Ogni tanto il fondamentalismo islamico torna ad affacciarsi nelle pagine della cronaca. Con una voce, in realtà, sempre più flebile – almeno in Italia, dove per fortuna non è mai stata esattamente stentorea. Un po’ come se i jihadisti avvertissero l’esigenza di ricordare al mondo la propria esistenza. Una galassia quiescente ma che, alla stregua di un vulcano, potrebbe prima o poi tornare ad eruttare.
Un piccolo segnale è venuto dall’Abruzzo, dove un’indagine quadriennale coordinata e diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo aquilana ha portato a 10 ordinanze di custodia cautelare e 17 iscrizioni nel registro degli indagati (oltre al sequestro di un milione di euro): tutti per reati tributari e di autoriciclaggio, con finalità di terrorismo. Dei dieci arrestati, otto sono tunisini e due italiani, tra cui una commercialista.
Secondo l’accusa, gli indagati si servivano di società intestate a prestanome per distrarre ingenti somme di denaro (in parte frutto di evasione fiscale) verso la Turchia, dove venivano utilizzate per finanziare l’attività dell’organizzazione radicale islamica Al-Nusra in Siria; ma parte di questi fondi foraggiava anche le iniziative di alcuni imam residenti in Italia, tra cui quello della moschea Dar Assalam di Martinsicuro, nel teramano, che figura tra gli arrestati ed era già stato condannato in via definitiva per associazione con finalità di terrorismo internazionale.
È in qualche modo interessante, pur nel suo delirio, la motivazione addotta in un’intercettazione da uno degli indagati per spiegare il proprio comportamento criminale: «Con loro che uccidono i nostri figli, noi uccidiamo i loro figli, con loro che uccidono le nostre donne, noi uccidiamo le loro donne».
Una dichiarazione d’intenti significativa non tanto per la farneticazione in sé, quanto perché c’è una parte di Occidente affetta da cupio dissolvi che la pensa esattamente allo stesso modo. È quell’Occidente che ha rinnegato le proprie radici e i propri valori annegandoli in un terzomondismo ridicolo perché centrato solo sugli aspetti che si scontrano con la grande tradizione della civiltà europea, greco-romana, giudaico-cristiana.
L’Occidente di Carola Rackete, che considera un merito essere un migrante e una colpa essere ricca, colta e tedesca. Un Occidente che sta fagocitando se stesso, nutrendo nel suo seno i germi che potrebbero decretarne la distruzione.
Quell’Occidente contro cui si era scagliata una grandissima dei nostri tempi come Oriana Fallaci, moderna cassandra le cui scomode verità vennero schernite dagli antropologicamente superiori salvo poi rivelarsi fin troppo tangibili. Perché la crisi in cui versa l’Occidente è soprattutto una crisi d’identità, che non si può superare se non tornando a quell’orgoglio per i princìpi fondanti della nostra cultura a cui continuano a richiamare le opere della scrittrice fiorentina – pena la nefasta trasformazione in Eurabia.
Il vuoto valoriale, infatti, è proprio lo spazio in cui prospera l’estremismo islamico: il quale, dal canto suo, gli ideali (benché malati) in cui crede li tiene sempre, costantemente, minacciosamente innalzati.
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