fare l’abitudine a scelte lontane dal Vangelo, sprofondando nelle sabbie mobili di un’esistenza amorfa che si confonde con le tradizioni dell’ambiente, allergico a qualsiasi fatica o sacrificio. La solidità delle nostre comunità di discepoli di Gesù si misura con la bellezza e la consistenza degli edifici oppure è legata alla vigilanza e alla fedeltà delle coscienze, alla determinazione, alla perseveranza e al coraggio dei singoli e delle comunità a cui appartengono?
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Landi, 2022; Laurita, 2022.
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