L’avvicinarsi della festa di Pentecoste è caratterizzato dal tema dell’invio dello Spirito Santo, dono del Risorto alla comunità dei discepoli per la loro missione nel mondo (Gv. 14, 15-21). Nel contesto dell’Ultima Cena Gesù annuncia ai suoi discepoli la presenza del Paraclito; egli darà forza di osservare i suoi comandamenti e di vivere in lui e nel Padre. Il dono dello Spirito non può essere accolto al di fuori della relazione con Cristo, infatti egli è dono suo.
Osservare i comandamenti, infatti, non significa eseguire gli ordini ricevuti, ma accogliere le indicazioni del Maestro nella loro intenzione più profonda condividendone lo spirito e il modo di agire esemplificato da lui stesso con il suo comportamento. Lo Spirito, essendo realtà invisibile, non va confuso con l’astrazione o una semplice sensazione, perché l’amore a Cristo va dimostrato nella condotta di vita.
Lo Spirito è chiamato “Paraclito”, cioè avvocato consolatore, colui che sa stare accanto, colui che intercede, colui che si può chiamare, perché sia sostegno nel cammino. Più precisamente si tratta di un “altro Paraclito” (v. 16), dice Gesù, perché il primo Paraclito è lui stesso che si è fatto nostro fratello e con la sua umanità ci ha reso possibile percorrere la via per vedere il volto del Padre.
Il compito di questo “altro Paraclito” è decritto con queste azioni: “è dato”, viene “perché rimanga con voi per sempre”, “rimane presso di voi”, “sarà in voi” (vv. 16-17). Lo Spirito può essere compreso nella sua dimensione essenzialmente relazionale: viene donato da Dio agli uomini, è invitato ed è continuamente inviato dal Padre; è costituito per “rimanere”, cioè per mantenere sempre attiva la relazione tra Dio e l’umanità; di più, lo Spirito abita volentieri nel nostro cuore, perché sia allontanata ogni forma di solitudine interiore che toglie speranza, fiducia e carità.
Lo Spirito che aleggiava sulle acque (Gen. 1, 2) e ha permesso al mondo di essere creato e diventare visibile, agisce anche nei cuori, lì dove solo Dio può vedere, nell’intimità più profonda delle persone. Per chi accoglie questo dono, il suo mondo interiore diventa capace di portare l’Altro da sé, sia la presenza di Dio che la presenza degli altri. Ne è prova la preghiera personale: quando si prega per gli altri con piena fiducia che quanto si desidera accada per qualcuno, Dio lo concede in virtù di chi prega per lui.
Se non ci fosse questa realtà, a ben poco servirebbe la preghiera incessante della chiesa che sempre si rivolge a Dio non solo per sé stessa ma per tutti, vivi e defunti. E’ lo Spirito, dato dal Padre e accolto dai credenti in Cristo, che rende possibile la comunicazione vitale tra mondo visibile e mondo invisibile di Dio. Ogni preghiera è sempre gradita a Dio, perché egli desidera la comunione con i suoi, altrimenti cadrebbero nel vuoto le parole di Gesù: “Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” (v. 20). Lo Spirito donato per rimanere assicura che il rapporto con Dio e con i fratelli e sorelle non è mai interrotto, ma una via di comunicazione è sempre possibile.
Lo Spirito è chiamato anche “Spirito di verità” (v. 17). La verità biblica è un concetto di relazione e si può tradurre anche con “fedeltà”. E’ vero ciò che rimane fedele alla parola data, come fa Dio con le sue promesse. La fedeltà è una realtà che si sperimenta nelle relazioni e il popolo di Israele ha visto tante volte che Dio è fedele al suo essere salvatore del suo gregge. Perciò è chiamato Dio vivo e vero. Ma la parola “verità” è legata anche a qualcosa che si rivela: prima c’è una realtà che è nascosta, poi interviene qualcuno a togliere il velo che la copriva e la manifesta, cosicché non resta più celata.
Nella persona di Gesù, Dio si è dimostrato pienamente fedele alle sue promesse e che in lui ha rivelato completamente il suo piano di salvezza, senza che nulla di quanto avevamo bisogno di conoscere potesse rimanere nell’ombra. Lo Spirito di verità, continua Gesù, non può essere ricevuto da chi fa suo lo stile della menzogna e dell’inganno, ma solo da chi accetta di essere illuminato e di venire alla luce come ha fatto il Figlio di Dio, facendosi uomo come noi.
Il compito dello Spirito è condurre alla verità tutta intera, facendo ricordare le parole di Gesù che sono spirito e vita. La venuta del Figlio nella carne e la venuta dello Spirito nei cuori dei credenti non hanno altro effetto che la vita dell’uomo: “io vivo e voi vivrete” (v. 19). Lo Spirito viene inviato, viene mandato dal Padre per la preghiera di Gesù, perché rimanga e guidi i discepoli (v. 16). Ancora una volta viene presentato un aspetto dinamico che chiede disponibilità a fare spazio a un altro, accoglienza nel cuore all’altro da sé, costanza nell’invocazione, pazienza nel saper attendere il Consolatore perfetto dell’anima.
Gesù era stato definito “colui che viene” incontro agli uomini, da fratello, per insegnare la vita “come figli”. Il mistero pasquale di Gesù non è una privazione della sua presenza, ma un entrare nella dimensione della risurrezione dove lo Spirito ha pieno spazio di azione. E dove c’è lo Spirito c’è comunicazione piena, riconciliazione gioiosa, comunione perfetta.
Nel cammino di fede non siamo soli, non siamo abbandonati a noi stessi, alle nostre paure e ai nostri momenti di scoraggiamento. Gesù ci assicura un compagno di strada, discreto ma sempre presente, un consolatore, un suggeritore che porta verso la verità del Vangelo: lo Spirito Santo. Senza di lui mettere insieme amore e obbedienza, fiducia e comandamenti, pace del cuore e fatica quotidiana sarebbe cosa impossibile. Ma lo Spirito è con noi proprio per realizzare l’impossibile, proprio per costruire il Regno servendosi della nostra fragilità e della nostra debolezza.
E’ lo Spirto che traccia percorsi nuovi e desta iniziative che sanno di Vangelo; è lui che continua ad abbattere i muri che separano le persone e a lanciare ponti per unire popoli e culture considerati distanti. E’ lui che apre in regioni fin qui inesplorate un sentiero di riconciliazione e di fraternità.
Il Capocordata.
Bibliografia consultata: Girolami, 2023; Laurita, 2023.
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