Il mausoleo di Aquilio Regolo, il misterioso reperto di Casal Bruciato

È Marco Valerio Marziale, a informarci riguardo l’esistenza della villa, in via Tiburtina, appartenuta al suo amico M. Aquilio Regolo

IL MAUSOLEO DI AQUILIO REGOLO

Il mausoleo di Aquilio Regolo

C’ero già stato e volevo tornarci da tempo.
Perché questo è un luogo che nasconde un tesoro che non ti aspetti.
La prima volta ci sono andato accompagnato da un’amica che abita nei dintorni e senza la quale mai sarei riuscito a scovarlo.
In quell’occasione ho potuto solo osservarlo da lontano, sia per la fitta vegetazione che avrebbe richiesto un equipaggiamento consono e un machete con cui farsi largo, sia per la presenza di insediamenti praticamente invisibili e popolati da persone delle quali non si può prevedere la reazione al tuo curiosare nel “loro” territorio.


Di lì a un po’ di tempo, è comparso un sentiero, una sorta di viottolo che mi ha permesso, la volta successiva, di raggiungerlo non senza difficoltà e un considerevole patema d’animo che ha messo le ali ai miei piedi oltre ad avermi causato una produzione di adrenalina con conseguente tachicardia che si è placata con esercizi di respirazione una volta in salvo.
Tutto questo non ha arginato il mio desiderio di tornare.
Perché c’è una sorta di “attrazione fatale” tra me e lui che è più forte di qualsiasi difficoltà o timore.
E allora eccomi alla rotatoria di viale Cingoli, in zona Casal Bruciato; da una parte l’enorme complesso condominiale Domus Placida, dall’altra il parco di viale Cingoli.
Parcheggio lo scooter e mi incammino.


Giacca anti-graffio, scarpe da trekking, sguardo sicuro e fiero che mi fa sentire, con le dovutissime proporzioni, un piccolo Indiana Jones.
Peccato che la frequenza cardiaca mi avvicini più a un irresponsabile uomo di città che all’affascinante archeologo americano.
Sono solo, c’è un sole accecante, fa caldo.
Le cicale salutano il mio lento incedere attraverso il parco nel quale una serie di lugubri e tristi alberi capitozzati sembrano sussurrarmi una flebile domanda di aiuto che non posso loro dare.
Faccio fatica a trovare il sentiero, ma poi eccolo là davanti ai miei occhi al di là di una piccola scarpata.
Lo imbocco.


Cammino veloce cercando di fare il minor rumore possibile, quasi in punta di piedi.
Supero rovi e arbusti mentre nella boscaglia, sul lato destro, scorgo le lamiere degli insediamenti dove tutto tace e non sembra esserci anima viva.
Probabilmente è troppo caldo, sono tutti chiusi dentro le catapecchie a cercare refrigerio.
Distolgo lo sguardo e mi concentro sul sentiero.
Una curva, un’altra, un’altra ancora.
Accelero.
Il frinire delle cicale è assordante e copre lo scricchiolio dell’erba secca sotto le suole delle mie scarpe.
Aumento la velocità dei miei passi.
Ancora una curva ed eccolo là.
Sembra un fungo gigante.


È il Mausoleo di Aquilio Regolo, ovvero ciò che rimane di una vasta Villa risalente all’età tardo-repubblicana (II-I sec. a.C.), ma che raggiunse un particolare splendore soprattutto nella prima età imperiale.
Ciò che assomiglia a un fungo è un edificio circolare semisotterraneo in opera mista di reticolato e laterizio, conservato fino alla copertura a cupola; all’interno, non visitabile, vi è una sala con un pavimento in mosaico e sulla parete sporgono una serie di mensole di travertino.
È il grande poeta epigrammista latino, Marco Valerio Marziale, a informarci riguardo l’esistenza di una grande villa, posta tra il terzo e il quarto miglio della via Tiburtina, appartenuta al suo amico M. Aquilio Regolo, oratore e potente uomo politico che si arricchì sotto gli imperatori Nerone e Domiziano in virtù della sua attività di delatore.
Raggiungo il Mausoleo e già l’ansia e la paura svaniscono per fare posto alla meraviglia di quest’opera abbandonata e dimenticata tra rovi, tronchi spezzati di alberi caduti, perfino due sedie sgangherate che non si capisce cosa stiano a fare là.
Mi avvicino.


Sfioro un tratto conservato di opus reticolatum e mi sembra di sentirlo palpitare.
Ho sempre questa sensazione quando entro in contatto con le opere del passato.
È come se si stabilisse un flusso di energia tra me e loro, un sorta di corridoio immaginario nel quale il mio tempo si fonde con quello passato, come se riconoscesse in questo le sue origini lontane e se ne riappropriasse.
Poi mi sposto, compio un altro giro.
La scala di accesso all’interno, coperta da una tettoia in lamiera, è chiusa da un cancello dettato con una catena.
Impossibile entrare.
Mi limito a sbirciare ma non si vede granché.
Torno indietro e compio un secondo giro.
Non devo abusare del tempo di solitudine a disposizione, meglio incamminarsi per evitare incontri indesiderati.
Così saluto e mi appresto a tornare indietro.
Più che un saluto, è un arrivederci alla prossima volta.
Infine imbocco di nuovo il sentiero al contrario, affretto il passo fin quasi a correre e sbuco nella rotatoria dove è parcheggiato lo scooter.
Mi volto.
Il Mausoleo non è più visibile.
Ma dentro di me, la silenziosa e impalpabile conversazione tra noi è ancora molto, molto concitata…