Terza classificata al Premio Strega 2018 con ‘’La Corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg’’ (Neri Pozza), Sandra Petrignani racconta in maniera straordinaria una delle figure femminili più rilevanti della storia culturale ed editoriale italiana attraverso un interessante affresco di vita, impegno civile e di arte, che gira attorno anche a un gruppo di scrittori e intellettuali leggendari come Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Salvatore Quasimodo, Alberto Moravia e tanti altri e alla fondazione della storica casa editrice Einaudi.
Come mai ha scelto di raccontare Natalia Ginzburg?
Era interessante per me più di altri scrittori, perché non è una romanziera in senso stretto, ha sempre cercato una forma diversa del narrare. Più che la forma romanzo mi interessano le forme ‘’ibride’’, la biografia tipo ‘’La Famiglia Manzoni’’ della Ginzburg, ovvero la biografia che si legge come un romanzo. Inoltre, anche la mancanza di un’opera o più opere che la leggessero interamente, che leggessero la sua opera e la sua vita. Mi stupiva che per un personaggio così importante e centrale per la nostra storia culturale, editoriale e anche sociale, nessuno avesse ancora pensato a scrivere su di lei in questa forma. Ho creduto che fosse venuto il momento di riempire il vuoto.
Perché ‘’La Corsara’’?
Cesare Garboli la definì ‘’corsara’’, impegnata, battagliera. Corsara perché fa incursioni impreviste, va all’arrembaggio. Ho voluto dare risalto a questo suo aspetto guerriero che si esprimeva attraverso i suoi interventi spesso polemici che suscitavano grandi diatribe. Il suo pensiero era sempre fuori le righe, piuttosto imprevisto, lei ad esempio si riconosceva comunista ma non era iscritta al partito comunista e spesso prendeva delle posizioni nette.
Come definirebbe il suo libro: una biografia, un romanzo, una mistura tra i due generi?
Per narrarla ho scelto una mia strada che è quella di fare un ritratto, il più veritiero possibile e completo passando attraverso luoghi e testimonianze. La parola romanzo la eviterei, la sua vita è molto romanzesca, è piena di dolori, di cadute nel pozzo di risalite, di relazioni meravigliose con personaggi altrettanto affascinanti. Un affresco, una narrazione, anche di un gruppo sociale che mi piacerebbe che si leggesse come un romanzo, però non sono una romanziera né una vera biografa né una storica. Il mio libro è sempre documentatissimo e se ho lasciato fuor qualcosa si tratta di tutto quello che non è documentato e allora ho preferito tacere seguendo la sua indicazione: le biografie sono belle, ma bisogna saper spegnere i riflettori al momento giusto.
Se non avesse conosciuto e frequentato Natalia Ginzburg avrebbe comunque scritto di lei?
Sì, ne avrei scritto lo stesso. Il primo incontro è stato anche frustrante, lei mi ha respinto, certo in un modo tutto suo. Ha infranto un mio sogno cioè quello di pubblicare attraverso di lei un mio primo manoscritto. Sicuramente quell’impatto negativo e brusco mi ha molto segnato, forse proprio scrivendo questo libro ho capito quanto quella frustrazione era ancora irrisolta dentro di me, anche se poi frequentandola ha molto corretto il suo pensiero e la stima verso di me. Però ero rimasta molto scottata, lei era severa, metteva soggezione. Con Lalla Romano ho avuto un rapporto molto più affettuoso, coinvolgente, aveva un carattere diverso. Ho scelto però di scrivere di Natalia, perché con lei c’era qualcosa di profondo e ho scelto di avvicinarmi a lei per capirla e comprendere i dolori della sua vita. Questo libro mi ha aiutato a superare quella lontana ferita, un motivo molto personale, ma non ero cosciente all’inizio della stesura del libro, solo alla fine me ne sono resa conto.
Tutti gli scrittori negano un coinvolgimento personale nei propri scritti, perché?
Hanno tutti paura di ammettere quanto di profondamente autobiografico c’è in tutto quello che scriviamo, io direi che se non c’è non c’è neanche lo scrittore. Elsa Morante ha detto qualcosa di molto profondo sostenendo che tutto quello che scriviamo ci appartiene intimamente come nient’altro, come solo i sogni. Quello che scriviamo, se siamo degli scrittori autentici, cioè se ci mettiamo a scrivere mossi da una spinta interiore che non si può soffocare, il nucleo di quello che raccontiamo, siamo noi nonostante i personaggi e le storie che creiamo. Infatti, quando stabiliamo un rapporto di grande intimità con un libro, cioè quando un libro indipendentemente da quanto è bello, importante, ci parla e parla a qualcosa di nostro, di intimo, stabiliamo un rapporto preferenziale ed è perché intuiamo la ragione profonda che ha spinto l’autore a scrivere proprio quella storia e si entra in contatto diretto con un’altra personalità. È una magia che solo un libro ti dà.
L’Italia dimentica i grandi artisti?
Sicuramente aiuta poco a ricordare. Il genere biografico è molto più diffuso in altri Paesi e aiuta a ricordare. Credo che le storie di questi personaggi avvicinino i giovani e in generale i lettori. Negli altri Paesi c’è una grande tradizione di biografie, noi non coltiviamo questo genere e quindi è più difficile conoscere la storia dei propri scrittori. L’editoria in Italia sostiene che le biografie non si vendano, ma è che quelle che ci sono spesso sono brutte e mal fatte.
Nonostante sia stata una grande autrice e una ‘’corsara’’, Natalia Ginzburg era molto autocritica, talvolta dal suo racconto emerge una donna che si sentiva inadeguata. Da cosa scaturisce questo profondo senso di insicurezza?
Ho dedicato ampio spazio alla sua infanzia, è da lì che si comprende molto di lei. È la piccola di casa, quella inascoltata in una famiglia di persone colte e impegnate. Soffre di solitudine, questo è il nocciolo lontano dal quale ha origine il suo carattere. D’altra parte, questa sua insicurezza è compensata da una grande forza di carattere e da adulta è una pasionaria, una corsara, una guerriera, anche se sente sempre il bisogno di dire ‘’io non so’’ come per immiserire questa sua forza di carattere. Un po’ diventa maniera, però è anche un fatto intimo. Tutto quello che dice, nasce da una profonda verità, non si è mai messa maschere. Nei verbali del mercoledì dell’Einaudi, lei è sempre l’unica voce femminile nel corso degli anni e questo deve averle anche pesato non sentendosi una intellettuale, essendo stata una somarona a scuola, non laureata, deve aver nutrito un complesso di inferiorità verso questi grandi personaggi che ruotavano intorno all’Einaudi. Dopodiché, aveva delle idee molto precise e sicure e le faceva valere ed era molto ascoltata. Ricordiamoci che è stata l’unica donna di potere editoriale in Italia.
Qual è stato il rapporto di Natalia Ginzburg con gli uomini della sua vita?
È stata una donna alla ricerca continua di un padre e questo lo si scopre leggendo la sua infanzia. Ha sempre inseguito uno sguardo maschile su quello che faceva, lei stessa lo ammette scrivendolo da adulta. Era una donna molto passionale, al di là della sua immagine, molto tenera, voleva innamorarsi e si innamorava profondamente. Leone Ginzburg e Gabriele Baldini sono due mariti diversissimi ma che svolgono comunque un ruolo di guida. Leone è quello che ne riconosce l’ingegno, le fa pubblicare le prime cose, la incoraggia, la consiglia ed è poi un esempio di moralità, di impegno che poi lei, una volta scomparso, assume su di sé, perché forse lei avrebbe continuato a fare la scrittrice e basta, ma in una meravigliosa lettera finale, Leone le dice che deve essere anche utile agli altri. Non a caso tiene il nome Ginzburg tutta la vita. La sua voce diventerà sempre più potente. Baldini, in qualche modo, è il contrario di Leone, perché è apparentemente un uomo frivolo, intelligentissimo, ma un’intelligenza più salottiera, un estroverso, che aveva delle grandi ferite anche lui ma le risolveva con questa sua socialità, con una capacità di grande intrattenitore, amante della musica, melomane, anglista importante, uno scrittore notevole sulla linea dell’avanguardia. Lui porta nella vita di Natalia una ventata di mondanità, infatti molti mi hanno raccontato di tante cene nella loro casa di Campo Marzio, una casa sempre aperta, dove si conversava, si discuteva, poi lui si metteva al piano e suonava. C’è un’allegria anche nella diversità totale che poi lei racconta in quel delizioso ‘’Lui ed io’’. Così diversi però legati da un’alchimia fortissima. L’innamoramento con Salvatore Quasimodo, molto più grande di lei. Poi l’amicizia splendida con Cesare Garboli, la consigliava e capiva le sue idee e on lei lui la spinge a scrivere Lessico Famigliare. Li ascoltava tutti questi uomini, ma nessuno poteva farle cambiare idea.
Che compito assolve la letteratura?
Deve dire il vero ma non significa che debba rappresentare la realtà nel dettaglio, perché per quello abbiamo mezzi sofisticatissimi. Deve corrispondere a una verità interiore assoluta e necessaria. Siamo invasi da tantissimi libri, c’è un’offerta spropositata, sarebbe importante che gli editori riuscissero a scegliere le opere considerando questo: se dietro c’è un vero scrittore o uno che racconta una storiella qualsiasi. Il lettore sente la verità di un libro.
Articolo già pubblicato su Affaritaliani.it
Per gentile concessione dell’autrice
Mariagloria Fontana
Foto di Roberto Benedetti
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