Categorie: Cronaca

Il tesoro di Artena tra Volsci e Romani

Spostandoci verso sud giungiamo ad Artena la cui posizione era da considerarsi sicuramente strategica poiché consentiva il controllo dell’area in cui convergevano i due corridoi che svolgevano la funzione di naturale via di passaggio al Lazio meridionale interno e al litorale tirrenico. Poche ma importanti testimonianze archeologiche evidenziano una prima occupazione del territorio e dell’utilizzo dell’area risalenti all'età del bronzo; infatti negli scavi condotti da una missione archeologica belga è stata rinvenuta, una piccola ascia in pietra vulcanica, una punta di freccia di selce, frammenti di industria litica, una fibula bronzea proveniente da un contesto funerario.

I primi segnali dell’occupazione della zona, individuata in specifico sul Piano della Civita, sembrano risalire al VII-VI sec. a.C., anche se è solo all'età tardo-arcaica, quindi fine VI e inizio V sec. a.C., che risalgono le tracce più importanti mostrate dalla zona. Artena e l’area di Piano della Civita si trova sull’estremità settentrionale dei Monti Lepini, brulli monti che fanno parte dei Monti Volsci e proseguono il rilievo dei Colli Albani fino alle soglie della Campania creando, assieme ai monti Ernici che sorgono di fronte, la Valle del Sacco che, appunto, era attraversata dell'antica Via Latina.

Alcuni frammenti di terrecotte architettoniche, portati alla luce nel corso degli scavi, confermano la datazione in quanto sono riconducibili al periodo che si pone tra il regno di Tarquinio il Superbo e l'instaurazione della repubblica dopo la sua cacciata nel 509 a.C.. Dalle campagne di scavo condotte nell’area del Piano della Civita è emersa, infatti, la presenza di un villaggio distribuito su tutto il pianoro a macchia di leopardo che, però, venne abbandonato agli inizi del III sec. a.C.; in questo periodo venne improvvisamente dismesso mentre tutta l’area iniziò ad essere “monumentalizzata” ad iniziare dalla costruzione di una imponente cinta muraria in opera poligonale secondo l’antico principio di fortificazione elementare che consisteva nel semplice rinforzamento delle difese naturali del luogo.

Le mura si sviluppano per una lunghezza totale di 2520 metri e seguono il ciglio del pianoro naturale, hanno uno spessore di circa 2 metri, con blocchi di calcare reperiti in loco non perfettamente rifiniti nelle giunture e sovrapposti gli uni agli altri a formare un profilo esterno che anticamente doveva toccare circa 5-6 metri di altezza.

Il Piano della Civita è situato a circa 2 km a sud della moderna cittadina di Artena che fino all’unità d’Italia recava il nome di Montefortino; solo successivamente, nel 1873, il suo nome fu mutato in Artena sulla base delle teorie dell’archeologo Nibby secondo il quale il centro altro non era che l’erede dell’antica Artena romana menzionata da Tito Livio, nella sua opera Ab Urbe Condita, come Volscorum Oppidum cioè città fortificata dei Volsci. In realtà non è così scontato poichè quella del Nibby, secondo gli studiosi successivi sembrerebbe essere la teoria meno plausibile benchè le origini ma soprattutto l’antico nome dell’attuale Artena e della città che sorgeva sul Piano della Civita è ancora avvolto dal mistero.

Tito Livio descrive l’assedio di Artena descrivendone anche la caratteristica conformazione topografica che, secondo gli addetti ai lavori, porterebbe ad escludere l’identificazione dell’antica con la nuova Artena poiché l’arx cioè la rocca risulta essere separata dalla città. 

Una seconda tesi collega il precedente nome di Montefortino al centro romano di Fortinum, connettendolo alla città dei Fortineioi (abitanti di Fortino), menzionata da Dionigi di Alicarnasso nell'elencare le città e i relativi popoli d'origine latina che intorno al 500 a.C. si riunirono per organizzare lo scontro con Roma. 

I Volsci, effettivamente, occuparono i territori dall'Abruzzo fino alla media e basse Valli del Liri e del Sacco, fondarono nell’entroterra i principali centri di Sora, Arpino, Fregellae, Aquino, Atina, Cassino e Frosinone e successivamente si inoltrarono verso i Colli Albani ed il mare dove stabilirono Anzio come loro capitale entrando così in conflitto con i Latini e con i Romani. I ritrovamenti di materiali di origina volsca, tuttavia, sono estremamente rari e si tratta di reperti afferenti soprattutto a sporadiche necropoli. 

Le risultanze degli scavi effettuati sul Piano della Civita e le ricerche nel territorio limitrofo orientano, però, verso l’attribuzione di un sito prevalentemente latinizzato; alcuni reperti rinvenuti recano iscrizioni in alfabeto latino, le iscrizioni su di un fondo di ciotola in argilla databile alla fine V sec. inizi IV sec. a.C. proveniente da Crepadosso su di un peso da telaio rinvenuto al Piano della Civita, su un orlo di dolio rinvenuto a S. Giudico nell’attuale territorio di Valmontone; sono tutti indizi che farebbero propendere verso una origine non volsca dell’insediamento pur non dissolvendo le nebbie del mistero sull’identità del sito. C’è, tuttavia, un altro mistero da sciogliere, quello dell’abbandono repentino dell’area più antica, appunto la zona di Piano della Civita; abbandono al quale è seguito un graduale e diverso sfruttamento dell’area sotto l’aspetto agricolo.

Intorno alla fine del secolo scorso è stata rinvenuta una villa romana della quale si era solo intuita l’esistenza; finora sono stati scavati più o meno 1750 mq della villa, la cui estensione totale non è ancora conosciuta. 

Dopo questa fase di occupazione, sembra che l'area sia stata definitivamente abbandonata come luogo di abitazione o di attività collegate ad essa, infatti un ampio strato di terra nera si forma su tutto lo spazio della terrazza dando adito all’ipotesi secondo la quale questo strato rappresenti la sedimentazione conseguente alla messa in coltura del campo. La stessa villa venne sottoposta ad una serie di trasformazioni, spesso demolitive, che vanno dal suo utilizzo come cava di materiali alla costruzione su di essa di altro edificio, ultima traccia materiale lasciata da chi frequentava ancora la terrazza nell’Alto Medioevo. Si tratta di un monumento costituito da una piattaforma leggermente trapezoidale che misura circa 4 ×5 metri e del quale, finora, non è stato ancora possibile dare una interpretazione sicura di questa struttura unica nel suo genere sul territorio di Artena.

Nel corso degli scavi sono state rinvenute tre monete di Valentiniano III, oltre a un piccolo tesoro rinvenuto e costituito da quattro monete d’oro. Chiaramente in questa sede, per ovvi motivi, non è possibile disquisire in modo ampio di tutti i rinvenimenti e dei reperti venuti alla luce nel territorio di Artena così come dei particolari della storia di Artena per la cui trattazione si rimanda alla pubblicazione più completa ed esaustiva di un libro.

Redazione

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