E’ la sera di Pasqua, lo straordinario giorno del ritrovamento della tomba vuota, della corsa al sepolcro di Pietro e di Giovanni, dell’incontro di Maria Maddalena con il Risorto. Giorno di sentimenti contrastanti per i discepoli, di grandi interrogativi, di speranza che apre le porte della mente e del cuore, ma anche di preoccupazioni e paure. La paura infatti è il primo stato d’animo di cui l’evangelista Giovanni ci informa, paura di cui le porte chiuse sono il segno visibile.
“Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi” (v. 19): il Risorto è presente nella comunità dei discepoli. Il Signore si presenta come vittorioso sulla morte, è colui che è passato attraverso la grande tribolazione della sua passione ed è sempre presente in mezzo alla chiesa come il Crocifisso-Risorto. E’ a questo punto che compare la gioia: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (v. 20), ovvero nel momento in cui la fede nella signoria del Cristo prende il posto della dubbio e della paura.
Il Signore che viene annuncia per due volte la pace ai suoi discepoli e ciò accadrà nuovamente “otto giorni dopo” (v. 26): egli viene per comunicare la pace, la pienezza di ogni bene, la pienezza di vita per l’uomo. Anche il gesto di Gesù di insufflare lo Spirito (v. 22) è comunicazione ai suoi discepoli della vita divina che ora il Risorto possiede in pienezza.
Con l’effusione dello Spirito, egli comunica ai discepoli la sua propria missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (v. 21). Ora è il Risorto che invia i suoi discepoli, in una sorta di prolungamento della missione originaria del Padre. L’iniziativa della salvezza, che ha origine nel Padre, si è realizzata attraverso la venuta del Figlio e ora si diffonde nel mondo grazie alla testimonianza della comunità dei credenti. Essa si concretizza nel perdono dei peccati, che è partecipazione al cuore stesso della missione del Cristo.
Ai suoi discepoli, cioè a tutta la chiesa, il Risorto conferisce una vera autorità in merito al peccato, così che essa deve pronunciare la parola del perdono affinché il peccato sia assolto e non “trattenuto”. Con il perdono dei peccati, la vittoria del Signore sulla morte si traduce nella possibilità per ogni uomo di partecipare fin d’ora alla vita divina, attraverso il dono dello Spirito che proviene da lui.
“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, stette in mezzo e disse: Pace a voi!” (v. 26). Di nuovo, egli viene per donare la vita in pienezza.
L’incontro con Tommaso rende evidente, in maniera drammatica, il significato che questo venire del Risorto assume nella vita di ogni credente. Con il manifestarsi del Cristo vivo, presente in mezzo alla comunità radunata nel giorno del Signore, Tommaso viene interpellato personalmente e individualmente. Dopo il saluto comunitario, Gesù si rivolge direttamente a Tommaso e, dimostrando di conoscere quello che c’è nel suo cuore, gli mostra i segni della passione. Tommaso non sfugge all’incontro con l’amore di Dio che lo interpella, tanto che la sua risposta è una professione di fede individuale, che non è sostituita da quella comunitaria ma la rende possibile: “Mio Signore e mio Dio!” (v. 28).
Infine, la sentenza conclusiva pronunciata da Gesù è rivolta a noi più che a Tommaso, il quale a questo punto del racconto ha già assolto alla sua funzione narrativa: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v. 29). Questa nuova beatitudine è stata pronunciata per noi, ma chi la scrive è Giovanni, il discepolo amato dal Signore, che appartiene alla cerchia di coloro che hanno visto e creduto, che hanno annunciato, proclamato e testimoniato ciò che è stato scritto “in questo libro… perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (v. 31).
C’è un dono che attende i discepoli in quello stesso giorno di Pasqua, sconvolto dall’annuncio della risurrezione. Ed è proprio dalle mani ferite di Gesù, dal suo costato squarciato dalla lancia che essi ricevono la pace. Questa pace è generata dal sacrificio di una vita, dall’offerta della propria esistenza. Non è, dunque, una pace a poco prezzo. Questa pace “mette in movimento”: diventa missione che spinge ad affrontare fatiche e difficoltà di ogni genere pur di portare dovunque il Vangelo.
I discepoli sono chiamati a compiere un itinerario per giungere alla fede pasquale: Tommaso è un simbolo eloquente. Non è stato facile per lui accettare quegli eventi drammatici che avevano tutto l’aspetto di una sconfitta definitiva. Ecco perché vuole vedere e toccare con mano. Nelle sue parole, “mio Signore e mio Dio”, c’è tutto il suo abbandono e la sua fiducia nel Crocifisso risorto. In quelle parole non c’è l’affermazione di un fatto storico, ma l’inizio di una relazione nuova in cui si offre al Cristo la propria esistenza perché sia rigenerata e trasfigurata dal suo amore.
Non è facile, Signore, accettare la strada che il Padre ha scelto per la salvezza dell’umanità: strada fatta di umiliazione, di rifiuto e di condanna, strada in cui il Figlio di Dio si è fatto uomo, assumendo la fragilità della nostra carne. Non è facile, Gesù, dopo averti visto inchiodato a una croce, ritrovarti vivo, risorto, dopo aver oltrepassato il tunnel angusto della morte. Come Tommaso, vogliamo essere disposti a compiere il percorso necessario per arrivare a te e affidarci al “mio Signore e mio Dio”.
Il Capocordata
Bibliografia consultata: Mino, 2022; Laurita, 2022.
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