Il Padre nostro
La preghiera di Gesù
Il tema centrale della XVII Domenica del Tempo ordinario è l’efficacia della preghiera fiduciosa e pressante. Nel brano del Vangelo di Luca (11, 1-13) che sarà proclamato nella Santa Messa, Gesù ci esorta direttamente alla preghiera fiduciosa per ottenere l’avvento del Regno e il dono dello Spirito Santo fin da quaggiù. Nella lettura evangelica distinguiamo un’introduzione e tre piccole sezioni: la preghiera del Padre nostro, la parabola dell’amico importuno e l’esortazione a pregare il Padre, sempre pronto ad esaudire i suoi figli.
“Signore, insegnaci a pregare…” (v. 1). Gesù viene sollecitato ad insegnare a pregare da un discepolo, dopo aver lui stesso pregato. La preghiera di Gesù è un elemento caratteristico del Vangelo di Luca, che ama mostrare Gesù in preghiera. La sua preghiera prima dell’insegnamento del “Padre nostro” si inserisce in un quadro di ricordi simili che sono propri dell’evangelista Luca, il quale intende sottolineare un elemento sicuro della tradizione che afferma la frequenza della preghiera di Gesù, volendolo mostrare come un maestro di preghiera non soltanto con le parole ma anzitutto con l’esempio. La preghiera è comunione con Dio. Pregare è entrare in Gesù, intercessione eterna per noi che in lui siamo creati e salvati. Nella preghiera ci mettiamo davanti a Dio e accettiamo di essere amati da lui come Padre e di amarlo come tale nei fratelli. Si impara a pregare, pregando Gesù di insegnarcelo: la preghiera è dono suo, non conquista nostra.
“Quando pregate, dite: Padre…” (v. 2). La preghiera del ”Padre nostro”, nella versione di Luca, è notevolmente più corta di quella di Matteo (quella che recitiamo normalmente ogni giorno) e comporta leggere differenze nelle parti comuni. Anche nell’Antico Testamento, Dio è il “Padre” di Israele a motivo della tenera protezione di cui l’ha circondato durante l’esodo, sia a livello collettivo che individuale. Questa paternità di Dio viene trasferita da Gesù sulla comunità dei suoi discepoli. Durante la vita terrena, Gesù, l’unico figlio, si è rivolto a Dio chiamandolo “Abba!”, che equivale al nostro “papà”, con una familiarità finora sconosciuta. Dopo la Pasqua, la chiesa recitando il “Padre nostro” esprime la coscienza di essere amata con lo stesso amore di cui Dio avvolge il suo unico Figlio. In Gesù, Dio ci ama perdutamente, con l’amore totale del Padre verso il Figlio.
“Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno” (v. 2). Prima di esporre le nostre necessità, cominciamo col far nostre le intenzioni del Padre: si prega il Padre di santificare lui stesso il proprio Nome per stabilire il suo Regno sulla terra; preghiamo il Padre, perché manifesti la sua onnipotenza e la sua bontà infinita. Preghiamo perché la sua paternità sia nota, amata, tenuta in conto da me e da tutti i suoi figli! Il nome di Dio è santificato quando conosciamo il suo amore per noi, ci arrendiamo ad esso, acconsentiamo alla sua paternità e accettiamo di essere sue creature. Per i discepoli che ascoltano Gesù, il regno di Dio è già presente in mezzo a loro, ma in forma ancora umile e nascosta; bisogna continuare a pregare perché il Regno divenga quel grande albero dove gli uccelli del cielo si attendano tra i suoi rami, nell’attesa della sua pienezza alla fine del mondo. Qui sulla terra esso resta sempre sotto il segno della croce, nella povertà, umiliazione e umiltà di un amore che dona tutto e alla fine se stesso.
“Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano” (v. 3). I discepoli che non hanno nessuna provvista (i poveri, così cari all’evangelista Luca) sentono intensamente il bisogno che il Padre nutra i suoi figli “ogni giorno”. Il vero cristiano vuole esprimere al Padre la convinzione che tutta la sua vita, nella sua stessa radice, dipende dalla sua bontà. Noi domandiamo il pane da condividere fra tutti (“nostro”), come segno efficace di comunione fraterna e di preoccupazione per i poveri, sull’esempio del pane eucaristico. Chi ne defrauda l’altro, priva l’altro della propria fraternità e priva se stesso della paternità di Dio.
“Perdona a noi…anche noi infatti perdoniamo…” (v. 4). Il grande ostacolo alla nostra speranza del Regno, come pure alla condivisione del nostro pane, è il peccato. Questo perdono, senza il quale non potremmo vivere nell’amicizia di Dio e nella stima di noi stessi, ci è necessario più del pane. Dio, come ci ha creato per dono del suo amore, così mi ricrea col per-dono della sua misericordia, dono ancora più grande di amore. I cristiani ne conoscono il prezzo, perché contemplano la Croce su cui Cristo, l’amico dei peccatori, ha versato il suo sangue “in remissione dei peccati” con il perdono sulle labbra di Gesù. Ma il perdono divino si realizza se noi accordiamo il perdono ai nostri debitori. Noi, che siamo stati prevenuti in tutti i modi dalla misericordia del Padre, dobbiamo a sua volta perdonare i nostri offensori. Per quanto profonda sia la nostra ferita, non c’è altra via per guarirla che la comunione dell’amore divino, dimenticando i torti ricevuti. L’unico peccato imperdonabile è quello di chi non perdona e non ritiene di dover essere perdonato per questo. Il cristiano non è giusto, ma giustificato; non è perfetto, ma misericordioso; non è forte contro il male, ma compassionevole verso chi è caduto. Per questo non condanna, ma perdona.
“Non abbandonarci alla tentazione” (v. 4). In origine si trattava della grande tentazione escatologica (finale) della defezione nella fede, una tentazione così temibile da indurre Gesù a farci pregare Dio perché non ci lasciasse cadere in essa. Ma questa defezione può venire già dalla prova quotidiana, senza attendere il combattimento finale. Dobbiamo quindi supplicare il Padre perché eviti di farci entrare in una tale prova, perché non siamo abbastanza forti per uscirne. La tentazione viene dalla mia debolezza; il nemico agisce in me attraverso la paura del bisogno e trova il suo alleato nel mio egoismo. Tuttavia, ci ricorda San Paolo, Dio è fedele e non permette che siamo tentati oltre le nostre forze. La vera tentazione è quella di perdere la fiducia nel Padre strappandoci dall’amore di Dio: ma la vittoria che ha sconfitto il mondo è la nostra fede!
Con la parabola dell’amico importuno (Lc. 11, 5-8) l’evangelista Luca vuole impartirci la lezione di fiducia nell’esaudimento della preghiera, con un argomento “a fortiori” (a maggior ragione): se un amico noioso viene esaudito dall’amico, a maggior ragione Dio accorderà ciò che gli si chiede con insistenza.
Forza amici: preghiamo con insistenza il Signore, perché ci conceda ciò che in questo momento ci sta più a cuore!
Bibliografia consultata: Ternant, 1972; Fausti, 2011.