Cronaca

Il Lupo dell’Agro Romano: il serial killer che sconvolse Roma

I delitti in serie hanno sempre incuriosito il pubblico, tanto che ne traggono spesso ispirazione le serie tv e il cinema poliziesco. Siamo abituati a pensare che accadano solo in America, invece anche Roma ha avuto i suoi assassini seriali. Uno in particolare negli anni ’80 ha mietuto sei vittime certe, tutte donne, lasciando la città col fiato sospeso.

Un Serial Killer nell’agro romano

Negli anni 1983-84 uccise sei donne. Fosse accaduto adesso avremmo parlato di femminicidi ma impropriamente. In quei casi l’assassino non era fidanzato o marito, né un parente delle vittime. Era uno squilibrato mentale. E la cosa fece ancora più paura.

Nella nostra epoca dominata dai film e dalle serie tv su Netflix, Prime e Amazon, il tema del serial killer è uno dei più gettonati. La frequentazione dei social, da parte di milioni di donne e ragazze, spesso spinte dalla solitudine delle nostre società, è un terreno fertile per incontri del genere.

Siamo soli, cercando affetti che non sappiamo costruire e che immaginiamo intensi, profondi, assoluti quando invece ci si espone a rischi sempre più concreti di truffe, per le donne anziane e di violenze per le più giovani. Oggi l’Orco si nasconde tra i social, nella rete, dietro volti fittizi, presi a prestito, nomi inventati, farsi fatte, tecniche psicologiche raffinate di seduzione e convincimento. Non è che la trasposizione moderna di quanto è sempre accaduto. Solo con modalità leggermente diverse.

Le prostitute, le vittime del passato

Un tempo gli omicidi di donne si verificavano soprattutto nel mondo della prostituzione. Le donne che facevano la vita erano quasi tutte italiane, solitamente mature d’età. Era raro trovare adolescenti. Al giorno d’oggi molte prostitute sono straniere, magari rumene o nigeriane e d’età abbastanza giovane.  Vengono reclutate da organizzazioni criminali che gestiscono gruppi di ragazze, spesso rapite, tratte in inganno, ricattate, per essere avviate alla prostituzione, senza mai riuscire a liberarsi dal gioco della organizzazione che ne controlla il passaporto. Ma già negli anni ’80 si parlava di Tratta delle Bianche, di donne giovani rapite per essere costrette a prostituirsi in altri paesi e sottoposte al controllo di boss spietati.

La Tratta delle Bianche non venne mai confermata

Il 1983 è stato anche l’anno della sparizione di Emanuela Orlandi, di cui si continua a parlare ancora adesso, con nuove rivelazioni al fulmicotone, che ogni tanto saltano fuori e che il povero Andrea Purgatori seguiva con la sua proverbiale professionalità di cronista, per farne puntate televisive con grande seguito di pubblico.

Non solo Emanuela, anche Mirella Gregori e altre quattordici ragazze sparirono quell’anno, di età tra i quattordici ed i diciotto anni. Se ne persero le tracce proprio tra maggio e giugno. Se si prende in considerazione un arco temporale più ampio, comprendendo anche il 1982, lo studio accerta che nell’area geografica romana sono stati identificati 34 casi di ragazze scomparse. Si trattava di soggetti con un’età media totale di 15,7 anni.

Panorama giunse a parlare di “tratta delle bianche” ipotizzando una sorta di rapimento su commissione di ragazze da portare negli harem mediorientali di qualche non precisato emiro o, peggio, per essere prostituite in altre città. Non venne mai confermata una simile pista. Ma le ragazze non si sono più trovate.

Una serie di omicidi senza movente scatena il terrore a Roma

Troppe sono le donne assassinate, violentate, scomparse nell’anno 1983. Nella serie di delitti c’è chi vede la mano di un serial killer ma non tutti sembrano avere i classici segnali lasciati dalla stessa mente perversa. I delitti comunque si susseguono per tutto l’anno e anche nell’ano successivo con una cadenza terrificante. La popolazione resta col fiato sospeso a lungo.

Tutto inizia il 19 febbraio 1983, quando una prostituta di 31 anni, Bruna Vettese, viene trovata strangolata dietro un muro a Tor Carbone, tra l’Appia Antica e Castel di Leva. Il volto è semicoperto con dei rametti e dei cespugli. I criminologi ci spiegano che questo gesto serve a  depersonalizzare la vittima, da parte dell’assassino, per non affrontare le ripercussioni psicologiche delle proprie azioni.

La mano di un serial killer e le vittime nella prostituzione

In un primo momento gli investigatori suppongono che il delitto sia legato al mondo della prostituzione e in particolare alle ritorsioni di un qualche protettore ma non è così. Passa qualche mese e il 5 luglio viene trovata morta Thea Stroppa, anche lei prostituta, di 51 anni. Il suo cadavere viene scoperto in un cantiere edile di via Flaminia Vecchia. L’assassino l’ha strangolata con una classica calza di nylon e poi le ha sparato un colpo in testa, coprendole il volto con terriccio e foglie. 

Ormai non vi è più alcun dubbio per la squadra omicidi guidata da Nicola Cavaliere, che si tratti di un serial killer. La sua firma appare inconfondibile. In più c’è quel rituale del volto coperto che rende gli omicidi ancora più inquietanti. La polizia però brancola nel buio, non sa come muoversi, la capitale non è abituata a questo tipo di crimini e la polizia ancora meno. Il fatto che indirizzi la sua violenza verso delle prostitute non tranquillizza nessuno. Sono bersagli facili ma qualsiasi donna da sola di sera lo è. Potrebbe capitare a tante.

Con un solo giorno di distanza ne ammazza altre due

Il 13 luglio, a Passo Corese, Rieti, si trova la terza vittima, Luciana Lupi, 45 anni, conosciuta come Silvana, abitava sulla Tuscolana.  Da almeno 20 anni faceva il mestiere. La morte risaliva ai primi di luglio e probabilmente era passata una settimana quando dei pastori scoprirono il corpo parzialmente nascosto dalle lamiere. L’assassino l’aveva tramortita con delle pietre e si era accanito sul ventre squarciandolo. Prima di attribuire alla stessa mano l’omicidio venne fermato un giovane di Osteria Nuova ma non si riscontrarono elementi attendibili a suo carico e venne rilasciato.

La quarta vittima fu Lucia Rosa, di 33 anni. Anche lei strangolata e seviziata. Ritrovata a Castel Fusano, Ostia, il 14 luglio. Se il killer è lo stesso e sembra che sia così, la frequenza con cui colpisce le sue vittime è impressionante e si fa sempre più ravvicinata. Come se non si potesse più a fermare. La donna è distesa prona, in modo che l’assassino non debba guardarla in faccia e la sua testa è stata coperta di pietre. Questo dettaglio del volto coperto è il punto debole dell’omicida. Mostra una profonda difficoltà, un senso di colpa.

La Polizia non riesce ad avere le prove necessarie per incastrare il killer

Non ci sono prove sufficienti per sapere chi è il killer dell’agro romano. Ci vorrebbe una testimonianza diretta e arriva con il caso dell’omicidio di Giuliana Meschi il 5 agosto 1983 a Sabaudia. Lei è un ex impiegata comunale di 31 anni. Un contadino assiste all’omicidio. Vede un giovane accanirsi sulla ragazza, inseguirla e prenderla per il collo. Vede l’uomo in faccia e poi allontanarsi su una Ford Capri gialla. Il testimone fornisce un identikit che però non risultò utile alla Polizia.

Due nuovi delitti ma la mano non sembra quella del killer

Il 18 agosto la scena del delitto è un canneto vicino a Civitavecchia. Questa volta non si tratta di una prostituta ma di una turista austriaca, Regina Gstottenmayer, di 21 anni. Il suo corpo viene trovato in avanzato stato di decomposizione, a dieci giorni dalla morte. Forse la ragazza era stata drogata e gettata in mare. A seguito dell’autopsia non sono state rinvenute tracce di violenza sul corpo. Accanto al cadavere c’erano molte lattine vuote, forse contenti bevande innocue o forse qualche miscela di stupefacenti. Nella borsa, abbandonata a poca distanza, è stata rinvenuta una macchina fotografica col rullino ancora montato. Grazie alle foto scattate la polizia è potuta risalire alla identità della turista, nata a Linz e residente momentaneamente all’Hotel Mediterraneo di Civitavecchia. Era arrivata nella cittadina laziale all’inizio del mese ed è sparita quasi subito per poi essere trovata morta nel canneto.

La pittrice scomparsa a via Margutta, poi trovata a Torvajanica

Il 30 ottobre scompare invece una pittrice dilettante, Ferdinanda Durante, moglie di un alto funzionario della Banca d’Italia, durante una mostra all’aperto in via Margutta. Si pensa sulle prime anche qui di un maniaco conosciuto per caso, la paura del serial killer ormai ha preso il sopravvento. Ma anche questo delitto pare del tutto diverso. La donna si è allontanata dal luogo in cui era con il marito, senza avvisarlo. Ha usato la sua 500 rossa. Forse l’assassino era con lei. In questo caso o lo conosceva o agiva sotto minaccia. Il consorte intanto l’ha attesa a casa, all’Aventino, per la cena, con una coppia di amici. Le congetture non escludono che possa aver incontrato il suo assassino anche altrove, forse aveva un appuntamento. Forse era un amante segreto.

La donna viene violentata e uccisa con 35 coltellate e il suo corpo viene trovato semivestito in via Tullio Giordana, a Torvajanica, con un coltello lasciato vicino. La 500 viene poi trovata sulla Nettunese, con alcuni vestiti della pittrice dentro. Può darsi che l’omicida l’abbia fatto apposta per sviare le indagini, forse non ha agito da solo. In tal caso è difficile pensare all’opera di un maniaco, quanto piuttosto a un freddo calcolatore.

Dopo la sesta vittima compare un testimone

L’assassino si sente braccato e rallenta le sue gesta. Intanto è finito l’anno, siamo al 21 gennaio 1984, quando viene trovata morta in un vigneto presso i Pratoni del Vivaro a Grottaferrata: Catherine Skerl, 16 anni. Si presume che questa invece sia proprio un’altra vittima del killer. Era sparita il pomeriggio dello stesso giorno. Un testimone l’aveva vista un’ultima volta salire su una vespa con un giovane. Il presunto killer, il 22enne di Acciarella, viene indagato dalla squadra omicidi guidata da Nicola Cavaliere.

Ad indagare per primo su Maurizio Giugliano era stato il commissario del quartiere Prenestino Rocco Marazzita. Dopo sei donne assassinate la polizia è ora convinta di trovarsi davanti al serial killer, al maniaco. Il giovane era stato già segnalato e arrestato più volte per furti e rapine e denunciato per violenza carnale. Il ragazzo venne arrestato nel febbraio 1984, poco dopo l’omicidio Skerl, a causa di un incendio doloso. Dopo un violento diverbio con la suocera aveva appiccato il fuoco all’appartamento della famiglia Bussaglia, in via Gogol, al Laurentino 38.

Finisce in carcere per un incendio doloso, non sanno che è lui

Mentre si trova a Regina Coeli per incendio doloso, sul recluso piovono un ordine di cattura e cinque comunicazioni giudiziarie provenienti dalle province di Rieti, Latina e Roma per altrettanti reati. I magistrati corrono al carcere ma lui si chiude in un silenzio strettissimo.

Sono passati ormai sette mesi dalla testimonianza del contadino per il delitto di Giuliana Meschi. Ora si può procedere con un confronto all’americana. Il testimone riconosce senza alcun dubbio l’assassino. Finalmente il killer ha un nome, è Maurizio Giugliano l’assassino della quinta vittima e presumibilmente anche della sesta, la 16enne e delle altre.

Le prove ai suoi danni intanto si fanno sempre più schiaccianti. Oltre al contadino c’è un compagno di cella che sostiene che durante una precedente detenzione per rapina, il sospettato avrebbe confessato di aver commesso altri delitti. Ormai la turista austriaca e la pittrice non vengono conteggiate nell’elenco delle sue vittime, ma restano comunque senza un colpevole e un movente. Inoltre un altro indizio lo lega all’omicidio Skerl. Il Giugliano si muoveva spesso in vespa, armato di coltello.

Sono le donne della sua famiglia ad accusarlo per prime

Le prove a suo carico vengono anche dalle tre donne vicine alla sua vita. La fidanzata Rosa Bussaglia. La suocera Maria Angelini e la madre del ragazzo. Sulla Stampa del 7 aprile 1984 si legge che lui avesse liti continue con tutte e tre: “Se non mi obbedite vi faccio fare la fine di queste donne. Le ho ammazzate io”.

E indicava il giornale con le notizie delle donne assassinate. Era una confessione. La madre del Giugliano si era già rivolta altre volte alla Polizia nel dicembre dell’ 83 perché aveva paura. Su L’Unità del 9 aprile 1984 si legge: “La polizia ha raccolto un mosaico di indirizzi e soprattutto di testimonianze. Quella della madre per cominciare che 4 mesi prima si era rivolta al commissariato più vicino per scaricarsi un peso che aveva sulla coscienza. Aveva cominciato a controllare suo figlio sospettando che fosse un pluriomicida.”

Chi è Maurizio Giugliano il killer dell’Agro Romano

L’identikit del killer ora è completo: Maurizio Giugliano è nato nella frazione di Acciarella, a Latina, il 7 giugno 1962, secondo di quattro figli di pastori di mucche.  Ha sofferto di malnutrizione sin dalla nascita, il che potrebbe averlo indotto a iniziare a parlare all’età di quattro anni. Nel 1970 venne investito accidentalmente da una motocicletta guidata dai Carabinieri e da allora diventò sempre più instabile e aggressivo. 

Nel corso degli anni Giugliano aveva ripetuto gli sfoghi contro il padre, i fratelli e i compagni di classe, arrivando addirittura a uccidere alcuni animali della fattoria di famiglia. Per questo motivo è stato detenuto in diversi ospedali psichiatrici, ma è sempre riuscito a scappare.  Negli anni ’70 la famiglia cambiò spesso residenza prima di stabilirsi definitivamente a Roma. Nel 1977 Giugliano fu arrestato per rapina e scontò una breve pena detentiva nel carcere minorile di Casal del Marmo.  Due anni dopo, fu arrestato per aver aggredito sessualmente un conoscente. Gli venne ordinato di sottoporsi a una perizia psichiatrica, la quale ha concluso che egli avesse un disturbo della personalità aggravato dalla sua educazione. In attesa della sentenza venne recluso presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa e, una volta giudicato colpevole e condannato a due anni di reclusione, fu trasferito al carcere di Pianosa

Viene condannato a 17 anni di carcere

Il principale indiziato dei delitti delle prostitute e della ragazza è quindi Maurizio Giugliano, ventidue anni. A detta dei familiari qualcosa in lui si era rotto dopo l’incidente coi Carabinieri a 8 anni e non è più riuscito a controllare la rabbia e a dominare gli impulsi.

Il 10 giugno del 1986 il tribunale gli commina 17 anni di carcere, pur riconoscendogli la semi infermità.

Durante un altro interrogatorio, Giugliano confessa un altro omicidio al quale non si riusciva a collegarlo ma in sede di processo si scaglierà contro il giudice e per questi fatti verrà dichiarato totalmente insano di mente.

Muore nove anni dopo, nel manicomio criminale di Morlupo Fiorentino, non prima di aver ucciso anche il suo compagno di cella, reo di non avergli offerto una sigaretta.

Si chiude così una delle pagine più nere della storia criminale di Roma.

Carlo Raspollini

Autore e regista televisivo, responsabile marketing, consulente gastronomo e dello spettacolo, viaggiatore.

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