Già prima della crisi del covid- 19 le caratteristiche del modello imprenditoriale italiano rendono quanto mai necessario “diventare grandi, restando piccoli”. Realizzare, quindi, collaborazioni interaziendali. Le molte modalità proposte nel corso degli anni non sempre hanno saputo incontrare i bisogni e le aspettative del mondo imprenditoriale. La rete di aziende, il contratto di rete, è l’unica formula, che ci piace chiamare il salva-aziende, destinata ad avere successo perché tiene conto delle caratteristiche del mondo a cui è destinata.
Da anni chi come noi si occupa di piccole imprese ha sentito parlare di accordi, di alleanze, di consorzi, di joint venture, ma, al di là della fortunata stagione dei distretti, ci sono stati pochi risultati pratici. Con il contratto di rete l’aria è cambiata!
Siamo finalmente di fronte a un successo , inaspettato, una crescita ininterrotta in anni particolarmente difficili come quelli che stiamo vivendo.
La legge del 2010, che ha istituito i contratti di rete, è uno dei rari casi in cui il legislatore ha riconosciuto le caratteristiche dell’agire imprenditoriale.
Ha costruito la legge guardando, appunto, agli imprenditori, alle loro tipicità, non pretendendo di cambiarli.
Quella del contratto di rete è una legge che “somiglia” agli imprenditori, una norma molto flessibile, snella. Credo che, per le aziende, non ci sia niente di meno burocratico del contratto di rete, quello che ci vuole per ripartire dopo questa maledetta crisi del Covid-19
Direi che l’ha confermato in positivo. Il contratto di rete ha incontrato la benevolenza degli imprenditori perché riconosce la loro autonomia. Chi fa l’imprenditore, infatti, è una persona decisamente individualista, altrimenti farebbe il dipendente. Il legislatore ha tenuto conto di ciò e ha costruito uno strumento molto snello che consente all’imprenditore di cooperare con i propri colleghi. L’azienda retista non perde quel senso di proprietà, di autonomia che è una sua caratteristica esistenziale. La legge, insomma, riconosce in positivo l’individualismo, il desiderio di autonomia dell’imprenditore e non lo costringe a diventare un manager, a tornare sotto padrone».
I contratti di rete che funzionano appaiono come un gruppo di pari, ma in realtà dentro quel gruppo c’è qualcuno – il manager di rete, il comitato di gestione – che tira le fila. Un contratto di rete parte bene se c’è un promotore, un agente provocatore, che si impegna e che ci crede un po’ più degli altri fin dall’inizio. Senza una figura di questo tipo, difficilmente i contratti di rete funzionano bene. Il contratto di rete, poi, funziona se attorno al tavolo si siedono persone vicine, non in senso amicale o territoriale, ma in termini di mentalità. Se si decide di costituire una rete, è meglio farlo con persone che hanno lo stesso ”modus” di vivere l’attività imprenditoriale. Occorre, infine, avere obiettivi molto chiari, circoscritti e ben condivisi. Le reti che funzionano nascono attorno a un’idea molto semplice che però poi può essere perseguita fino al raggiungimento dell’obiettivo. Il contratto di rete funziona se si muove per piccoli passi, senza pensare a mega progetti strategici.
Come accennavo prima, la rete non funziona quando l’obiettivo strategico non è sufficientemente chiaro o troppo ampio, generico. Mi sono imbattuto in casi di reti che non hanno funzionato perché non era stato sufficientemente definito e condiviso il motivo stesso per cui si faceva la rete. Un secondo elemento di criticità è l’assenza di regole chiare. In alcuni casi di insuccesso, ad esempio, non era stato designato il manager di rete, per cui tutti e nessuno risultavano responsabili. In altri casi non era stato disciplinato in modo adeguato il meccanismo di ingresso di nuove imprese nella rete e il meccanismo di uscita. Ancora, ho riscontrato la mancanza di meccanismi di rendicontazione interna della rete. Molte delle reti che ho avuto modo di analizzare, soprattutto le prime nate senza una partita Iva, per cui si è presentato fin da subito il problema di ripartire costi e ricavi della rete. Non avendo regolato tali meccanismi, sono sorte delle criticità. In generale, dunque, per funzionare una rete deve darsi obiettivi strategici chiari, regole di funzionamento certe e procedere con gradualità.
Tempo fa le pubbliche amministrazioni non riconoscevano il contratto di rete, ad esempio nelle gare di appalto, ma l’ultimo adeguamento della normativa ha risolto questo problema. Adesso anche i contratti di rete possono partecipare a gare di appalto. Le banche hanno lavorando sul rating di rete che facilita l’accesso al credito per le aziende costituitesi in reti d’impresa. Il terzo problema, anch’esso risolto, riguardava la partita Iva. L’adeguamento della normativa già nel 2014 ha stabilito che una rete, se vuole, può dotarsi di partita Iva. Ciò risolve il problema della fatturazione, della ripartizione dei costi».
Premesso che le reti che stanno funzionando sono quelle non generate da un opportunismo di breve periodo. Sono quelle con un forte orientamento alla progettualità innovativa e alla totale collaborazione fra le aziende retiste creando importanti economie di scala.
E’ fondamentale che gli imprenditori devono dedicare tempo, energie trovandosi attorno a un tavolo di confronto con altri colleghi traendo da questo molto giovamento. Ecco perché il contratto di rete può essere anche uno strumento adatto anche per gli imprenditori in difficoltà.
La rete può essere uno strumento “salvaziende” perché l’azienda non è mai sola ed è affiancata da altri imprenditori e da professionisti della rete che lo affiancano in tutte le strategie aziendali. La rete può efficacemente aiutare ad uscire dalla crisi che le tantissime aziende italiane stanno subendo in questo particolare momento. Crea un’impresa incentrata sull’innovazione, su quello dello sviluppo dei mercati esteri, su quello della scala dimensionale.
Domenico di Catania
Economista
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