Religione

Il Vangelo di Gesù: chiamati alla conversione

Il vangelo di Gesù

Oggi ascoltiamo l’inizio del Vangelo di Marco (Mc. 1, 1-8), questo testo antichissimo, primo tra i quattro vangeli. E’ un inizio di tutto rispetto, che introduce il protagonista della sua opera e, insieme, la materia: “l’evangelo”, la buona notizia, l’annuncio gioioso di Gesù Cristo, figlio di Dio: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (v. 1). Il titolo potrebbe sembrare apparentemente banale, invece è l’inizio della buona notizia, il principio, l’origine. “Vangelo”, infatti, prima che essere un genere letterario, era un fatto, un annuncio legato alla persona che lo ha portato, Gesù di Nazaret, qui contraddistinto da due titoli: “Cristo”, ossia il messia, colui che ha il compito di reggere il popolo di Israele, il re legittimo che compie il mandato di Dio; e “Figlio di Dio” che, invece, è un titolo personale e dice la natura relazionale di Gesù, la sua appartenenza.

Gesù, presentato come Messia, è “anche” Figlio di Dio, titolo che sotto la croce, sulle labbra di un centurione pagano (15, 39), compirà la rivelazione dell’identità del Nazareno. Questo esordio così succinto, però, non contiene altre informazioni, invitando il lettore a scoprire il “come” di quella singolare identità nel corso del racconto.

L’ultimo dei profeti

L’esordio dell’azione è invece in un deserto, dove, sotto l’ala protettrice della profezia dell’A.T., un precursore del protagonista gli prepara la scena: si tratta di Giovanni il Battista. Per Marco, infatti, non ci sono racconti della nascita (i vangeli dell’infanzia) che troviamo in Matteo e Luca: l’inizio dell’azione narrativa è la predicazione di Giovanni e tutto comincia con il battesimo di penitenza da lui predicato. La citazione di Isaia (40,3) funge da chiave interpretativa degli eventi a seguire, perché colloca Giovanni e Gesù nel rapporto di messaggero e servo del Signore: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore” (v. 3).

Una voce che grida nel deserto

Per “visualizzarla” e metterla in atto ancora più plasticamente, Giovanni è davvero presentato al lettore come “una voce che grida nel deserto”, invitando gli uomini a prepararsi alla venuta del Signore.

Giovanni invita alla conversione con un gesto che introduce, nell’aridità del deserto, un antitetico zampillo di acqua, quell’acqua del fiume Giordano che sentiamo risuonare di scrosci e vitalità. A questo punto anche tutti gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme entrano sulla scena, finora dominata dal profeta solitario e convergono verso di lui: “Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme” (v. 5). Giovanni è qualificato attraverso l’abbigliamento e le sue consuetudini, con i tratti tipici del profeta Elia, colui che proprio oltre il Giordano fu rapito in cielo: “Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico” (v. 6).

Il Battista, dunque, presentato alla luce delle Scritture come colui che prepara la strada, non parla di sé, è orientato a Gesù, gli prepara la via presentandolo come “colui che è più forte di me” (v. 7). Con le sue parole egli fa spazio a un altro, annunciando qualcuno che va oltre il suo presente e la sua stessa missione: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo” (vv. 7-8).

L’arrivo dello sposo

Anche Gesù, come il Signore Dio nell’A.T., è presentato implicitamente come il detentore della forza; il suo profilo è insieme definito e vago, ma crea grande attesa, in particolare per il riferimento allo scioglimento dei lacci dei sandali, spesso spiegato riduttivamente come un’affermazione di umiltà da parte di Giovanni. In realtà il significato dell’espressione è ben più profondo e va fondato addirittura nel diritto matrimoniale.

Se Giovanni Battista avesse preteso di sciogliere i sandali a Gesù, avrebbe guadagnato i diritti di Gesù: l’identità messianica, la Chiesa e la comunità dei discepoli. Invece il Battista riconosce la propria indegnità nello sciogliere i sandali, perché non è lui il detentore del diritto, quindi non usurpa il diritto di Gesù a essere il primo e l’unico sposo. La priorità di Giovanni è apparentemente cronologica, ma quella di Gesù Sposo è fondata sul diritto. Egli lo sa bene e dichiara apertamente a chi volgere lo sguardo e chi attendere, compiendo la propria missione fino in fondo in un’autentica libertà interiore.  

Un appello alla conversione

Ci fa bene la determinazione del Battista che dice la necessità di scelte coraggiose, senza tergiversare in mille rivoli di indecisione. Spianare un colle o addirittura una montagna (fatta di superbia e di orgoglio), riempire una valle (fatta di paure e angosce), trasformare un terreno accidentato (fatto di ipocrisie), non sono operazioni veloci, automatiche, ma allo stesso tempo solo iniziandole potranno essere portate a termine. Giovanni Battista ci insegna l’audacia di iniziare un cambiamento, lo slancio di una cesura, la necessità di una interruzione.

Il grido di Giovanni Battista veicola un messaggio scomodo, perché invita a convertirsi, a cambiare noi stessi. Il male, quello più pericoloso, non è quello che ci raggiunge dall’esterno, ma quello che si annida nel nostro cuore. Ognuno, quindi, è invitato a partire da lì: dal suo cuore, dalla sua coscienza, dalle sue responsabilità, dal suo peccato. Entrare nel fiume Giordano e farsi battezzare vuol dire che anch’io ho peccato, anch’io ho permesso a sentimenti cattivi di attecchire dentro di me, anch’io sono stato fragile, debole, infedele. Ma vuol dire anche rivolgere a Dio un’invocazione di aiuto, perché solo lui può fare l’impossibile e cioè cambiare il cuore dell’uomo e della donna, aprirlo a una vita nuova, destare sorgenti inaudite di fraternità e di giustizia.            

Il capocordata.

Bibliografia consultata: Guida, 2020; Osto, 2020; Laurita, 2020.

Redazione

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