Il Pd affonda, Bersani lascia la guida del partito
“Fra di noi, uno su quattro ha tradito”
“Prodi è il secondo candidato proposto e bruciato dal Pd. Questa è autocombustione”, aveva ironizzato ieri sera il comico Maurizio Crozza.
Ma forse è il caso di fare poca ironia.
L’Italia è ancora senza un governo e da due giorni senza un Presidente della Repubblica.
E il Pd, questa mattina, si è svegliato senza un dirigente, senza un segretario, senza responsabili.
O meglio, i responsabili ci sono. Sono gli (ir)responsabili della vecchia guardia, poco lungimiranti, poco pragmatici, che non hanno saputo fare i conti con i bisogni dell’Italia.
Un’Italia che annaspa e affonda. L’Europa, le istituzioni, persino il Presidente di Confindustria ci sollecitano “a fare presto”.
La morte, metaforica, del Partito democratico, che ha fatto gioire Grillo sul palco di Udine e Berlusconi alla cena per la candidatura di Alemanno, non è in realtà una festa. Nonostante gli applausi delle platee grilline e berlusconiane, oggi non c’è nulla da festeggiare.
A prescindere dalle idee, a prescindere dalle opinioni, a prescindere dai colori dei nostri ideali, è morto un partito che ha deluso i suoi elettori, oggi orfani di congressi e primarie, figli di una Babele senza solide basi che è sprofondata prima di toccare la vetta del cielo.
E a pagare per tutti, stavolta sono stati Pierluigi Bersani e Rosy Bindi.
Proprio la Bindi ha dichiarato di aver consegnato a Bersani il 10 aprile “una lettera di dimissioni da presidente dell’Assemblea nazionale del Pd”, in cui si demandava al segretario dei democratici di stabilire modi e tempi per annunciarlo al partito. “Avevo lasciato a lui la valutazione sui tempi e i modi in cui rendere pubblica una decisione maturata da tempo. Ma non intendo attendere oltre. Non sono stata direttamente coinvolta nelle scelte degli ultimi mesi né consultata sulla gestione della fase post elettorale e non intendo perciò portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd in questi giorni, in un momento decisivo per la vita delle Istituzioni e del Paese”.
Una mossa che non ripaga gli italiani dei loro sacrifici.
Viene da chiedersi, infatti, se un capitano debba affondare con la propria nave o debba andarsene prima che gli vengano rivolti capi d’accusa.
Quando Bersani aveva proposto Prodi, tutti i piddini avevano applaudito ed esultato.
E invece, ieri, in Assemblea c’è stata la débacle: 100 voti in meno per l’ex Presidente del Consiglio, che si sommano al fallimento della nomina di Marini.
Prodi ha pagato il prezzo dell’antiberlusconismo. Prodi ha pagato il prezzo delle faide interne al Pd.
Nelle ottiche di partito, Prodi sarebbe dovuto essere il candidato della riappacificazione interna, e invece così non è stato.
Votato dai renziani compatti, non ha ricevuto innanzitutto il placet della base bersaniana.
Analizzando lo scrutinio di ieri pomeriggio, quello della quarta votazione, è facile capire che anche i dalemiani si sono comportati da franchi tiratori.
“A Prodi avevano tutti detto sì, hanno fatto l'applausone, poi hanno fatto il contrario, il giochino dei franchi tiratori che non è una battaglia a viso aperto”, ha commentato Matteo Renzi.
“Per tutto il giorno – ha scritto su Facebook il sindaco di Firenze – sono stato accusato di sostenere una candidatura, quella di Romano Prodi. Ora l'accusa è opposta: aver complottato contro la candidatura Prodi. Se non ci fosse di mezzo l'Italia sarebbe da ridere. Io le cose le dico in faccia, sempre. I doppiogiochisti non mi piacciono. Se dico che sosteniamo Prodi, lo facciamo. Se andiamo contro Marini lo diciamo a viso aperto. Secondo punto: il Quirinale richiede per definizione una persona esperta e competente. Lasciatevelo dire da rottamatore, il Quirinale non si trova il candidato 'nuovo'. Il Presidente della Repubblica deve avere caratura internazionale e senso dello stato: Prodi sarebbe stato un ottimo presidente. Ma lo hanno fatto fuori alcuni parlamentari Pd. Io non sono un grande elettore e non ho mai espresso UN candidato. Ho sempre detto che ce ne sono molti, donne e uomini. Chi ha la responsabilità di guidare il partito adesso abbia la lucidità di indicare una soluzione autorevole, per l'Italia. Chi sta in Parlamento sappia che sta scherzando con il bene più prezioso, la dignità della politica…”.
Bersani ha sbagliato molte cose, il giaguaro non è riuscito a smacchiarlo.
Ma è stato proprio il Pd, l’unico partito che in Italia organizza congressi e primarie, a volerlo. Per poi tradirlo.
La responsabilità ora è tutta dei singoli individui.
E quindi, senza scampo, ieri sera si è dimesso anche l'ormai ex-segretario del Partito Democratico.
Dopo il voto per il Colle, le sue dimissioni saranno effettive.
Per ora bisogna continuare ad occuparsi dell’ordinaria amministrazione, ha fatto sapere Bersani.
“Abbiamo prodotto una vicenda di una gravità assoluta. Sono saltati meccanismi di responsabilità e di solidarietà, oggi è stata una giornata drammaticamente peggiore di ieri. Per me è troppo. Consegno all’assemblea le mie dimissioni. Operative da un minuto dopo l’elezioni del Presidente della Repubblica. Continuerò a dare una mano. I capigruppo con me devono da subito contattare le altre forze politiche per trovare una soluzione definitiva sul Quirinale. Noi da soli il Presidente della Repubblica non lo facciamo", ha commentato Bersani durante l'assemblea di ieri sera.
In attesa di un accordo interno, il Pd alla quinta votazione si è astenuto dal voto.
“Faremo un’assemblea – ha comunicato Bersani – mi auguro che si trovi una proposta con le altre forze politiche. Fra di noi uno su quattro ha tradito. Ci sono pulsioni a distruggere il Pd”.
Per ora è in corso lo scrutinio della quinta votazione, ma è molto probabile che nessun ‘papabile’ raggiunga il quorum.
Se le forze politiche decideranno di collaborare, si potrebbe prospettare l’ipotesi di un secondo mandato di Giorgio Napolitano.
Sperando che le forze politiche abbiano però la forza di ribellarsi al ‘Governo del Presidente’, che potrebbe essere proposto da 'Re Giorgio'.