“Influencer? Un lavoro da schiavi e usurante”: la provocazione di Paolo Crepet
“Gli influencer sono lavoratori costantemente sotto pressione per mantenere un certo standard e seguire le direttive dei brand con cui collaborano. Non c’è libertà”
Nel mondo iperconnesso, il ruolo degli influencer è diventato sempre più centrale. Tuttavia, non tutti vedono questa nuova forma di celebrità e lavoro come un successo personale o professionale. Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet ha recentemente lanciato un’accusa forte: considera il lavoro dell’influencer come uno dei più usuranti, addirittura paragonandolo a una forma di “schiavitù moderna”. Parole che hanno sollevato un dibattito acceso, mettendo in luce le ombre di una professione apparentemente scintillante, ma che nasconde complessità psicologiche e sociali.
Gli influencer: vita da star o schiavitù digitale?
Per molti, diventare un influencer sembra un sogno realizzato. Vantaggi economici, viaggi lussuosi, inviti a eventi esclusivi e, soprattutto, un pubblico di milioni di follower che pendono dalle proprie labbra. Tuttavia, Crepet sottolinea come dietro questa facciata glamour si nasconda una pressione costante, alimentata dal bisogno di essere sempre presenti, aggiornati e rilevanti. “Un lavoro da schiavi”, lo definisce, poiché l’influencer vive in una continua esposizione mediatica, dipendendo dall’approvazione dei follower e dalle partnership commerciali che ne alimentano il successo.
Essere un influencer significa, spesso, vivere sotto l’assillo dei numeri: like, commenti, visualizzazioni. Ogni contenuto pubblicato è una performance, ogni foto o video deve essere accuratamente studiato per massimizzare l’engagement e mantenere alto l’interesse del pubblico. Questo crea un circolo vizioso in cui l’influencer si sente costretto a produrre contenuti incessantemente, con l’ansia di perdere follower o contratti con i brand. “Quello che inizialmente può sembrare un’attività libera e creativa si trasforma velocemente in una gabbia d’oro”, afferma Crepet, “dove il lavoro non finisce mai e l’autenticità si perde a favore della performance continua”.
La salute mentale degli influencer sotto i riflettori
Crepet, come psichiatra, pone particolare attenzione agli effetti psicologici che questa costante pressione ha sui giovani influencer. Studi recenti mostrano come un numero crescente di questi professionisti soffra di ansia, depressione e burnout, problemi che derivano dalla costante preoccupazione di essere giudicati, dall’ossessione per i numeri e dalla necessità di mantenere una vita perfetta e invidiabile. Il mondo degli influencer, secondo Crepet, è particolarmente esposto alla sindrome del “never enough”, ovvero quel senso di insoddisfazione e inadeguatezza che deriva dal costante confronto con gli altri.
Gli algoritmi dei social media, che determinano quali contenuti vengono mostrati, spingono gli influencer a competere in modo incessante. Ogni post deve generare engagement, ogni story deve catturare l’attenzione, ogni collaborazione con un brand deve essere perfetta. Questo meccanismo, secondo Crepet, porta a una forma di alienazione: l’influencer diventa schiavo del suo stesso personaggio e dei numeri che generano reddito, senza mai poter staccare la spina.
Le dinamiche economiche: la dipendenza dai brand
Oltre all’aspetto psicologico, Crepet si sofferma sulle dinamiche economiche del lavoro da influencer, definendolo un sistema che genera “schiavi del marketing”. Molti influencer di successo, infatti, dipendono pesantemente dalle collaborazioni con i brand, che spesso dettano linee guida stringenti sui contenuti da pubblicare. Questo rende il lavoro apparentemente autonomo degli influencer molto più controllato e vincolato di quanto si pensi. “Sono lavoratori costantemente sotto pressione per mantenere un certo standard e seguire le direttive dei brand con cui collaborano. Non c’è libertà in questo, solo la necessità di soddisfare aspettative sempre più alte”, afferma Crepet.
Il rischio maggiore è che l’influencer perda la propria autenticità e originalità, finendo per trasformarsi in una sorta di vetrina pubblicitaria ambulante. Gli utenti dei social media sono diventati sempre più consapevoli di queste dinamiche, e la percezione degli influencer è cambiata: da modelli di ispirazione a figure spesso criticate per la loro superficialità o eccessiva dipendenza dalle collaborazioni commerciali.
Un lavoro per pochi, ma un sogno per molti
Nonostante le critiche, Crepet riconosce che il lavoro dell’influencer rimane un sogno per molti giovani. La promessa di fama, indipendenza economica e successo senza dover seguire il tradizionale percorso educativo o professionale affascina un’intera generazione. “Il vero problema”, continua Crepet, “è che troppi giovani vedono questa come l’unica via di realizzazione personale, senza considerare le implicazioni a lungo termine o le difficoltà psicologiche”.
Il fenomeno degli influencer è esploso negli ultimi dieci anni, alimentato dalla crescita esponenziale di piattaforme come Instagram, YouTube e TikTok. Oggi, sempre più ragazzi aspirano a diventare star dei social media, attratti dall’apparente facilità con cui si può guadagnare pubblicando contenuti virali. Tuttavia, Crepet mette in guardia contro questa illusione. “Diventare un influencer di successo è un’eccezione, non la regola”, spiega. “Per ogni influencer che raggiunge il successo, ce ne sono migliaia che rimangono intrappolati in una spirale di frustrazione e disillusione”.
La riflessione di Crepet: un appello per una maggiore consapevolezza
Le parole di Paolo Crepet vanno oltre una semplice critica al mondo degli influencer. L’intento del sociologo e psichiatra è quello di aprire una riflessione più ampia su come la società moderna stia indirizzando i giovani verso modelli di successo effimeri e superficiali. Secondo Crepet, è necessario educare le nuove generazioni a non vedere il successo sui social media come l’unico percorso di realizzazione, ma piuttosto come una possibile strada tra molte altre.
Inoltre, Crepet invita a una maggiore consapevolezza da parte degli stessi influencer. “Se vogliono davvero essere d’ispirazione, devono mostrare anche le difficoltà e le fatiche che comporta questa vita”, afferma. “Solo così potranno contribuire a un dialogo più onesto e autentico su cosa significa davvero lavorare nell’era digitale”.