A Roma i parenti dei detenuti del carcere di Rebibbia stanno bloccando la via Tiburtina. Dal carcere di Modena in rivolta arriva la notizia di sei detenuti deceduti per overdose, mentre da quello di Foggia, giungono in redazione le immagini degli uffici devastati e incendiati, prima dell’evasione di 300 detenuti. A Roma i parenti dei detenuti del carcere di Rebibbia stanno bloccando la via Tiburtina.
Le strutture che assicurano la vita dello Stato, come gli ospedali e la sanità, la detenzione e la legalità, sembrano crollare sotto l’epidemia di un virus che non è altamente mortale ma è enormemente pericoloso per il tessuto sociale e la tenuta economica del paese. Abbiamo parlato con Giuseppe Moretti, presidente USPP, Unione dei Sindacati di Polizia Penitenziaria.
“La questione del coronavirus è stata strumentalizzata per mettere in atto una ribellione. Possiamo anche considerare Le proteste dei detenuti come legittime, ma la situazione è in qualche modo paradossale perché le misure che dicono di respingere perché dannose per loro, sono invece state messe in atto proprio in vista della loro tutela. Consideriamo anche che le scuole sono chiuse e se i bambini vanno in visita ai colloqui, possono essere un pericoloso veicolo di contagio. Non possiamo davvero permettere un contagio nelle carceri in questo momento, e queste misure servono a scongiurarlo”
Eppure è stato comunicato loro che potranno intrattenere colloqui con i familiari attraverso le piattaforme virtuali come Skype…si tratta di un periodo, anche se mi rendo conto che per chi è dietro le sbarre sia più difficile accettare ulteriori restrizioni e contenimenti allo spazio corporeo.
“Stiamo lavorando alla situazione, sembra ci siano detenuti sui tetti del carcere di Regina Coeli, ieri ci sono state delle proteste inscenate dalle famiglie di detenuti a Rebibbia. In questo momento da Rebibbia sappiamo che i detenuti stanno incendiando materassi, provengono grida dal carcere. Sono notizie di questi ultimi minuti, stiamo lavorando”.
C’è qualcosa che non comprendiamo negli elementi che provengono da Modena: sei detenuti sarebbero deceduti per overdose mentre era in atto una protesta contro le restrizioni dovute alla necessità di arginare la diffusione del Covid-19. Cosa sta succedendo secondo le sue fonti?
“Anche a noi è giunta questa notizia dal carcere di Modena, ma ancora non possiamo confermarla. La spiegazione più plausibile potrebbe essere relativa a detenuti tossico dipendenti, che durante la rivolta, avrebbero trovato il modo di accedere alla sala dove sono custoditi dei medicinali. Ripeto, non so dirle se questa notizia è attendibile. Il problema delle carceri è molto più profondo e complesso, quello a cui si è arrivati ora, è solo l’ultimo aspetto più evidente.
La polizia penitenziaria lavora da tempi con carenza di unità, mentre le carceri sono in condizioni di estremo sovraffollamento. A seguito di sentenze europee lo Stato italiano ha dovuto assumere modelli di custodia in carcere cosiddetti ‘aperti’. Mentre prima i detenuti erano chiusi per gran parte del tempo nelle loro celle, ora avviene esattamente il contrario. La maggior parte del tempo sono fuori dalle celle dove dormono. E dato che le attività ricreative, di lavoro e di recupero non sono sufficienti per tutti, proprio per il sovraffollamento, spesso oziano o passeggiano per corridoi. Questo ha reso più facile per loro aggregarsi, e dare forma alle proteste che vediamo”.
Potremmo dunque affermare che l’emergenza sanitaria sta solo scoperchiando un tragico vaso di Pandora moderno, fatto di sovraffollamento carcerario, carenza di personale penitenziario, di norme di civiltà per chi sconta una pena e per chi vigila su chi la sconta; norme che mancano nella nostra società anche in tempi di “normalità”.
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