Nella domenica dopo capodanno, e cioè la seconda di Natale, leggeremo di nuovo l’introduzione (Prologo) del Vangelo di Giovanni già letto nel giorno di Natale: Gv. 1, 1-18. Per alcuni studiosi questo brano introduttivo è una solenne prefazione del IV Vangelo, per altri è l’ouverture (anticipazione dei temi che si tratteranno nel Vangelo), e per altri ancora è il vangelo stesso in una prospettiva sintetica e profonda. L’inno comprende tre strofe: 1. Il Verbo nei suoi rapporti con Dio, con la creazione e con le creature (vv. 1-5); 2. La venuta della Luce (vv. 6-13); 3. L’incarnazione del Verbo (vv. 14-18). La composizione in versi brevi contribuisce a dare a questa pagina una caratteristica di prosa ritmata che ne fa una specie di inno liturgico al Verbo incarnato e invita ad una attenzione particolare al messaggio che contiene.
Prima strofa (vv. 1-5)
Giovanni si preoccupa innanzi tutto di situare il Verbo in Dio nella sua condizione di eternità: ne annunzia successivamente la preesistenza eterna, l’intimità col Padre e la distinzione da lui, e infine la divinità. L’evangelista risale indietro nel tempo quanto più gli è possibile, e afferma che il Verbo esisteva già. Il Verbo era presso Dio, si trovava in stretta unione col Padre, pur rimanendo distinto da lui, anzi il Verbo stesso era Dio. Poi, proclama l’universalità dell’opera creatrice di colui che è la Parola eterna di Dio: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. Il Verbo non è solo creatore: è la vita e la luce degli uomini. Il Verbo è fonte di ogni vita, naturale e soprannaturale, per le creature. Anzi, egli è, per eccellenza e personalmente, la Vita: si tratta di vita eterna, soprannaturale e divina. Inoltre, egli è la Luce: non la luce cosmica, ma la Luce divina e soprannaturale. Egli è la Luce del mondo, la Luce delle nazioni: l’evangelista precisa già il carattere universale della missione del Verbo tra gli uomini. Inoltre, lascia capire subito che non tutti hanno creduto in lui: le tenebre non l’hanno compresa. Le tenebre rappresentano il mondo lontano da Dio per ignoranza o per il peccato; le tenebre sono le forze del male, il mondo di Satana, nella loro opposizione a Dio che è Luce: rimanendo nel peccato, gli uomini rimangono nelle tenebre. L’evangelista allude già all’opposizione incontrata da Colui che è la Vita e la Luce incarnata tra gli uomini.
Seconda strofa (vv. 6-13)
La Luce è venuta nel mondo preceduta da un testimone: Giovanni Battista. La sua testimonianza è legata al fatto che non si tratta di una luce naturale e che la Luce è velata dalla sua condizione incarnata: il precursore ha la missione di condurre alla fede in colui che è la Luce e che deve occupare tutto il posto: “Chi viene dopo di me, è passato avanti a me, perché era prima di me” (v. 15). Veniva nel mondo la vera Luce, ma il mondo non l’ha conosciuta, cioè non l’ha riconosciuta e non ha creduto in essa, per effetto dell’incarnazione.
E’ già uno scandalo che il mondo creato dal Verbo abbia ricusato di credere nella Luce, ma vi è uno scandalo più grave: “i suoi non lo hanno accolto” (v. 11), il popolo di Israele, il popolo particolare del Signore si è rifiutato di accoglierlo, di credere in lui. Invece, a quelli che lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio. Giovanni ha presente innanzitutto coloro che hanno creduto nel Verbo incarnato quando venne tra gli uomini, ma pensa anche a tutti quelli che hanno creduto o crederanno in lui. A tutti questi ha dato la possibilità effettiva e attuale di diventare figli di Dio mediante una nascita che non è frutto di generazione naturale, né di istinto o di volere d’uomo, ma viene da Dio stesso.
Terza strofa (v. 14)
“Il Verbo si è fatto carne” (v. 14): il termine carne designa l’uomo nel suo aspetto fragile, debole, perituro. Giovanni sottolinea così la trascendenza e la realtà dell’incarnazione e nello stesso tempo ci lascia indovinare l’amore divino che si rivela in questo evento: Dio stesso è venuto fino a noi, facendosi uomo in Gesù Cristo. Strettamente parlando, il Verbo incarnato è l’Emmanuele: è Dio, in persona, tra noi. Giovanni lo presenta come il tabernacolo, il tempio della nuova alleanza. Dio ha piantato la sua tenda in mezzo a noi, ha abitato in mezzo a noi. L’evangelista ha voluto presentare il Verbo incarnato come la vera dimora di Dio tra gli uomini. Alla tenda di riunione del periodo dell’Esodo e al tempio di Gerusalemme, succede ora il Verbo incarnato: nella sua persona, Dio è ormai presente, di una presenza talmente straordinaria che la fede degli ebrei nella trascendenza del Signore non poteva neppure immaginare e sperare; in essa si manifesta la gloria stessa di Dio, gloria che il Verbo possiede in qualità di Figlio unico inviato dal Padre. Di questa gloria, che si manifesta nei “segni” compiuti da Gesù nella trasfigurazione e nella risurrezione, sono testimoni Giovanni e il gruppo dei discepoli. Gesù porta la Grazia e la Verità, perché è Verità, Via e Vita. Figlio unico eternamente e attualmente presente nel seno del Padre, egli rivela Dio e permette ai credenti di diventare figli di Dio, di conoscere Dio e aver parte alla sua vita.
Il fatto che il Figlio di Dio si è fatto carne significa che il Verbo che ha creato il mondo ci invita a riconoscere il valore della creazione, dell’uomo e dei valori umani. Non viene a distruggere questi valori o a salvare l’uomo togliendolo dall’universo, ma a salvare gli uomini che vivono nel mondo liberandoli dal peccato e facendoli partecipi della sua vita. L’incarnazione del Verbo tra gli uomini e il suo ingresso nel tempo danno al mondo e alla storia il loro senso ultimo: in lui la storia diventa storia della salvezza.
Bibliografia consultata: De Surgy, 1970.
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