Come si dice: a futura memoria.
L’errore da non fare, nel caso del Global Compact, è discuterne per come è strutturato adesso. Perché questa – e ci sarà modo di verificarlo negli anni a venire – è solo la versione iniziale. Che al pari di tanti altri casi ostenta un atteggiamento ‘soft’ (a proposito: vi dice niente l’espressione ‘soft power’? Se la risposta è no prendetevi un minuto e andate a vedere, online, di che cosa si tratta) allo scopo di nascondere i suoi veri obiettivi sotto un involucro rassicurante. Nulla di obbligatorio, per ora. Solo una serie di linee guida imperniate sulla collaborazione volontaria, sul mutuo sostegno, sulla programmazione anticipata.
Il messaggio sottinteso è quello tipico delle organizzazioni sovrannazionali, dalle entità politiche come l’ONU o la UE alle strutture economiche come l’FMI, il Fondo Monetario Internazionale, o il WTO, la World Trade Organization: esistono problemi planetari ed è logico gestirli insieme. Logico, razionale, conveniente.
Come riporta l’Agi – in un riepilogo sul tema che si presenta come un distaccato ‘fact checking’ ma che ha proprio il limite di appiattirsi sul testo odierno e di non fare neanche l’ombra di un accenno sulle sue prospettive future – il punto 7 del Preambolo definisce il Global Compact con queste parole: una “piattaforma non vincolante (…) che favorisce la cooperazione internazionale tra attori rilevanti circa la migrazione, riconosce che nessuno Stato può affrontare il fenomeno migratorio da solo, conferma la sovranità degli Stati e le loro obbligazioni in base al diritto internazionale”.
A prima vista sembrano affermazioni di puro buon senso. Ma intanto fissano un paletto che in seguito tornerà utile, anzi indispensabile, per passare dai suggerimenti alle pressioni. Che, a loro volta, sono l’anticamera delle imposizioni. Il principio, buttato lì come un dato lapalissiano che non ha bisogno di essere argomentato, è che “nessuno Stato può affrontare il fenomeno migratorio da solo”.
Su un altro versante – che è ovviamente diverso ma che rientra nella medesima strategia, che è quella di un annullamento progressivo delle sovranità nazionali – è lo stesso cardine sui cui vengono fatti ruotare i vincoli di carattere finanziario. Dalle banche centrali che battono moneta, apparentemente per conto degli stati ma in realtà al posto degli stati, ai parametri di Maastricht cui devono sottostare le nazioni che aderiscono all’euro, a cominciare dal rapporto deficit/PIL di cui tanto si è parlato in questi ultimi mesi riguardo alla Manovra del governo Conte.
Per un quotidiano a vocazione territoriale come il nostro possono sembrare discorsi troppo lontani dalla vita concreta di chi ci legge per essere informato, appunto, su ciò che succede nel Lazio. O al massimo in ambito nazionale.
Ma la verità è ben diversa: non c’è niente di più pericoloso, per le realtà locali, delle decisioni globali. Che ufficialmente vengono prese nell’interesse di tutti. Ma che di fatto sono stese segretamente, e subdolamente, come ragnatele in cui tutti ci ritroveremo imprigionati, o prima o poi.
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