A quanto ammonterà? Chi potrà percepirlo? Per quanto tempo? A quali condizioni?
Le domande che si rincorrono a proposito del “reddito di cittadinanza” sono queste. E le risposte sono fatalmente approssimative, visto che le norme sono ancora in via di definizione. Ma in questo fioccare di indiscrezioni, per non dire di ipotesi, e in questo scarseggiare di certezze, la cosa che sfugge sempre di più è quella fondamentale: stiamo continuando a chiamare “reddito di cittadinanza” una misura che invece è tutt’altro.
Se vi è venuta alle labbra la risposta istintiva – “lo chiamassero come gli pare, basta che lo facciano davvero e che diano una mano ai poveracci senza lavoro e finiti in povertà o addirittura in miseria” – inghiottitela all’istante. Oltre a essere istintiva è anche una risposta sciocca. E il cittadino sciocco è il cocco dei potenti. Perché lui crede di evitare le chiacchiere e di andare dritto al sodo. Mentre invece sta evitando la verità e prendendo fischi per fiaschi.
In questo caso la verità è semplice. E a portata di mano di chiunque. Non c’è bisogno di recarsi alla Biblioteca Nazionale e di visionare dei testi accademici pubblicati molto tempo fa e ormai divenuti introvabili. No. Basta collegarsi a Internet (niente micini-carini e video-virali, per una volta) e leggere cosa riporta Wikipedia. Che certo va presa con cautela – essendo pur sempre un’enciclopedia-bricolage nelle mani di tutti e di nessuno – ma che spesso le informazioni basilari le fornisce. E che quindi può andare benissimo come orientamento iniziale.
“Un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri su base individuale senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite”.
Questa è solo una delle sintesi indicate, ma i punti essenziali li coglie. E il punto più importante in assoluto è alla fine della frase: senza “esigenza di contropartite”.
Ribadiamolo: il vero reddito di cittadinanza, che viene anche chiamato “reddito di base”, viene erogato in maniera universale e indiscriminata. A chi lavora e a chi non lavora. A chi è abbiente e a chi non lo è. Perché poggia su un presupposto concettuale del tutto diverso da ogni altra forma di sussidio: ogni cittadino è contitolare, proprio in quanto cittadino, di un frammento della ricchezza prodotta nella nazione alla quale appartiene.
Un legame comunitario, se vi piace il linguaggio tradizionale e di matrice non solo economica. Oppure un dividendo analogo a quello di una società per azioni, nella quale si entra per diritto di nascita, se preferite la terminologia e i concetti del business.
Sia come sia, niente a che spartire con gli interventi cui sta mettendo mano il Governo. Interventi che potranno avere i loro pregi e i loro difetti – e non mancheremo di parlarne approfonditamente già nei prossimi giorni – ma che sicuramente NON configurano un reddito di cittadinanza e non ci si avvicinano nemmeno.
Ma allora, si potrebbe chiedere, perché si usa una formula indiscutibilmente errata al posto di quella corretta?
Ecco: questa è un’altra reazione istintiva. Ma per nulla sciocca.
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