Cronaca

Il vino di una volta: papà la chiamava uva francese…

Le mattine di primavera che si affacciavano all’estate iniziavano molto presto in paese, nella mia Mardimago (Rovigo). Papà in quelle domeniche preparava le botti di verderame e io, all’età di 9 anni, lo accompagnavo nelle campagne guidando il piccolo trattore. Piano piano, dovevamo annaffiare, ogni 15 giorni, per prevenire malattie e preservare così le uve, circa un ettaro di vigneti adibiti a Raboso, Merlot, Clinton e un’uva dolce con gli acini piccoli, dorati e dolci da mangiare, che papà chiamava uva francese. Spesso gli chiedevo che uva fosse e perché non avesse un nome, probabilmente si trattava di Chardonnay.

Arriva la vendemmia

Il tempo della vendemmia poi arrivava presto, molto presto ed era sempre una festa. Io, papà Adriano, mamma Maria, nonno Antonio, nonna Ida e mio fratello Antonio, iniziavamo la raccolta a metà settembre con l’uva francese per poi proseguire, di domenica in domenica con il Merlot, Clinton e Raboso.

La raccolta delle uve avveniva in cesti di legno e contenitori di plastica, senza ammassarle per non far partire una fermentazione spontanea con perdita di profumi e sostanze organolettiche, trasportandole subito presso la nostra cantina, dove le uve venivano passate alla diraspatrice e successivamente torchiate, cercando di avere un mosto quanto più possibile vicino e uguale alle profumazioni delle uve vendemmiate.

Ecco com’era la civiltà contadina

La nostra famiglia apparteneva alla civiltà contadina, della quale per me oggi è un onore far parte, e la tradizione imponeva che tutto venisse fatto in casa, dalla pasta, ai dolci al pane, alle verdure, così come le mucche e i maiali da accudire e l’asino che ci aiutava ad arare e tornando alle uve, la cantina era d’obbligo. Tutte le varie fasi della vinificazione, dalla fermentazione alcolica, ai vari travasi dal cemento alle botti in legno erano seguite da mio nonno e mio padre, vinaioli puri e autentici, grandi conoscitori delle fasi lunari e dei tempi tecnici della vinificazione ai quali di tanto in tanto facevo compagnia sbirciando incuriosito i loro molteplici assaggi in cantina, precedenti all’imbottigliamento dei vini.

Vini che venivano venduti ad amici e conoscenti, talmente buoni da essere conosciuti un po’ dappertutto nei paesi limitrofi e, chiaramente tra i produttori si faceva a gara a chi faceva il vino più buono scambiandolo per le varie degustazioni familiari.

Il vino non lo compravi, te lo facevi

In quel periodo, riferito agli anni ’70, ’80, non vi era la possibilità di comperare vini nelle enoteche, non esistevano da noi, ognuno beveva il suo o quello dei vari produttori vicini.

Non esistevano adulterazioni, con l’uva raccolta si facevano i vini, utilizzando magari un po’ di bisolfito per far partire e preservare il mosto d’uva, ma nulla di più. Stava poi alla capacità e alla sapienza contadina e non ai maghi del settore, gli enologi odierni, controllare giorno dopo giorno lo stato dei vini.

Vini estremamente naturali e biologici che avevano un inizio e una fine, come in tutte le cose del resto, principalmente pensando alla natura intorno, cercando di preservarla quanto il più possibile e salvaguardando la salute di ognuno di noi.

“Il vino naturale non c’è più…”

Oggi invece, sembra che tutto ciò fatto precedentemente dalla nostra civiltà contadina non vada più bene, tutto diventa discutibile. A tal proposito, in una delle ultime interviste effettuate ad uno dei massimi esperti di enologia, il Prof. Riccardo Cotarella, enologo e presidente dell’associazione Assoenologi, lo stesso ha dichiarato che il vino naturale non esiste più.

Secondo l’esperto la scienza è alla base di tutto, non è un’arte fai da te, l’uva non nasce da sola, il vino non nasce da solo ma ha bisogno della mano e della conoscenza umana. La natura ci ha dato l’uva per due scopi, per mangiarla o per fare l’aceto, servono quindi enologi, agronomi, e persone capaci di fare vini sempre migliori e privi di errori.

Report, la trasmissione di Rai 3 parla di vini

E Report cosa dice, beh secondo loro i vini ormai sono tutti standardizzati, attraverso varie aggiunte di lieviti si possono ottenere vini uguali e prestigiosi anche se provenienti da parti del mondo diverse, facendo venire meno la territorialità. Vini quindi uguali, anno dopo anno, con la medesima gradazione alcolica e stessi profumi e sapori, attraverso l’uso sapiente della chimica in cantina da parte degli enologi.

Da tempo ormai è in atto una guerra a viso aperto tra tv, testate giornalistiche, trasmissioni varie, atte a mortificare le cantine vitivinicole, facendo passare il messaggio, di visione europea, che il vino faccia male. Nel 2021, la Commissione Beca (Beating Cancer) ha presentato alla Commissione europea, all’interno del “Piano anticancro”, uno studio nel quale risulta non ci sia alcun spazio per gli alcolici, nemmeno per il vino, volendo introdurre etichette di avvertenza sanitaria, come si fa per le sigarette, con divieto di pubblicità, sponsorizzazione a livello sportivo, revisione delle politiche di promozione ed aumento della tassazione.

Caccia alle streghe

Da tempo ormai ascoltiamo nei programmi televisivi, social e media, persone che di vino vogliono parlare anche se poco o nulla conoscono, parlano e disquisiscono per confutare le loro tesi inquisitorie alla Tomàs de Torquemada, promuovendo il concetto che i vini fanno male.

La mia esperienza in qualità di appassionato e assaggiatore di moltissimi vini, anche in qualità di Sommelier AIS, mi porta ad avere una visione e un approccio diverso da tutti i vari inquisitori social-media. Sono sicuro che ogni eccesso e abuso di qualsiasi cosa possa far male, dal medicinale al cibo, ma prima di disquisire bisogna necessariamente ascoltare e approfondire le parti in causa. Dobbiamo valutare pro e contro, in uno sano dibattito, senza dare vita anticipatamente a una caccia alle streghe.

Le qualità del vino biologico

Sono testimone che moltissimi vini biologici, biodinamici, ancestrali o tradizionali, sapientemente vinificati nelle nostre tantissime cantine italiane siano vini unici e non ripetibili, ogni annata è diversa dall’altra per colori, perlage, profumi, intensità, gusto, persistenza, o equilibrio, come ad esempio i vini piemontesi di Claudio Mariotto, i vini friulani della cantina Rauscedo, i vini siciliani della Tenuta dello Jato, i vini veneti della cantina Antonio Facchin, i metodi classici della cantina I Barisei in Franciacorta, i vini pugliesi della cantina Erario o i vini abruzzesi della Tenuta Micoli.

Vorrei concludere con una massima di Antonio Facchin, capostipite della Cantina Antonio Facchin & Figli in San Polo di Piave (TV), scomparso ad ottobre dell’anno scorso all’età di 96 anni e con il quale mi piaceva parlare dei suoi vini, della sua storia ed esperienza, spesso mi diceva, “ara Marco, mi non bevo acqua ea fa mae, ea smarza i pai, bevo soeo Baruchea e Proseco e me sento ben e queo ca bevemo mi, me fioi e me neodi eo fasemo bevare anca ai amighi e clienti” (vedi Marco, io non bevo acqua, fa male, distrugge i pali, bevo solo Baruchella e Prosecco e mi sento bene e quello che io e i miei figli beviamo lo facciamo bere a tutti i nostri amici e clienti)… Grazie Antonio, per le sue pillole di saggezza, ci mancherà.

Marco Bordon

Laureato in Economia e Commercio presso l'Università degli studi di Bologna e in Marketing e Management presso l'Università degli studi di Chieti/Pescara. Sommelier AIS, Vice delegato provinciale Ais e Responsabilità comunicazione Ais provincia Frosinone. Revisore dei conti presso Pontificia Academia Cultorum Martyrum.

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