Religione

Il giudizio universale: saremo giudicati sull’amore

L’affresco del “giudizio universale” (Mt. 25, 31-46) conclude il “discorso sulla fine” e può essere considerato la sintesi conclusiva di tutta la predicazione di Gesù. Il Regno di Dio inaugurato dalla predicazione di Gesù è in mezzo a noi, ma nello stesso tempo si tratta di una realtà ancora in divenire: esso si realizza nel tempo della vita, ognuno prepara a sé stesso il giudizio di accoglienza o di esclusione dal Regno nel corso della vita. In questa pagina evangelica Gesù ci fa conoscere quale sarà il criterio di giudizio, ancora una volta usando una parabola. Gesù si presenta come il Figlio dell’uomo che viene a realizzare il giudizio finale, come il pastore inviato non solo alle pecore di Israele ma a tutti i popoli. La parabola presenta la gloriosa venuta del Figlio dell’uomo, la convocazione dei popoli e la loro separazione; il dialogo e la conclusione con la descrizione della sentenza.

Giudicati sull’amore

Il dialogo del Figlio dell’uomo occupa la parte preponderante dell’intero brano. I due gruppi sono contrapposti tra loro mediante la marcata e parallela ripetizione dell’elenco delle sei opere di soccorso compiute o disattese. L’opposizione tra i due gruppi risalta nella benedizione per i primi e nella maledizione per i secondi. Questo quadro del giudizio finale si presenta come “universale” (v. 32), riguarda tutti gli uomini senza eccezione e senza privilegi. Il criterio sulla base del quale è formulato è il comportamento avuto nei confronti dei “più piccoli”, vale a dire di ogni persona che si trova nel bisogno.

Il dato concreto sulla base del quale si sarà valutati consiste in sei atti elementari di misericordia: “nutrire l’affamato, dar da bere all’assetato, accogliere lo straniero, vestire colui che è nudo, visitare il malato e il carcerato”. Queste sei azioni hanno due caratteristiche che le accomunano. Da una parte, il segno “dell’evidenza”: dare il pane a chi ha fame…Dall’altra, questi sei gesti si impongono per la loro “urgenza”: le situazioni di bisogno richiedono un intervento immediato altrimenti diventano irrimediabili. Questi sei atti si accordano perfettamente con l’insegnamento di Gesù e diventano prolungamento e illustrazione del comandamento dell’amore.

La sorprendente presenza del Signore nei “più piccoli”

La pagina evangelica stabilisce un rapporto molto stretto tra questi gesti di misericordia e la persona di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli e sorelle più piccoli, l’avete fatto a me… non l’avete fatto a me” (vv. 40.45). Questa solidarietà fra Cristo e coloro che si trovano nella necessità suscita la sorpresa di coloro che vengono giudicati. Sia gli “eletti” che gli “altri” non avrebbero mai immaginato che stessero “amando o odiando” il Signore nel momento in cui dimostravano misericordia o indifferenza vero i “più piccoli”.

Insistendo sullo stupore dei giudicati e rivelando la solidarietà di Gesù con i bisognosi, il testo lascia intravedere ciò di cui vuole convincere il lettore. Nell’attenzione ai bisogni del prossimo si manifesta il rapporto tra il credente e il suo Signore. Se ogni decisione presa a favore del prossimo in stato di necessità è una decisione presa a favore di Cristo, questo significa che il comportamento concreto, la prassi dimostra la serietà del discepolo, la verità della sua fede. Il giudizio non verterà sulle nostre esperienze mistiche, su quanta religiosità o pietà avremo accumulato, ma sarà sul tipo di rapporto che abbiamo avuto tra noi esseri umani.

Il luogo della fede

Certo, non si vuole mettere in secondo piano il rapporto personale e unico che ciascuno di noi è chiamato ad avere con Dio nella preghiera; ma questa pagina evangelica ci dice che ciò che aiuta a verificare l’intensità di questo rapporto è la relazione con gli altri. L’autentica esperienza spirituale non lascia mai fuori gli altri, anzi li prende sul serio come persone da amare, come ha fatto il Signore Gesù.

La scena del giudizio finale indica qual è il “luogo della fede”. Cristo è creduto e confessato veramente laddove i discepoli sono impegnati nella fedeltà all’amore. Solo l’apertura, l’interessamento fattivo per gli altri testimonia l’autentico rapporto con Cristo. Non si dà fede vera, rapporto vivo e vero con Cristo senza impegno concreto a vantaggio degli ultimi. Ogni uomo e donna, credente o no, sarà giudicato in base alla scelta o al rifiuto di mettersi al servizio dei poveri. Solo se faremo questo risuonerà anche per noi, al termine del nostro cammino terreno, il gioioso invito: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (v. 34).

Contro le “strutture di peccato”

Il Regno di Dio si riassume e si concentra in una persona: Cristo Signore. E’ solo nel suo nome e nella obbedienza al suo comandamento che la storia assume una svolta epocale: da scacchiere in cui il più potente domina il più debole, da giungla dove l’animale più grosso divora il più piccolo, a famiglia in cui chi ha più doni si fa carico di chi è più miserabile. Cristo formula un giudizio non solo sul bicchiere d’acqua donato all’assetato, ma sulla storia, sulle impostazioni impresse dal potere umano, sulle “strutture di peccato”, cioè l’ingiustizia, la prevaricazione, la crescita esponenziale dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri, degli sfruttatori sempre più voraci e degli sfruttati sempre più miseri.

Noi tutti veniamo ricondotti a quello che conta veramente agli occhi del Signore: non le professioni di fede, né le dichiarazioni di appartenenza, ma azioni estremamente concrete come nutrire, dissetare, vestire, dare un letto, medicine, un lavoro… Tutte cose concrete che raggiungono direttamente Cristo, in prima persona, nella sua carne denutrita, malata e sofferente: “lo avete fatto a me”! (v. 40).      

Il Capocordata.

Bibliografia consultata: Boscolo, 2020; Riva, 2020, Laurita, 2020. 

Redazione

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