Farmaci contro il Covid, la buona notizia è che ci sono e ce ne sono sempre di più. Abbiamo chiesto al dottor Mauro Zaccarelli, infettivologo dell’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, di spiegarci quali sono e quali differenze si riscontrano nei soggetti affetti da Covid-19, nella primavera del 2021, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
“L’anno scorso in questo stesso periodo non avevamo un vaccino, si trattava di una nuova malattia di cui non conoscevamo sintomi, letalità, cure. Non c’erano tanti farmaci come ci sono adesso. L’epidemia è stata violenta soprattutto nei mesi di marzo e aprile, nel nostro paese. La peggiore fase è durata tre mesi, poi a fine maggio abbiamo registrato un netto calo di casi e decessi un po’ come sta succedendo adesso. Però la mortalità era molto alta perché non avevamo né le conoscenze né i farmaci che abbiamo ora”.
“Oggi abbiamo un protocollo standardizzato molto prezioso. L’unico antivirale approvato è il Remdesivir. Nel protocollo sono previsti farmaci cortisonici, antinfiammatori come il baricitinib e anticoagulanti. Però sono stati utilizzati anche tantissimi altri farmaci, ma solo in via sperimentale come gli anticorpi monoclonali che si sono rivelati molto importanti all’interno del sistema terapeutico. Si utilizzano nei pazienti meno gravi, durante le prime fasi dell’infezione, ma in coloro che sono a rischio di ricovero o peggioramento.
C’è una mole enorme di nuovi farmaci ma hanno tutti benefici relativi e non ancora ufficializzati da studi comprovati. Il plasma secondo un recente studio non serve quasi a nulla, eppure a noi, sul campo, sembrava aver dato buoni risultati, seppur solo in qualche paziente. Ci sono anche farmaci biologici, che vengono usati in condizioni particolari richiedendoli alla casa farmaceutica al di fuori dei protocolli ufficiali. In ogni caso non possediamo una terapia approvata e definitiva”.
“Quest’anno la situazione è quindi molto diversa. L’epidemia nella seconda ondata è durata da ottobre a marzo, quindi spalmata su un tempo più lungo ma con casi più diluiti. Anche la concentrazione geografica è mutata. Durante la prima ondata avevamo un’epidemia gravissima al Nord con pochi casi al Centro-Sud. In seguito abbiamo avuto una seconda ondata con una diffusione più omogenea in tutta Italia. Nella seconda ondata avevamo ormai uno standard che sapevamo poteva funzionare nella maggior parte dei casi. Il Remdesivir e tanti nuovi farmaci che hanno aiutato molto. Dopo la prima ondata i posti letto nei reparti di rianimazione sono raddoppiati e con la distribuzione si è arrivati ad una percentuale critica del 35-40%. Non si è mai andati sopra questa percentuale riuscendo a contenere la situazione. Inoltre il vaccino, somministrato da gennaio a persone anziane e fragili è stato fondamentale. Abbiamo continuato a ricoverare pazienti ma mediamente erano più giovani e solitamente meno gravi, dunque con meno probabilità di decesso.
Il vaccino ha ridotto moltissimo la mortalità, mortalità già ridotta in questa seconda fase rispetto alla prima ondata. Con il vaccino andremo incontro ad un calo di casi gravi. Abbiamo attualmente più di venti milioni di vaccinati, in estate almeno due terzi della popolazione sarà vaccinata, soprattutto nelle fasce a rischio. Speriamo che a settembre i casi saranno sporadici e occasionali. Non possiamo fare previsioni ma dovremmo avere ondate invernali meno importanti. Confidiamo che non emergano nuove varianti aggressive. Quelle inglesi, brasiliana e indiana sembrano essere al momento gestibili”.
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