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Il più grande comandamento

Il brano evangelico (Mt. 22, 34-40) di questa domenica, 30^ del Tempo ordinario, racconta come gli avversari di Gesù gli tesero un ultimo tranello per trovare un motivo di accusa che permettesse di liquidarlo. I tentativi precedenti erano falliti uno dopo l’altro (il tributo a Cesare, la controversia con i sadducei a proposito della risurrezione dei corpi). Le manovre dei farisei che interrogano Gesù sul più grande comandamento costituiscono un ultimo sforzo per cercare di prendere Gesù in difetto. Tuttavia, sia la domanda che la risposta non sembrano così rigorose, tali da costringere Gesù all’ultima difesa, anche se la domanda dello scriba sottintende una certa ostilità e polemica, perché si trattava di un argomento controverso tra i dottori della Legge, come vedremo in seguito. Anzi, il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo non è una novità cristiana: Gesù non lo inventa, ma prende i termini della sua dichiarazione dal Deuteronomio (6,5)e dal Levitico (19, 18).

Un sostenitore che diventa un avversario

Lo scriba benevolo che, secondo il vangelo di Marco (12, 28-31), si schiera dalla parte di Gesù, è diventato in Matteo un fariseo aggressivo, volendo introdurre, in tal modo, il capitolo 23 dove Gesù mette in guardia la folla contro i farisei e gli scribi severamente rimproverati. L’aspetto tentatore della domanda va quindi visto, innanzitutto, nel fatto che l’indicazione di un massimo comandamento avrebbe criticato lo sforzo rabbinico di rispettare tutti i comandamenti e una formale comprensione della legge presupposta da tale sforzo; e anche dal fatto che era impossibile districarsi nella miriade di comandamenti descritti dai dottori della Legge, come vedremo in seguito. L’evangelista Matteo ha voluto far capire ai suoi lettori giudeo-cristiani dove stesse la radice del conflitto che opponeva la comunità cristiana ai gruppi giudaici e quali deviazioni potessero manifestarsi nel seno della stessa chiesa, nonché l’atteggiamento che occorreva contrapporre ad esse. Non dimentichiamo che, ai tempi in cui Matteo scrive il suo Vangelo, la comunità cristiana doveva difendersi contro attacchi venuti dal di fuori e contro una risorgenza dello spirito farisaico.

Qual è il più grande comandamento della Legge? (v. 36)

Era questo un argomento controverso tra i dottori della legge. La sinagoga antica aveva tratto dalla Torah (Legge) 613 “precetti”, 248 comandamenti e 365 proibizioni, che si era cercato di suddividere in “leggeri” e “gravi”. E gli scribi si chiedevano se non esistesse un comandamento che, includendo tutti gli altri, potesse essere messo in testa alla lista. Con la sua domanda il dottore della legge vuol portare Gesù a far conoscere il suo pensiero su questo argomento scottante.

Amore di Dio e amore del prossimo (v. 37)

Per rispondere Gesù si rifà alla preghiera “Ascolta, Israele…”, che i giudei recitano due volte al giorno. La troviamo nel testo del Deuteronomio, il quale fonda il comandamento dell’amore sulla “signoria” di Dio: “Amerai il Signore con tutto te stesso”: cuore, anima, mente, indicano tre forze spirituali quasi identiche, intese a designare tutto l’uomo concentrato su un punto con tutte le sue energie, la sua volontà, i suoi sentimenti, il suo pensiero. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dello sforzo, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto: non deve essere escluso da questo ambito. In quanto massimo e primo comandamento, l’amore di Dio è definito per due volte come il comandamento principale.

Il Dio che esige questo amore totale è quello che, nella sua pietà, si è chinato sull’uomo per salvarlo. E’ questo il motivo per cui l’uomo, a sua volta, deve amare il prossimo. E come il comandamento dell’amore di Dio non è distaccato dalla storia della salvezza degli uomini, così il comandamento dell’amore del prossimo non è separato dall’amore di Dio. L’evangelista Matteo intensifica la portata del comandamento del prossimo come secondo comandamento, in quanto lo dischiara pari per valore al comandamento dell’amore di Dio.

Inoltre, l’amore di Dio e l’amore del prossimo, nella loro connessione assumono un valore fondamentale: da essi dipendono tutta la legge e i profeti. L’amore di Dio e del prossimo sopravanza tutti gli altri comandamenti in quanto criterio in base al quale tutti gli altri vengono misurati. Teniamo presente che ogni azione morale dell’uomo non può essere in contrasto con l’amore, ma deve essere nutrita dall’amore, nel suo doppio senso di amore di Dio e amore del prossimo. Tutta la legge e i profeti dipendono da questo amore, come una porta dai suoi cardini.

Quando Gesù afferma l’interdipendenza tra la relazione con Dio e la relazione con il prossimo, è dunque sulla linea dell’Antico Testamento, pur non intendendo questo rapporto allo stesso modo dei farisei. Infatti, per essi Gesù non rispetta il Sabato perché operava guarigioni anche in quel giorno; entra in contatto con pubblicani e peccatori; difende un’adultera: colui che agisce in tal modo non può per i farisei essere giusto agli occhi di Dio. Sappiamo, invece, che Gesù è un pio giudeo, frequenta la sinagoga e si reca al Tempio per le grandi festività, conserva la Legge e i Profeti. La sua idea di Dio, tuttavia, non è quella della piccola cerchia farisaica. Ogni uomo può diventare mio “prossimo”, anche il nemico! Egli è stato mandato per cercare e salvare ciò che era perduto: è questo il fine della Legge. “Amerai il prossimo tuo come te stesso”(v. 39).

L’amore di Dio e del prossimo come culmine della legge può essere considerato un dato caratteristicamente cristiano. Poiché nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo consiste il riassunto della Legge e dei Profeti (v. 40), noi verremo giudicati sull’aiuto effettivo dato o rifiutato al prossimo affamato, nudo, prigioniero, malato. In Gesù, Dio si è fatto talmente solidale con gli emarginati e gli oppressi, che il nostro impegno per la loro liberazione costituisce il solo criterio della nostra relazione sincera con Dio. Ciò che danneggia il prossimo non corrisponde mai alla volontà di Dio; l’amore di Dio implica concretamente  l’amore del prossimo. Chi serve il bene del prossimo è sicuro di vivere correttamente la relazione con Dio, come anche le lettere di Paolo e di Giovanni mettono bene in evidenza. E se questo insegnamento è in conflitto con i potenti di turno, Gesù segue la propria strada che lo porterà alla croce.             

Bibliografia consultata: Van Den Ende, 1972; Gnilka, 1990.

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